VATICANO, finanza. La banca e i banchieri «di Dio»: alle origini dello IOR, tra miti e realtà

È nelle librerie un saggio che, attraverso l’analisi di documenti inediti, affronta il tema relativo alla storia dell’Istituto delle Opere di Religione, argomento certamente scottante alla luce degli scandali e delle trame che nel passato hanno visto coinvolti parte dei suoi amministratori e alcuni suoi correntisti, occulti o meno che fossero. Il volume di Francesco Anfossi ripercorre questa controversa storia dalle sue origini fino alla riforma risalente all’inizio degli anni Novanta, varata durante il pontificato di Giovanni Paolo II. A insidertrend.it ne parliamo prendendo spunto dalla recensione fattane da Andrea Gagliarducci, vaticanista dell’agenzia giornalistica ACI Stampa

«L’11 settembre 1887 – esordisce Gagliarducci – venne costituita la commissione cardinalizia ad pias causas, una commissione segreta che si riuniva in un ufficio chiamato “il buco nero” perché era il luogo dove in passato c’era la censura dello Stato pontificio e, per una amabile ironia della sorte, lavorò in qualità di impiegato Gioacchino Belli. Fu una commissione figlia della Questione romana, in quanto servì ad amministrare beni, lasciti e opere pie che giungevano alla Santa Sede e che quest’ultima tentò di nascondere alla scure della confisca da parte dello Stato monarchico italiano».

RIPERCORSA LA STORIA DELLA BANCA VATICANA

«Quella commissione – prosegue il vaticanista di ACI Stampa – fu il primo vagito di quello che durante la Seconda guerra mondiale si sarebbe divenuto l’Istituto delle Opere di Religione, o semplicemente IOR. Dunque, per usare una felice espressione di Francesco Anfossi, “un pronipote della Questione romana”». Ed è proprio l’Anfossi l’autore di “Ior. Luci e ombre della Banca vaticana dagli inizi a Marcinkus”, volume edito per i tipi di Ares, opera preziosa poiché realizzata sulla base di documentazioni inedite, provenienti anche dal fondo archivistico del cardinale Agostino Casaroli, grande architetto della ostpolitik e segretario di Stato vaticano proprio quando esplose lo scandalo IOR – Banco Ambrosiano. «Fu infatti Casaroli a decidere per l’accordo di Ginevra, cioè la decisione dello IOR di dare un contributo volontario a mo’ di risarcimento ai risparmiatori colpiti dal crack della banca di Roberto Calvi, pur alla fine non ammettendo alcuna responsabilità in ordine alla vicenda, anche perché – sottolinea Gagliarducci -, carte alla mano, responsabilità non ce n’erano».

SINDONA E CALVI FURONO DAVVERO AL CENTRO DELLE VICENDE DELLO IOR?

«Ovviamente – anticipa il recensore -, il crack dell’Ambrosiano occupa molto spazio, così come le relazioni pericolose che lo IOR si trova ad intrattenere con personaggi quali lo stesso Calvi e Michele Sindona, che, però, non sono al centro della storia». Tuttavia, questo delicato passaggio della lettura che dei fatti ne fa il Gagliarducci impone alcune precisazione di natura storica, poiché a partire da un dato momento i destini di questi due personaggi, entrambi deceduti per morte violenta, si intrecciarono strettamente con quello dello IOR. Intanto il sinistro Michele Sindona, controverso banchiere di Patti, divenne uomo di fiducia del Vaticano nel momento in cui, era il 1969, Paolo VI affidò sostanzialmente nelle sue mani la finanza di oltre Tevere allo scopo di trasferirla all’estero, eludendo in tal modo la tassa sui titoli che era stata istituita nella Repubblica Italiana.

TUTTI GLI UOMINI DI SANTA ROMANA CHIESA

Allo scopo, e in seguito anche per altre commendevoli operazioni (quali ad esempio quelle riconducibili alla cosiddetta maxitangente Enimont), Sindona agì di concerto dapprima con monsignor Paul Cazimir Marcinkus, quindi anche con il presidente del Banco Ambrosiano, il citato Roberto Calvi, che era in amicizia con monsignor Pasquale Macchi, religioso esperto di economia e finanza a sua volta in rapporti con Massimo Spada, indicato come “agente di cambio della nobiltà nera”. Fu proprio monsignor Macchi, collezionista di opere d’arte e frequentatore del mondo degli antiquari, il mentore di Marcinkus, scaltro sacerdote americano giunto a Roma negli anni Cinquanta dall’arcidiocesi di Chicago. Quelle che hanno visto protagonisti questi personaggi sono vicende drammatiche e ancora soltanto in parte chiarite, come lo scontro intestino alle Mura leonine per il controllo dell’Ambrosiano e il rovinoso fallimento di quest’ultimo.

ASSASSINATO SOTTO GLI OCCHI DEI FRATI NERI

Perché venne assassinato Roberto Calvi? Su questo simbolico omicidio in passato sono state esplorate almeno tre ipotesi: un movente in relazione all’azione dell’Opus Dei, la vendetta di cosa nostra e il silenziamento di un depositario di segreti inconfessabili che era divenuto pericoloso. Prima ipotesi: alla metà del 1982 il Banco Ambrosiano si trova ormai sull’orlo del collasso finanziario a causa della sparizione di centinaia di milioni di dollari transitati attraverso i flussi bancari dello IOR ai fini di un loro riciclaggio. Assalito dalla disperazione, Calvi, assistito in questo da Flavio Carboni, si trasferisce a Londra nel tentativo di ottenere un “pacchetto” finanziario di salvataggio per la sua banca, ritenendo di poter ottenere una intercessione grazie ai buoni uffici interposti in suo favore da un anziano rappresentante dell’Opus Dei.

L’OPUS DEI AMBIVA AL CONTROLLO DELLO IOR

Tuttavia, a quel punto in alcuni ambienti vaticani si ritenne più opportuno fare affondare deliberatamente l’Ambrosiano (entro le Mura leonine era ancora in atto la fase di scontro intestino tra la fazione progressista artefice del rinnovamento i cui primi passi erano stati compiuti con il Concilio Vaticano II e quella invece riconducibile  all’Opus Dei, interprete di una linea rigida e tradizionalista). Perché? Perché lo scandalo che sarebbe derivato dal crack della banca di Calvi avrebbe generato enormi problemi allo IOR. L’Opus Dei, organizzazione spagnola allora fortemente sostenuta da Giovanni Paolo II, non avrebbe salvato il banchiere milanese allo scopo di indebolire lo IOR, istituto del quale avrebbe voluto assumere il controllo.

«OPERAZIONE RECUPERO»

Sulla base di questa versione dei fatti Calvi, che a un certo punto avrebbe iniziato ad appoggiare la fazione vaticana allora ritenuta vincente, appunto l’Opus Dei, impegnandosi intensamente al fianco di essa al fine di favorirne l’assunzione del controllo dello IOR, istituto che, a sua volta, era fortemente indebitato con il Banco Ambrosiano per oltre un miliardo di dollari. Le pressioni esercitate su Calvi per spingerlo a far rientrare nelle casse dell’Ambrosiano questo denaro (operazione recupero) e le successive difficoltà del banchiere milanese, che aveva iniziato a minacciare di rivelare il presunto coinvolgimento del Vaticano in affari illeciti, avrebbe condotto alla sua eliminazione fisica.

INTRICATI E FATALI INTRECCI

Seconda ipotesi: la mafia. Dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di Giustizia Antonino Giuffré, in precedenza organico in cosa nostra, si è appreso che a Calvi sarebbe stato imputato di non aver gestito adeguatamente il denaro che la mafia gli aveva affidato. «Una cattiva gestione – affermò al riguardo il mafioso – che aveva fatto fare mala figura anche allo IOR». Il preesistente rapporto fiduciario con la mafia si era dunque infranto e, conseguentemente, cosa nostra aveva eliminato il banchiere milanese. La responsabilità della mafia siciliana è l’ipotesi che viene caldeggiata anche da Carlo Calvi, figlio della vittima, che tuttavia non si è espresso sul possibile mandante.

RICICLAGGIO PER CONTO DELLA MAFIA

Questa ricostruzione dei fatti vede la banca milanese di origine cattolica divenire gradualmente per opera di Calvi e Sindona una “lavatrice” utilizzata per riciclare il denaro proveniente dalle attività illecite poste in essere dalla criminalità organizzata. Essa, però, a un certo punto sarebbe rimasta stritolata nella sanguinosa guerra combattuta agli inizi degli anni Ottanta tra la mafia perdente (Bontate) e quella vincente (corleonesi). Assieme a lei, vittima dello scontro epocale sarebbe stato anche il suo elemento apicale, Roberto Calvi. Sulle cause del “buco” che si aprì nell’Ambrosiano (un miliardo di dollari mai ritrovato dopo la liquidazione della banca) sono state fatte diverse ipotesi. Esso in parte si giustificherebbe in ragione dei crescenti tassi di interesse sul dollaro applicati allora, che avrebbero eroso ⅓ del suo capitale.

COLPEVOLE LO SPREAD

Infatti, crack del genere avvengono spesso a fronte di crescenti tassi sul debito, che pongono i contraenti nella condizione di non potere più corrispondere le somme dovute ai creditori, incrementate oltre la soglia di sostenibilità precedentemente prevista. Inoltre, l’Ambrosiano non sarebbe servito per finanziare il sindacato anticomunista polacco guidato da Lech Walesa, ma probabilmente soltanto per fare transitare i fondi a esso destinato, in parte provenienti dallo IOR e, soprattutto, dai sindacati statunitensi. Ma, se la banca milanese non aveva la capacità di sostenere una operazione di politica internazionale della portata dell’implosione dei regimi comunisti nell’Europa orientale, il finanziamento di Solidarność avrebbe comunque indebolito l’Ambrosiano.

IL «BUCO» DELL’AMBROSIANO

Questo poiché una consistente quota del denaro allo scopo gestito da Calvi sarebbe sparita a causa dell’appropriazione fattane per arricchirsi personalmente da alcune persone coinvolte nell’operazione. Al riguardo va rilevato come alcune centinaia di migliaia di dollari devono ancora essere ritrovati. Molto si è parlato di questo denaro e dei suoi possibili rivoli in America Latina, data la presenza in Nicaragua e in Perù di corrispondenti del Banco Ambrosiano, senza contare dei canali occulti realizzati attraverso le società fantasma dello IOR a Panama e in Liechtenstein. Al riguardo, un elemento interessante relativo alla ricerca del “tesoro perduto” del Banco Ambrosiano perviene dalla lucida e attendibile ricostruzione di uno dei tanti misteri d’Italia fatta dal giornalista Massimiliano Giannantoni nel suo libro inchiesta sull’omicidio di un sottufficiale dell’Esercito italiano perpetrato in Somalia nel novembre del 1993, “Skorpio: Vincenzo Li Causi, morte di un agente segreto”, edito da round robin.

SKORPIO SULLE TRACCE DEI SOLDI SCOMPARSI

Nel corso della ricostruzione dell’assassinio del maresciallo Vincenzo Li Causi, in forza al servizio segreto militare, Giannantoni ha avuto modo di intervistare un ex appartenente all’organizzazione Stay behind Gladio, che mantenendo l’anonimato gli ha riferito come l’allora Presidente del  Consiglio dei ministri Bettino Craxi abbia ordinato una missione del Sismi in Perù allo scopo di recuperare parte dei fondi dell’Ambrosiano occultati dopo il crack dell’istituto milanese. Si sarebbe trattato della “Operazione Lima”, predisposta per sostenere il presidente peruviano Alain García, a quel tempo in difficoltà a causa della guerriglia della formazione di ispirazione maoista Sendero Luminoso, ma anche per riappropriarsi dei fondi della banca di Calvi. Dichiarò l’ex gladiatore: «L’Operazione Lima non aveva soltanto l’obiettivo di portare armi e tecnologia all’amico di Craxi, ma dovevamo recuperare i soldi di Calvi, quelli scomparsi del Banco Ambrosiano, quelli della mafia».

OPERAZIONE LIMA (E MOGADISCIO)

Prosegue il testimone: «La missione era questa: andare dal presidente García che nascondeva questi soldi, lasciargli il dieci per cento della somma come da accordi, regalargli armi e tecnologia per combattere Sendero Luminoso e tornare a casa. Anzi, con il fallimento della missione non saremmo tornati a casa… ma  sarebbe morto, stanne certo, anche García. Lui l’ha capito e l’operazione è andata in porto. Ma i soldi di Calvi non erano stati nascosti solo in Perù, un’altra parte importante era transitata in Somalia ed era stata nascosta in alcune strutture che noi gestivamo in Africa (…) i nasco somali, strutture interrate e di cemento armato che avevano delle torrette per l’aria e all’interno erano piene zeppe di armi, soldi, foto e documenti importanti (…)».

SEGRETI PERICOLOSI

Terza ipotesi: fare tacere un uomo divenuto pericoloso. I mandanti dell’omicidio si prefiggevano lo scopo di impedire a Roberto Calvi l’esercizio di un potere ricattatorio nei confronti dei suoi ex referenti politici, istituzionali, religiosi e criminali. Uccidere il banchiere potrebbe essere stata la soluzione al problema posto da un uomo terrorizzato e ormai in rovina che aveva minacciato di rivelare affari che invece avrebbero dovuto rimanere segreti. Tornando alla recensione dell’opera dell’Anfossi fatta dal Gagliarducci, egli evidenzia come il volume risulti importante «al fine della comprensione di alcuni aspetti che ancora oggi permangono centrali». Il primo è quello che vede lo IOR da sempre definito come ente centrale della Santa Sede e non organismo di Curia.

UNA BANCA OPPURE UNA FIDUCIARIA OFF SHORE?

«Piuttosto – scrive il vaticanista di ACI Stampa – uno strumento per aiutare, appunto, le opere di religione. Gli investimenti sono sempre fatti in maniera oculata secondo la cosiddetta “regola del tre”: patrimonio, oro, immobiliare, che garantisce una necessaria diversificazione del patrimonio. Nei momenti di crisi, l’oro viene portato oltre oceano; nei momenti di necessità si investe in immobili e questi ultimi sono anche parte dei benefit dei dipendenti, che possono ottenere case a prezzi calmierati. Lo IOR è un ente indipendente nella gestione, ma di fatto strumentale alla Santa Sede». Su questo aspetto, però, la polemica con i detrattori verte sulla natura dell’Istituto: a cosa serve una banca all’interno dello Stato Città del Vaticano? È una vera e propria banca o una sorta di società fiduciaria off shore?

PRECARIO EQUILIBRIO

Prosegue Gagliarducci: «Questo equilibrio si è tenuto fino a ora, quando il processo vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato ha fatto esplodere il più classico dei conflitti: lo IOR non solo ha rifiutato un aiuto economico alla Segreteria di Stato, ma la ha denunciata, di fatto spezzando sia la rete di mutuo aiuto da sempre pensata per gli organismi vaticani, sia creando una ribellione interna, ed economica, al governo centrale. Ma è questo in linea con le prerogative e il senso vero dell’Istituto? E cosa significa questo per il futuro stesso dell’Istituto? Il secondo motivo dell’importanza del libro di Anfossi risiede nel tentativo di razionalizzare le finanze della Santa Sede, che ad avviso dell’autore «non è cosa nuova».

CENTRALIZZARE GLI INVESTIMENTI

«Il tentativo di centralizzare tutti gli investimenti passando dallo IOR è cosa ancora meno nuova – sottolinea il recensore del volume -, poiché le cosiddette “resistenze” degli enti vaticani per mantenere la propria autonomia sono questione dibattuta da almeno un secolo. Ma il dato interessante è che persino Guido Carli (già governatore della Banca d’Italia, n.d.r.) nel consigliare la Santa Sede chiede che tutti quanti i fondi passino prima dallo IOR in una sorta di giroconto, cosa che garantirebbe alla Santa Sede anche la sovranità degli scambi. Sarebbe complesso entrare nel dato tecnico dell’appunto di Carli, che viene per altro riprodotto nel libro, tuttavia risulta interessante come la centralità del passaggio di denaro dallo IOR non fosse intesa per questioni di centralizzazione degli investimenti, piuttosto per permettere alla Santa Sede più agio nel gestire donazioni, elargizioni di denaro, movimenti verso quei paesi nei quali il sistema bancario era ostile».

IOR QUALE STRUMENTO DELLA SANTA SEDE

Ad avviso di Gagliarducci lo IOR non poteva quindi venire disgiunto operativamente dalla Santa Sede e quello che viene fatto adesso con la riforma di Bergoglio sembrerebbe piuttosto rispondere alla necessità di garantire allo IOR liquidità, con la scusa e la necessità di controllare tutti gli investimenti. «Sarà un modello funzionante?», si interroga a questo punto il recensore, per poi passare a illustrare il terzo motivo della importanza del saggio di Anfossi. «La Santa Sede ha sempre investito in immobili e in varie partecipazioni, ha cercato di proteggere gli investimenti rendendo il massimo possibile e lo ha fatto, non per speculazione, bensì per ottenere più denaro da poter distribuire alle cosiddette “opere di religione”. Allo stesso tempo, nel gestire questi investimenti, nel tessere relazioni, ci si imbatte anche in personaggi che usano la Santa Sede per i loro traffici».

L’INGENUITÀ DEGLI UOMINI DI CHIESA

«Non è giusto dire che tutto sia frutto di ingenuità degli uomini di Chiesa, ed è ingiusto considerare che tutti gli affaristi siano senza scrupoli e vogliano imbrogliare la Santa Sede. C’è però anche quello, e questo spiega l’affidarsi a personaggi come Sindona e Calvi, favoriti da una deregulation finanziaria del periodo, che poi coinvolge la Chiesa in diversi scandali finanziari. Ma ci sono molti miti da sfatare. In particolare, il libro ne sfata uno: quello del cosiddetto tesoro degli ustascia, una brutta vicenda secondo la quale attraverso lo IOR sarebbe transitato il tesoro sporco di sangue che i nazisti croati avevano depredato agli ebrei deportati durante la guerra. Fu Jeffrey Lena, che accettò un incarico in difesa della Santa Sede quando nessuno voleva farlo, a dimostrare come in fondo tutte le argomentazioni erano frutto di speculazione. Lena divenne da quel momento l’avvocato di fiducia della Santa Sede, e ha curato una serie di dossier chiave, tra i quali quello degli abusi negli Stati Uniti e quello per la trasparenza finanziaria».

JEFFREY L’ESAUTORATORE

Si tratta di una figura molto particolare: avvocato statunitense (californiano), membro della potente organizzazione dei Cavalieri di Colombo (Columbus Knight) e uomo di fiducia dei cardinali Sodano e Bertone, in stretti contatti con monsignor Ettore Balestrero, sottosegretario alla II Sezione della Segreteria di Stato vaticana (rapporti internazionali); assieme a Carl Albert Anderson esercitò una forte influenza sull’organizzazione di propria appartenenza. considerato un “reaganiano”, figura tra i registi dell’esautorazione di Ettore Gotti Tedeschi dalla presidenza della banca vaticana, avvenuta nel maggio del 2012. Quest’ultimo venne sfiduciato (ma non destituito, poiché questo è un atto di competenza della Commissione cardinalizia di vigilanza) dal Consiglio di sovrintendenza dello IOR, allora composto oltreché dal citato Carl Albert Anderson, anche da Ronaldo Hermann Schmitz (Deutsche Bank), Manuel Soto Serrano (Banco Santander) e Antonio Maria Marocco (notaro in Torino). L’avvocato Lena si occupò anche della riscrittura della legge vaticana n.127 istitutiva dell’Autorità di controllo antiriciclaggio della Santa Sede (AIF), entrata in vigore nello Stato della Città del Vaticano nell’aprile 2011.

IL SALVATAGGIO DA PARTE DI MADRE TERESA DI CALCUTTA

Conclude Gagliarducci, che «i documenti inediti pubblicati nel libro di Anfossi consentono soprattutto di dimostrare le vere ragioni dell’esistenza della finanza del Pontefice, come per altro illustra lo storico Agostino Giovagnoli nella prefazione del volume, “Le guerre rendono molto difficile la vita di una grande realtà internazionale qual è la Chiesa cattolica. Ostacolano o, peggio, interrompono i legami interni che costituiscono il prezioso tessuto della sua universalità”. E Anfossi ricorda come l’Istituto riuscì a garantire l’autonomia finanziaria della Santa Sede anche negli anni della guerra in cui Roma era occupata dai nazisti, nei quali i suoi spazi extraterritoriali “in una città non ancora aperta” ospitarono e nascosero moltitudini di ebrei e antifascisti. Lo sapeva bene Madre Teresa di Calcutta, che allo IOR volle affidare le donazioni che le arrivavano copiose da tutto il mondo per proseguire nella sua opera. Fu proprio questa massa di denaro che salvò lo IOR dopo il contributo volontario dato per superare lo scandalo dell’Ambrosiano. Contributo dato al fine di evitare un grave ritorno di immagine, ma di fatto non dovuto. Servì però a superare uno scoglio difficile e a traghettare lo IOR verso una seconda fase della sua esistenza».

INFO

Autore: Francesco Anfossi

titolo: Ior. Luci e ombre della Banca vaticana dagli inizi a Marcinkus

editore: Ares

collana: Sagitta

codice: ART1088

ISBN: 9788892983496

anno di pubblicazione: 2023

pagine: 232

prezzo: euro 16,80

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