SALUTE, ricerca e prevenzione. Occhi: cellule staminali del cordone ombelicale contro la degenerazione maculare

Al Policlinico Universitario Agostino Gemelli gli interventi innovativi in materia mediante il ricorso a cellule staminali cordonali al fine di proteggere gli occhi dalla degenerazione maculare atrofica degli anziani

Messa a punto dai ricercatori della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS una nuova tecnica per rallentare l’evoluzione della degenerazione maculare atrofica legata all’età. Le iniezioni sotto-retiniche di un prodotto derivato dal sangue di cordone ombelicale si sono dimostrate in grado di rallentare l’evoluzione di questa condizione, ancora orfana di trattamento e che può portare alla perdita della vista. In Italia ne soffre qualche milione di persone sopra i cinquant’anni

DEGENERAZIONE MACULARE ATROFICA

La degenerazione maculare «atrofica» (secca, ovvero dell’anziano), è una delle patologie oculari più frequenti nel mondo industrializzato nelle persone di età superiore ai cinquant’anni e può portare a perdita completa della vista nella parte centrale del campo visivo. Interessa in vari stadi di gravità qualche milione di italiani, mentre le stime per il 2050 prevedono che saranno affetti da questa patologia 280 milioni di persone nel mondo. La forma secca rappresenta il 90% di tutte le maculopatie degenerative senili e, a oggi, non dispone di un trattamento autorizzato in Europa. A fronte della diffusione di questo male così invalidante, insomma, sussiste un grave unmet need relativo al suo trattamento. Al Policlicnico Gemelli di Roma si sta dunque tentando una strada innovativa, descritta in una recentissima pubblicazione su “Opthalmology Science”, che sfrutta le capacità rigenerative del sangue da cordone ombelicale. «La degenerazione atrofica è una patologia molto comune e invalidante negli anziani, per la quale a oggi in Europa non esiste alcun trattamento – spiega il professor Stanislao Rizzo, direttore della UOC di Oculistica di Fondazione Policlinico Gemelli e professore ordinario di Oculistica presso l’Università Cattolica -, abbiamo dunque avuto l’idea di utilizzare un derivato del sangue di cordone ombelicale, il plasma ricco di piastrine (PRP). Siamo i primi al mondo ad aver fatto questa esperienza e quello appena pubblicato è il nostro studio di fase uno».

LA PRIMA FASE DELLA RICERCA

«In questa prima fase della nostra ricerca – aggiunge la dottoressa Maria Cristina Savastano, della UOC di Oculistica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, responsabile del disegno dello studio – abbiamo valutato innanzitutto la safety della procedura, consistente nell’iniezione in sede sotto-retinica di PRP da sangue ombelicale. Si tratta di una procedura non semplice, da affidare a mani esperte, al Gemelli è stata effettuata dal dottor Alfonso Savastano e dal professor Rizzo, che non può essere ripetuta troppo di frequente. Per cui, abbiamo subito disegnato un protocollo parallelo di somministrazione intra-vitreale, molto più facile da eseguire e più sicura, che è in corso già da un anno». Il prodotto utilizzato in questo studio è plasma arricchito di fattori di crescita e mediatori solubili contenuti all’interno delle piastrine.

PLASMA ARRICCHITO

«Utilizziamo le unità donate alla Banca del cordone ombelicale, della quale è responsabile la dottoressa Maria Bianchi – rivela la professoressa Luciana Teofili, Direttore UOC Emotrasfusione del Policlinico Gemelli e Associato di Malattie del sangue presso l’Università Cattolica -, che non possono essere congelate per scopo trapiantologico. Dopo aver separato il concentrato, le piastrine vengono concentrate e sottoposte ad uno shock termico, cioè ripetuti processi di congelamento e scongelamento, che le porta a rilasciare nel plasma una serie di preziosi fattori di crescita, che si vanno ad aggiungere a quelli già presenti nel plasma fetale. Per limitare la variabilità di questi prodotti vengono allestiti pool di varie unità e viene più volte testata la loro sterilità attraverso test di coltura per batteri e funghi». L’impiego di PRP da sangue adulto trova da tempo applicazione nel trattamento delle ulcere diabetiche, dei processi degenerativi ortopedici, in chirurgia estetica, in dermatologia, eccetera. L’uso del PRP cordonale in ambito oculistico è invece molto meno diffuso. Visto l’estendersi dei campi di utilizzo di sangue cordonale, l’invito è quello di donare sempre il cordone al momento del parto.

SOMMINISTRAZIONE INTRA-VITREALE

«La somministrazione di questo emocomponente andrà verosimilmente ripetuta a cadenza mensile – sostiene il professor Rizzo -, ogni due mesi od ogni tre, poiché dallo studio appena concluso abbiamo evidenziato che l’arresto dell’estensione dell’atrofia si ottiene solo per un periodo da uno a tre mesi dopo la somministrazione dell’emoderivato. Certo, se gli studi in corso, quelli con la somministrazione intra-vitreale, ne dimostrassero una buona efficacia, questo potrebbe essere l’uovo di Colombo per i pazienti, peraltro low cost. Abbiamo depositato negli Stati Uniti d’America il brevetto dell’utilizzo intra-oculare di pool di PRP da sangue di cordone ombelicale a ulteriore conferma che siamo stati i primi ad avere l’idea di un preparato di questo tipo, il pool e la via di somministrazione». Ma, cosa si può fare oggi per l’atrofia maculare secca? Per il trattamento di questa condizione, negli Usa sono stati da poco approvati due farmaci, appartenenti alla categoria degli inibitori della cascata del complemento.

CHE FARE?

Il trattamento, intraoculare, viene effettuato a cadenza mensile o bimensile per un tempo indefinito; negli Stati Uniti d’America una fiala costa circa tremila dollari. «A questi farmaci tuttavia l’EMA non ha dato ancora il via libera – puntualizza Rizzo -, i trial registrativi infatti hanno dimostrato un rallentamento della patologia, e non un miglioramento né tanto meno una guarigione, solo nel 30% della popolazione trattata. Peraltro questi risultati sono relativi a dati anatomici, che dimostravano come l’area di atrofia aumentasse meno nel gruppo trattato, rispetto al controllo. Ma l’ente regolatorio europeo, l’EMA, esige risultati funzionali, quindi la dimostrazione di un miglioramento del visus o di un significativo rallentamento del suo deterioramento. Probabilmente le aziende dovranno proporre all’EMA un ulteriore studio condotto su endpoint “funzionali”, però questo allungherà notevolmente i tempi di approvazione».

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