a cura del professor Ely Karmon, della Reichman University di Herzliya, pubblicato il 12 dicembre 2023 daal quotidiano israeliano “Maariv” – Al fine di comprendere la minaccia costituita dagli Houthi nei confronti di Israele a partire dal momento dello scoppio della guerra contro Hamas nella striscia di Gaza, oltreché le sue conseguenze regionali, risulta necessario capire la natura unica dell’organizzazione, nonché delle politiche poste in essere dalle amministrazioni americane e dai loro alleati nella regione.
DEFINIRE GLI HOUTI YEMENITI
Gli Houthi possono venire definiti come «Hezbollah B», cioè membri a pieno titolo dell’asse della resistenza guidato dalla Repubblica Islamica dell’Iran. Al riguardo, il generale Hossein Salami, alto ufficiale delle Guardie rivoluzionarie iraniane, ha affermato che Ansarullah (Ansar Allah, il movimento Houthi) «è una copia di Hezbollah libanese in un’area strategica». Il loro leader religioso è lo Zaydi Mufti Shams al-Din Sharaf al-Din, che ha studiato in Iran ed è funge da importante collegamento con la leadership religiosa sciita di Teheran. Lo slogan scritto sulla loro bandiera è «Morte agli Stati Uniti, morte a Israele, maledizione di Dio sugli ebrei», ripreso dall’Ayatollah Khamenei, la guida suprema della Repubblica islamica dell’Iran. Il loro leader politico, Abdel-Malek al-Houthi, ammira il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, cercandone di imitare lo stile e persino il modo di parlare. Gli Houthi sono stati addestrati da Hezbollah in Yemen e Libano, la loro potenza militare, in particolare le armi missilistiche e gli UAV, è frutto del sostegno iraniano.
LA SOTTOVALUTAZIONE DA PARTE DI WASHINGTON
L’amministrazione statunitense ha assunto una posizione ambivalente nei confronti di questa organizzazione yemenita. Il presidente Trump ha effettivamente sostenuto la guerra che l’Arabia Saudita aveva scatenato contro gli Houthi nel 2015 allo scopo di riportare al potere nello Yemen il presidente sunnita Mansour Hadi, ma quando nel settembre 2019gli Houthi hanno fatto ricorso al lancio di missili contro il territorio saudita colpendo e danneggiando gravemente gli impianti petroliferi, il presidente americano Donald Trump non ha reagito. Infatti, egli ha disposto l’inserimento degli Houthi nella lista delle organizzazioni terroristiche soltanto il 19 gennaio del 2020, un giorno prima che il presidente Joe Biden lo avvicendasse alla Casa Bianca. Quest’ultimo si è poi affrettato a rimuoverli dalla lista, ma a mio avviso, così facendo Washington ha sottovalutato la trasformazione del movimento Houthi in un partner attivo dell’asse di resistenza dell’Iran.
UNA MINACCIA AL TRAFFICO MARITTIMO INTERNAZIONALE
Gli Stati Uniti hanno aiutato Israele a difendersi dalla minaccia dei missili a lungo raggio e dei droni lanciati dagli Houthi verso Eilat e il sud del territorio dello Stato ebraico, abbattendoli grazie all’intervento delle navi da guerra americane in navigazione nel Mar Rosso o lanciando armi anti-missile dalle basi statunitensi in Arabia Saudita, ma questo, al pari delle minacce retoriche israeliane contro i ribelli sciiti yemeniti, non hanno in ogni caso scoraggiato la leadership di questi ultimi. Sebbene abbiano inizialmente annunciato il loro desiderio di agire «esclusivamente contro navi israeliane», in realtà hanno poi attaccato ogni nave che si dirigeva verso Israele, anche se non aveva legami con Israele. Mano a mano che sempre più navi mercantili venivano colpite dal lancio di missili, il tutto si trasformava in una minaccia diretta al traffico marittimo internazionale e all’attività economica globale.
RITARDI NELLA RISPOSTA DELL’OCCIDENTE
La leadership degli Houthi potrebbe essere stata indotta a questa strategia aggressiva dagli iraniani alloscopo di sostituire o integrare la minaccia posta da Hezbollah a Israele, che non è stata pienamente attuata. Tuttavia, è anche possibile che il loro leader, il citato Abdel-Malek al-Houthi, abbia acquisito fiducia in sé stesso e si sia innamorato del potere che ha scoperto di esercitare, considerandosi come qualcuno in grado di influenzare le dinamiche regionali a danno di Israele (e i suoi alleati) mentre questo è impegnato a combattere Hamas a Gaza. La pericolosa situazione che ne deriva costringe gli Stati Uniti, che fino a poco tempo fa cercavano di minimizzare il pericolo di una guerra regionale, a uno sforzo politico e militare finalizzato al coordinamento di Gran Bretagna, Francia, Giappone e altri Stati in una forza navale internazionale di nuova creazione che possa garantire la libera navigazione nel Mar Rosso e negli Stretti.
LE DUE OPZIONI: CONTENIMENTO E DIFESA OPPURE ATTACCO?
Gli Stati Uniti e la coalizione devono ora decidere se proseguire con una politica di contenimento e difesa oppure se optare per un attacco contro obiettivi strategici situati nel territorio sotto il controllo degli Houthi. Nel frattempo, però, si registrano posizioni contrastanti di due dei loro più importanti alleati, direttamente minacciati dagli Houthi: l’Arabia Saudita, che teme possibili danni causati dai missili lanciati sui suoi giacimenti e impianti petroliferi, e gli Emirati Arabi Uniti, presenti nello Yemen in coalizione con elementi separatisti nel sud del paese, che preferiscono una politica maggiormente aggressiva contro il nemico filoiraniano. Questo mentre non è ancora chiara la posizione dell’Egitto, un attore importante nella regione del Mar Rosso che dispone di una potente flotta militare, che sta soffrendo a causa degli effetti negativi sulle sue entrate fiscali derivanti dai transiti delle navi attraverso il Canale di Suez.
DISSUASIONE E DETERRENZA
Israele preferirebbe che una coalizione internazionale a guida statunitense si occupasse della minaccia costituita dagli Houthi. A mio avviso, Israele non dovrebbe rimanere passivo, rinunciando alla salvaguardia della propria libertà di navigazione nel Mar Rosso e negli Stretti, a maggior ragione alla luce delle esperienze maturate in precedenza, dopo che una situazione simile lo costrinse a impegnarsi in due guerre, quella del Sinai nel 1956 e quella dei sei giorni nel 1967. Dissuadere gli Houthi attraverso poderose azioni militari potrebbe rafforzare la deterrenza nei confronti di Hezbollah, contro i gruppi sciiti filo-iraniani in Siria e in Iraq e anche contro lo stesso Iran, che ha fatto dell’uso dei proxi lo strumento centrale nella sua strategia egemonica regionale. Questa è anche un’opportunità per Israele di rafforzare le relazioni sui piani strategico e militare con Arabia Saudita, Egitto ed Emirati Arabi Uniti.