ne riferisce in una nota l’agenzia giornalistica ACI Stampa – In quale modo la Santa Sede concorre agli sforzi mondiali per avviare o stabilizzare processi di pace? È una attenzione che «va oltre il solo annuncio del messaggio cristiano, ha la volontà di salvaguardare anche quei valori fondativi che, parte delle diverse esperienze culturali e religiose, operano nei rapporti tra le nazioni». L’elemento apicale della struttura diplomatica vaticana ha inteso sottolineare che «se valori e diplomazia sono tra loro interconnessi, una lettura della prassi mostra che tempi e situazioni non sempre sono tra loro interdipendenti, tanto che capita di osservare l’azione diplomatica perseguire finalità certamente positiva, senza però interrogarsi su quali valori fondare processi o delineare soluzioni».
LA FASE STORICA CHE STIAMO VIVENDO
Il cardinale Parolin ha rilevato come «la fase storica che stiamo vivendo domandi una governance degli assetti internazionali che sia sinonimo di sicurezza e coesistenza pacifica, di rispetto della dignità umana e dei diritti conseguenti e, ancora, veicolo di uno sviluppo solidale realmente umano». La Santa Sede, ha evidenziato altresì il Segretario di Stato, «nell’azione diplomatica si unisce agli intenti che maturano nel contesto internazionale per raggiungere quell’ordine tra le persone, i popoli e le nazioni che è una delle garanzie per la pacifica coesistenza, adoperandosi perché si strutturi una ordinata convivenza mondiale, cosciente che si tratta di un ordine applicato a una realtà, quella umana, nella quale si manifestano cambiamenti e sviluppi sempre nuovi».
QUELLA VATICANA È UNA DIPLOMAZIA PERMANENTE
Egli si è quindi soffermato sull’azione diplomatica della Santa Sede, che «è organizzata secondo le regole della diplomazia permanente ed è un servizio alla famiglia umana, con un atteggiamento dettato dalla piena coscienza di poter concorrere a un futuro di stabilità e sicurezza per i popoli e gli Stati, nella loro storia e identità». Parolin ha poi descritto una rete «complessa nelle attività e ben strutturata, che al centro ha il riferimento unico nella Segreteria di Stato con le sue tre Sezioni, quella per gli Affari generali, quella per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali e quella per il Personale diplomatico», mentre, «sul terreno la figura centrale è il Rappresentante pontificio, sul quale ricade la responsabilità di rapporti instaurati con le diverse componenti delle Chiese locali o quelli realizzati con i Governi, gli apparati statali, gli organi propri e i membri delle Organizzazioni intergovernative». Non ha mancato di notare come la Santa Sede abbia dei solidi intenti basati sulla spiritualità e, questo «le dà il nome: la piena coscienza di non esercitare un potere, né di cercare privilegi di sorta».
RIFLESSIONI SUL TERMINE «PACE»
Soffermandosi sul termine “pace”, il cardinale Segretario di Stato ha riflettuto su quanto «nel linguaggio della diplomazia risulta invece un traguardo complesso, declinato in una molteplicità di aspetti riassunti dal paradigma della pacifica coesistenza tra i membri della Comunità internazionale e, dunque, la pace è allo stesso tempo un metodo per la diplomazia e un traguardo al cui raggiungimento essa collabora, favorendo le modalità di rapporti, il reciproco rispetto e la collaborazione tra i protagonisti della vita internazionale». L’impostazione della Santa Sede «consente di pensare e, forse ripensare, in ragione dei conflitti attualmente in atto, al vero significato da attribuire alla relazione e al suo significato nella politica internazionale», poiché «essa le soluzioni individuate o percorse, accanto al dato tecnico, debbono essere necessariamente comprendere autentici e precisi limiti che non possono giustificare posizioni di forza, né violare il principio di leale cooperazione, che costituiscono fattori determinanti, in quanto le soluzioni adottate si possano realizzare e avere continuità, pure a fronte di mutamenti o di nuovi rischi che subentrano nella quotidianità delle relazioni internazionali».
L’ASSENZA DI LIMITI: UNA FORTE CRITICITÀ
D’altro canto, l’assenza di limiti «costituisce un punto di forte criticità nella conduzione di un conflitto in cui si violano le norme del diritto internazionale umanitario, come pure nelle forme di autodifesa previste dall’Art. 51 della Carta delle Nazioni Unite», e le conseguenze più evidenti «sono l’estensione territoriale dei conflitti e l’attuazione di processi di isolamento e di cancellazione delle identità di popoli e di comunità». Parolin ha evidenziato come la Santa Sede colga e sottolinei la «complessa realtà dei cambiamenti» e, «pensando ai conflitti, sono non solo un esempio, ma una precisa linea politico diplomatica la mancata adesione di diversi attori agli impegni internazionali per il non uso di armi con effetti di distruzione di massa o per la messa al bando della loro produzione». Preoccupa di ogni cosa «la denuncia degli impegni già sottoscritti, che mostra come siano mutate, o addirittura si siano perse, visioni eticamente ispirate, principi morali e concezioni anche religiose che fondano le regole giuridiche».
NUOVE SFIDE
Ci sono poi nuove sfide, come quella dell’intelligenza artificiale, che «interroga la diplomazia relativamente all’uso di tecnologie sofisticate nei conflitti». Il cardinale Segretario di Stato ha rilevato che «alla diplomazia, quale espressione dell’agire politico, è richiesto di dare risposte o suggerire azioni, ma ben ancorate all’oggi del mondo e della storia», rimarcando altresì come «la crisi dei valori tradizionalmente condivisi, domandi di operare delle scelte con coscienza e conoscenza da parte del diplomatico chiamato a prospettare soluzioni, a fornire idee, ma in piena sintonia con i dati reali». Egli ha infine rammentato che la Santa Sede possiede «un’ampia prospettiva da coprire e deve quindi necessariamente curare l’analisi delle situazioni che riguardano paesi e territori. Per la diplomazia pontificia il dovere di non escludere, bensì di includere, è garanzia per ricucire i più tenui segni di buona volontà delle parti in conflitto così da avviare una pacificazione».
UN APPROCCIO REALISTICO
L’approccio permane dunque realistico, «naturalmente deputato a evitare le tensioni, e questo confonde quegli interlocutori intenti solo a circoscrivere le soluzioni nel perimetro di interessi particolari. Ed è anche a causa del realismo che spinge persone ed autorità di diversa fede religiosa, come pure quanti non credono, a guardare alla Santa Sede sorretti dalla volontà di un maggiore dialogo, di una più fluida comprensione tra posizioni contrapposte a tutto vantaggio del bene comune della famiglia umana e delle sue diverse componenti. Lo si sperimenta nei contesti internazionali quando la pace passa attraverso la difesa di diritti fondamentali, e in particolare quello alla libertà di religione, e le posizioni della Santa Sede sono espresse non in funzione dei cattolici o dei cristiani, ma di ogni credente». Parolin ha indicato come il metodo «nel privilegiare la relazione» favorisca il dialogo tra persone appartenenti a diverse etnie, culture, lingue e visioni religiose o etiche, «nella convinzione che in questa diversità trova concretezza il futuro di popoli, la stabilità istituzionale degli Stati, e in particolare una concreta condotta di pace».
NON BASTA PIÙ DISCUTERE DI STRATEGIE E PROGRAMMI
Non basta più, comunque, discutere di strategie e programmi, e «la cooperazione per essere funzionale alla pace deve arricchirsi di componenti sempre nuove e cioè rispondenti ai tempi, comprese quelle che a motivo della loro complessità richiedono analisi approfondite. Ci sono questioni globali che hanno poi approcci più locali, e pensa “non solo ai conflitti armati, ma alla crisi climatica e ambientale, alla mobilità umana, agli indici di sviluppo e sottosviluppo e alla violazione dei diritti umani, per citare gli ambiti più evidenti che nella nostra era mettono a serio rischio non solo la pace, ma la continuità della vita umana sul Pianeta”. Afferma al riguardo Parolin che «di fronte all’immagine dei numerosi conflitti in atto, alle aggressioni e all’uso indiscriminato delle armi, al ricorso alla violenza terroristica all’interno degli Stati o tra gli Stati, il percorso verso la pace è faticoso ed incerto nei risultati, soprattutto in un momento in cui anche la politica internazionale e i suoi leader sembrano restii a lanciare soluzioni. La giustificazione è nella contingenza che viviamo, un’era in cui la dimensione razionale e analitica lascia volentieri il posto all’immagine che spesso è l’unica funzione cognitiva attivata».
SITUAZIONI DIFFICILI E LOGICHE EMERGENZIALI
Il Segretario di Stato vaticano ha inoltre affermato che «in questa situazione difficile la Santa Sede è tra coloro che spingono affinché l’azione internazionale esca dalla logica emergenziale. Le pur necessarie soluzioni d’urgenza vanno infatti coniugate con l’idea di sostenibilità attraverso una necessaria programmazione che sia capace di fronteggiare in modo continuativo i problemi e garantire così le esigenze della prevenzione». La diplomazia vaticana osserva gli scenari mondiali: «Un rapido sguardo ai conflitti in atto dall’Ucraina alla Palestina, al Medio Oriente, al Myanmar, all’Etiopia, al Sudan, allo Yemen, mostra un aumento delle vittime della guerra. Con loro cresce l’abitudine a considerare il ricorso alle armi come parte del normale andamento dei rapporti internazionali. Ma, il servizio alla pace comporta uno sforzo quotidiano finalizzato alla conoscenza delle situazioni, alla loro interpretazione e a far comprendere che la guerra non è più uno strumento lecito dell’azione internazionale. Non è raro vedere i diplomatici assistere impotenti a combattimenti, violenze o attentati, sperimentando quanto sia difficile prevenirli e fermarli».
LA DIPLOMAZIA DEVE RISCOPRIRE IL SUO RUOLO DI FORZA
«In questo quadro inquietante la diplomazia deve riscoprire il suo ruolo di forza preventiva – ha infine concluso il cardinale Parolin -, capace cioè di governare le minacce alla pace e alla sicurezza; di strumento per dare stabilità e futuro al post-conflitto, iniziando dal fare della solidarietà tra persone e popoli l’alternativa alle armi, alla violenza, al terrore. La pace, quella vera, non può confondersi con il tacere delle armi, ma passa attraverso l’agire di quanti con umiltà e competenza si pongono come genuini operatori di pace. Avviare i processi di pace richiede non solo processi negoziali, ma anche di non tralasciare nessuno di quanti sono o possono essere interlocutori. Per questo al diplomatico è richiesta la necessaria competenza per far fronte a problemi la cui origine e le cui soluzioni in concreto richiedono una visione che sia più ampia possibile, anzitutto per non tralasciare le radici anche lontane delle cause di conflitti o quegli elementi e situazioni che consentono di leggere l’attualità e individuare le proposte da avanzare».