a cura del professor avvocato Roberto De Vita e dell’avvocata Valentina Guerrisi, pubblicato su “DeVita Law” il 16 dicembre 2023, https://www.devita.law/estradizione-rifugiato-avvocato-generale/ – Come ricostruito nel nostro precedente contributo, con ordinanza depositata in data 1.06.2022 il Tribunale Superiore del Land Hamm ha avanzato domanda di pronuncia pregiudiziale alla CGUE, chiedendo se il riconoscimento definitivo dello status di rifugiato di una persona, ai sensi della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, da parte di uno Stato membro dell’Unione europea sia vincolante, con riguardo alla procedura di estradizione in altro Stato membro richiesto di consegna, in ragione dell’obbligo di interpretazione conforme della normativa nazionale stabilito dal diritto dell’Unione, con la conseguenza che l’estradizione di tale persona nel Paese terzo o nel paese di origine sia necessariamente esclusa fino alla revoca o alla scadenza dello status di rifugiato.
DECISIONE PILATESCA
Ebbene, nelle conclusioni depositate lo scorso 19 ottobre, l’Avvocato Generale ha espresso la propria posizione, suggerendo alla Corte una decisione pilatesca e poco coraggiosa che tenta, almeno in apparenza, di conciliare le prerogative degli Stati che accedono alle procedure di estradizione con la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo. Sebbene, infatti, le premesse sembrano deporre per una prevalenza di questi ultimi, le argomentazioni successive si risolvono in una soluzione di ritenuta autonomia e non interferenza tra le due procedure che, nella realtà dei fatti, incide sulla reale efficacia della protezione concessa al rifugiato.
ANALISI DELLA VICENDA
A esordio della propria memoria l’Avvocato Generale afferma che «anche se una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata in uno Stato membro non ha, allo stato attuale del diritto dell’Unione, effetto vincolante per l’autorità̀ incaricata di esaminare una domanda di estradizione in un altro Stato membro, resta il fatto che il procedimento di estradizione deve svolgersi nel rispetto del diritto di asilo sancito dall’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e, più in generale, del principio di non-refoulement che è garantito, in quanto diritto fondamentale, da tale stesso articolo della Carta, in combinato disposto con l’articolo 33 della Convenzione relativa allo status dei rifugiati […]». Dopo una dettagliata ricostruzione del contesto normativo e la disamina della specifica vicenda al vaglio del Tribunale tedesco, viene dedicato ampio spazio alla questione sottoposta alla Corte europea e alle varie posizioni assunte da tutti i soggetti coinvolti.
COMPETENZE DEGLI STATI MEMBRI UE
Viene anzitutto evidenziato come, in assenza di una convenzione internazionale in materia tra l’Unione e lo Stato terzo interessato (la Turchia) le norme in materia di estradizione rientrano nella competenza degli Stati membri, ma questi stessi Stati membri sono tenuti ad esercitare tale competenza nel rispetto del diritto dell’Unione. Inoltre, nella misura in cui il cittadino turco ha ottenuto lo status di rifugiato in Italia (in conformità con le norme del diritto derivato dell’Unione in materia di protezione internazionale) e ha successivamente esercitato il suo diritto di circolare e soggiornare in uno Stato membro diverso da quello che gli ha riconosciuto lo status di rifugiato, la questione inerente alla sua estradizione rientra nell’ambito del diritto dell’Unione.
RIFIUTO NON AUTOMATICO
Come risulta dall’articolo 6 della legge in materia di asilo, la decisione di uno Stato membro che riconosce lo status di rifugiato non produce effetto vincolante nell’ambito di un procedimento di estradizione in altro Stato membro e non deve quindi comportare automaticamente un rifiuto di estradizione. Lo stesso varrebbe se la decisione di riconoscimento dello status di rifugiato fosse stata presa da un’autorità del medesimo Stato richiesto della consegna. Tuttavia, si ammette che «Le parti e gli altri interessati nel presente procedimento concordano sul fatto che l’esistenza di una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato in uno Stato membro debba avere un rilievo significativo nell’ambito di un procedimento di estradizione in un altro Stato membro. Il disaccordo riguarda solo l’esatta portata degli effetti da attribuire a una tale decisione». Secondo l’Avvocato Generale, lo Stato membro è tenuto a garantire i diritti di asilo e di protezione internazionale e a verificare che la procedura di estradizione non pregiudichi i diritti fondamentali della persona, rifiutando la consegna verso un paese in cui esistono seri e comprovati motivi per ritenere che la persona sarebbe esposta a un rischio reale di trattamenti contrari alle norme dell’Unione e internazionali.
REVOCA STATUS RIFUGIATO ED ESTRADIZIONE
Tuttavia, da ciò non potrebbe derivarne il principio secondo cui lo Stato membro richiesto sia vincolato da una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da un altro Stato membro e sia, perciò, tenuto a rifiutarne la consegna finché tale status non venga revocato. E ciò in base a due ragioni. Da un lato, il diritto dell’Unione, allo stato attuale del suo sviluppo, non prevede il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri delle decisioni di riconoscimento dello status di rifugiato e, pertanto, una decisione del genere non può avere un diretto effetto vincolante nell’ambito di un procedimento di estradizione in un altro Stato membro. Dall’altro lato, la procedura di estradizione e la procedura di revoca dello status di rifugiato sono due procedure distinte, cosicché un’estradizione non può essere subordinata alla previa revoca dello status di rifugiato della persona richiesta, ma è soggetta ad un esame autonomo e aggiornato da parte dell’autorità competente in materia di estradizione relativo al rispetto del principio di non-refoulement.
RECIPROCO RICONOSCIMENTO DELLE DECISIONI SULLO STATUS
L’esistenza o meno di un principio del reciproco riconoscimento tra gli Stati membri delle decisioni di riconoscimento dello status di rifugiato è una questione sulla quale la Corte è chiamata a pronunciarsi in altri tre giudizi[2], oltre a quello qui in commento. Nel corso dell’udienza, le parti e gli altri interessati nel procedimento sono stati invitati dalla Corte a prendere posizione su tale delicata questione. L’Avvocato Generale concorda con il governo tedesco e la Commissione sul fatto che il diritto dell’Unione non preveda, allo stato attuale del suo sviluppo, un principio di reciproco riconoscimento tra gli Stati membri delle decisioni di riconoscimento dello status di rifugiato. Il governo italiano, invece, sostiene che lo spirito del sistema europeo comune di asilo deponga a favore di un tale riconoscimento, il che implicherebbe che una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da uno Stato membro dovrebbe essere vincolante per le autorità degli altri Stati membri. A sostegno di tale ultima posizione deporrebbero, inoltre, tutte le norme ed i criteri comuni cui si ispira il sistema europeo.
SISTEMA EUROPEO COMUNE DI ASILO
Tuttavia, si osserva come il legislatore dell’Unione non abbia ancora pienamente realizzato, mediante la previsione di un principio di reciproco riconoscimento tra gli Stati membri delle decisioni che accordano lo status di rifugiato e la precisazione delle modalità di attuazione di tale principio, l’obiettivo a cui tende l’articolo 78, paragrafo 2, lettera a), TFUE, ovvero uno status uniforme in materia di asilo a favore di cittadini di paesi terzi, valido in tutta l’Unione. Il diritto primario dell’Unione prevede, infatti, l’istituzione graduale del sistema europeo comune di asilo, da realizzarsi in più fasi, per giungere infine a uno status uniforme di asilo valido in tutta l’Unione. Come hanno sostenuto il governo tedesco e la Commissione, il sistema europeo comune di asilo viene costruito gradualmente e spetta unicamente al legislatore dell’Unione decidere, ove necessario, di attribuire un effetto transfrontaliero vincolante alle decisioni di riconoscimento dello status di rifugiato: «[…] sebbene la fiducia reciproca sia la base necessaria per il reciproco riconoscimento delle decisioni adottate dalle autorità competenti degli Stati membri […], tale fiducia non è però sufficiente se non è accompagnata da una disposizione esplicita nel diritto primario o da una espressa volontà del legislatore». Inoltre, in base a quanto previsto dalle Direttive 2011/95 e 2013/32, uno Stato membro investito di una domanda di protezione internazionale non è vincolato dalla precedente decisione di riconoscimento accordata da altro Stato, dovendo in ogni caso esaminare la domanda in modo individuale, obiettivo e imparziale, sulla base di informazioni precise e aggiornate.
AUTONOMIA TRA DUE PROCEDURE
Tra le argomentazioni utilizzate dal governo italiano vi è quella secondo la quale l’estradizione da parte di uno Stato membro di una persona che ha ottenuto lo status di rifugiato in un altro Stato membro costituirebbe una revoca di fatto di tale status e un’elusione delle norme stabilite al riguardo dalla direttiva 2011/95. Una eventuale estradizione dovrebbe essere, pertanto, subordinata alla previa revoca di tale status. Al contrario, sia il governo tedesco che la Commissione hanno sottolineato la distinzione tra la qualità e lo status di rifugiato, evidenziando che la perdita dello status di rifugiato non comporta necessariamente il venir meno della qualità di rifugiato. Al riguardo, si sottolinea che il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della direttiva 2011/95 ha natura ricognitiva e non costitutiva della qualità di rifugiato. Pertanto, nel sistema istituito dalla direttiva 2011/95, un cittadino di un paese terzo o un apolide che soddisfi le condizioni materiali contenute nel capo III di detta direttiva dispone, per questo solo fatto, della qualità di rifugiato, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), di detta direttiva e dell’articolo 1, sezione A, della Convenzione di Ginevra. La qualità di «rifugiato», ai sensi di tali disposizioni, non dipende quindi dal riconoscimento formale mediante la concessione dello «status di rifugiato»[3].
PRINCIPIO DI NON-REFOULEMENT
Occorre inoltre distinguere chiaramente tra il procedimento che può condurre uno Stato membro a revocare lo status di rifugiato e quello consistente nella valutazione del rispetto del principio di non-refoulement nell’ambito di un procedimento di allontanamento. In tal senso, conformemente al diritto dell’Unione, l’autorità competente può essere legittimata a revocare lo status di rifugiato riconosciuto a un cittadino di un paese terzo, senza tuttavia essere necessariamente autorizzata ad allontanarlo verso il suo paese di origine. Ne consegue che non è lo status di rifugiato in quanto tale a proteggere il beneficiario dall’estradizione, ma il principio di non-refoulement, che deve essere valutato in maniera autonoma ed oggettiva da parte dello Stato richiesto di consegna. E l’esistenza stessa di quest’ultimo obbligo escluderebbe, secondo l’Avvocato Generale, l’effetto vincolante di una precedente decisione di riconoscimento poiché verrebbe meno il potere discrezionale dell’autorità incaricata di decidere sulla consegna: «Una valutazione aggiornata del rispetto del principio di non-refoulement sarebbe impossibile se tale autorità̀ fosse vincolata dalla valutazione effettuata in precedenza, a volte addirittura diversi anni prima, da un’autorità̀ competente in materia di asilo in un altro Stato membro. Occorre inoltre tenere presente che una domanda di estradizione può̀ portare alla luce nuovi elementi che possono giustificare una diversa valutazione del rischio di persecuzione cui è esposta la persona richiesta». Pertanto, sussisterebbe completa autonomia e separazione tra le due procedure. Tuttavia un precedente riconoscimento dello status di rifugiato dovrebbe comunque «essere tenuto in debita considerazione» dall’autorità che esamina la richiesta di estradizione.
IL CONCRETO VALORE DELLO STATUS DI RIFUGIATO
Sulla scorta di tale ultima considerazione, l’Avvocato generale conclude il suo ragionamento richiamando l’importanza che, in ogni caso, deve assumere l’esistenza di un precedente provvedimento di riconoscimento dello status di rifugiato. La questione è stata già affrontata dalla Corte nella causa Ruska Federacija[4] relativa all’estradizione richiesta dalla Federazione russa di un cittadino russo-islandese a cui era stato concesso asilo in Islanda prima di acquisire la cittadinanza di tale Stato. In tale sentenza, la Corte aveva stabilito che lo Stato membro richiesto doveva valutare se l’estradizione fosse compatibile con l’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, in quanto il cittadino islandese sosteneva che vi era un rischio serio di trattamenti inumani o degradanti in caso di estradizione. A tal fine, lo Stato membro non può limitarsi a prendere in considerazione le sole dichiarazioni dello Stato terzo richiedente o l’accettazione, da parte di quest’ultimo, di trattati internazionali che garantiscono, in via di principio, il rispetto dei diritti fondamentali. La valutazione deve fondarsi, invece, su elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati, che possono risultare da decisioni giudiziarie internazionali (quali sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo o da decisioni giudiziarie dello Stato terzo richiedente) nonché da decisioni, relazioni e altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d’Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite.
TRATTAMENTI INUMANI O DEGRADANTI
Inoltre, la circostanza che alla persona richiesta fosse stato concesso l’asilo per il motivo che la stessa correva un rischio di subire trattamenti inumani o degradanti nel suo paese di origine costituiva un elemento particolarmente serio di cui l’autorità competente dello Stato membro richiesto doveva tenere conto ai fini della verifica per l’estradizione. Secondo la Corte, dunque, in assenza di circostanze specifiche (tra cui un’evoluzione significativa della situazione nello Stato terzo richiedente) l’esistenza di una precedente decisione di concessione di asilo deve portare l’autorità competente dello Stato membro richiesto, a rifiutare l’estradizione. Tale precedente, però, sarebbe in parte diverso da quello in esame poiché la Repubblica di Islanda (ovvero lo Stato che aveva concesso l’asilo al cittadino russo), pur partecipando al sistema di Dublino sul diritto di asilo, non fa parte dell’Unione Europea e pertanto non applica le direttive 2011/95 e 2013/32. Tuttavia, secondo l’Avvocato generale, se la Corte ha riconosciuto l’importanza di tenere conto nel procedimento di estradizione di una decisione di concedere asilo adottata dalla Repubblica d’Islanda, lo stesso deve valere, a maggior ragione, se la decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da uno Stato membro. Pertanto, sebbene la decisione di riconoscimento dello status di rifugiato non possa ritenersi vincolante per uno Stato membro richiesto dell’estradizione, è pur vero che la stessa non possa essere ignorata né ritenuta irrilevante, perché ciò contrasterebbe con lo spirito di cooperazione e di fiducia reciproca tra le autorità degli Stati membri e sarebbe certamente contrario al processo di costruzione di un sistema europeo comune di asilo, come previsto dall’articolo 78, paragrafo 2, TFUE.
CONCLUSIONI
Sulla base di tale lungo excursus, l’Avvocato Generale conclude il suo intervento suggerendo alla Corte di adottare la propria decisione sulla base dei principi espressi nella pronuncia Ruska Federacija, ferma restando l’autonomia delle due procedure ed il carattere non vincolante di una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato rispetto ad una successiva richiesta di estradizione. Pertanto, lo Stato membro richiesto di consegna non dovrebbe automaticamente rifiutare la consegna ma garantire il rispetto del principio di non-refoulement sulla base di una valutazione autonoma ed oggettiva e di elementi aggiornati e seri, tra i quali rientra senza dubbio una precedente decisione di riconoscimento del diritto di asilo. Una conclusione, questa, che sembra in parte stridere con molte delle argomentazioni esposte (tra cui proprio quelle afferenti alla decisione Ruska Federacija) e che opta per una soluzione poco coraggiosa che potrebbe incidere sulla reale efficacia del meccanismo di riconoscimento della protezione internazionale e della tutela dei diritti fondamentali del rifugiato.
RIFERIMENTI
[1] Conclusioni dell’Avvocato Generale.
[2] Bundesrepublik Deutschland (C-753/22), El Baheer (C-288/23) e Cassen (C-551/23).
[3] Ai sensi dell’articolo 2, lettera e), della direttiva 2011/95, letto in combinato disposto con l’articolo 13 di quest’ultima.
[4] Causa C-897/19 – https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:62019CJ0897