VATICANO, Curia romana e scandali. Caso Becciu: il cardinale condannato a cinque anni e sei mesi di reclusione

L’ex sostituto per gli Affari generali ed ex prefetto per le Cause dei santi, sollevato tre anni fa dal Pontefice da questa carica e dalle prerogative del cardinalato, oltre alla pena è stato interdetto perpetuamente dai pubblici uffici e dovrà versare ottomila euro di multa. Il processo ha avuto a oggetto la gestione dei fondi della Segreteria di Stato e la compravendita dell’immobile di Londra. Il prelato sardo è il primo nella storia della Chiesa cattolica romana a subire una sanzione penale entro le Mura leonine da una corte di Giustizia composta da laici. Il suo legale ha reso noto che ricorrererà in appello. L'accusa aveva chiesto sette anni e tre mesi di reclusione, ma la pena irrogata è di cinque anni e sei mesi, inferiore ma non certo lieve. Ad avviso dell'accusa le malversazioni avrebbero cagionato alla Santa Sede perdite superiori ai duecento milioni di euro

Angelo Becciu è stato riconosciuto colpevole di due atti di peculato, quello relativo all’investimento iniziale nello stabile sito in Sloane Avenue a Londra e quello avente a oggetto i 125.000 euro che fece pervenire alla cooperativa Spes di Ozieri, gestita dal proprio fratello Antonino. Una truffa aggravata posta in essere in concorso con (l’asserita) esperta di intelligence Cecilia Marogna, in quanto ad avviso del Tribunale vaticano i 575.000 euro della Segreteria di Stato inviati alla di lei società con sede in Slovenia, la Logsic, non sarebbero stati utilizzati allo scopo di ottenere la liberazione di una suora colombiana rapita in Mali, come veniva sostenuto, bensì per proprio lucro. Becciu è stato invece assolto dalle altre accuse di peculato a suo carico, oltreché dall’abuso d’ufficio e dalla subornazione del testimone, monsignor Alberto Perlasca.

IL CARDINALE BECCIU RITENUTO COLPEVOLE

«Ribadiamo l’innocenza del cardinale Becciu e faremo appello», ha dichiarato l’avvocato Fabio Viglione, difensore del prelato imputati, al momento della lettura del dispositivo della sentenza, aggiungendo inoltre che rispetteranno la sentenza, «ma certamente ricorreremo». Quindi, in una nota diffusa di concerto con la collega Maria Concetta Marzo, il legale ha reso noto come ci sia «profonda amarezza dopo ottantasei udienze, nel prendere atto che l’innocenza del cardinale Becciu non sia stata proclamata nonostante tutte le accuse si siano rivelate completamente infondate. Le prove emerse nel processo, la genesi delle accuse al cardinale, frutto di una dimostrata macchinazione ai suoi danni, e la sua innocenza, ci consentono di guardare all’appello con immutata fiducia».

RITENUTO VALIDO L’IMPIANTO ACCUSATORIO

Il Tribunale di primo grado, presieduto da Giuseppe Pignatone (a latere i giudici Venerando Marano e Carlo Bonzano) seppure abbia respinto nel loro complesso parte delle accuse di cui erano stati fatti carico i dieci imputati, ha tuttavia preso in considerazione buona parte dell’impianto accusatorio. Dei settantatré anni e un mese di reclusione richiesti dal Promotore di Giustizia Alessandro Diddi, la Corte, a seguito di quattro ore e mezza di camera di consiglio, ne ha irrogati trentasette e un mese. Unica assoluzione quella di monsignor Mauro Carlino, già segretario di Becciu ed ex membro dell’Ufficio amministrativo, attualmente parroco a Lecce, sua città natale. Condannati inoltre il consulente Enrico Crasso (pena di sette anni di reclusione), il broker Raffaele Mincione (cinque anni e sei mesi), il funzionario vaticano Fabrizio Tirabassi (sette anni e sei mesi), l’avvocato Nicola Squillace (un anno e dieci mesi, ma la pena è stata sospesa), il broker Gianluigi Torzi (sei anni), Cecilia Marogna (tre anni e nove mesi), mentre René Bruelhart e Tommaso Di Ruzza (già al vertice dell’AIF, l’Autorità di Informazione finanziaria vaticana) sono stati condannati a pene pecuniarie.

SI ATTENDONO I RICORSI IN SECONDO GRADO

Rilevanti anche le confische ordinate dal Tribunale: oltre 166 milioni di euro complessivi, pari ai corpi dei reati contestati, mentre gli imputati sono stati anche condannati in solido tra loro al risarcimento dei danni alle parti civili, cioè la Segreteria di Stato, l’APSA, lo IOR e l’ASIF, risarcimento ammontante a oltre duecento milioni di euro. Prima di ritirarsi per deliberare, Pignatone ha sottolineato come risulti «confermato che il contraddittorio tra le parti è il metodo migliore per raggiungere la verità processuale al fine di cercare di avvicinarsi alla verità senza aggettivi». In attesa del deposito delle motivazioni della sentenza, tutti gli imputati prevedono di ricorrere al giudizio di secondo grado ed, eventualmente, anche di terzo grado; alcuni paventano addirittura la possibilità di adire la Corte europea dei Diritti dell’uomo, ritenendo essi «i forti rilievi sul giusto processo in Vaticano».

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