Nel corso del suo primo anno trascorso alla guida del Comitato straordinario di tutte le Russie per combattere la controrivoluzioe e il sabotaggio, organismo bolscevico meglio noto come «Ceka», Feliks Dzerzinskij fu solito lavorare, nutrirsi e riposare nel suo ufficio alla Lubjanka. tanto era il lavoro della nuova polizia politica del Paese che aveva appena mutato la sua struttura di potere, passando dallo zarismo al socialismo. Molti erano i nemici del comunismo, in patria e all’estero, e una sanguinosa guerra tra Bianchi e Rossi avrebbe caratterizzato gli anni a venire.
DALL’OPRICNINA AL KGB PASSANDO PER LA CEKA
«Un cekista deve avere cuore caldo, mente fredda e mano ferma», questo l’insegnamento dato da Dzerzinskij ai suoi compagni che lo affiancarono nella dura repressione ed eliminazione di ogni potenziale o lontanamente immaginabile avversario politico e di classe. Un altro adagio ricorrente negli ambienti della polizia politica leninista a quel tempo indicava nella Ceka «non un tribunale speciale rivoluzionario, bensì un vero e proprio strumento della Rivoluzione», con tutte le conseguenze immaginabili in termini di annullamento dei diritti della persona in funzione del conseguimento della stabilizzazione dello Stato socialista.
NEL MITO DI FELIKS, «UOMO DI FERRO»
Il monumento eretto a Dzerzinskij, figura di riferimento degli agenti dei servizi segreti sovietici fino e oltre gli anni del Kgb sovietico, sarebbe rimasta al centro della rotatoria nella piazza antistante il palazzo della Lubjanka fino a che l’Unione sovietica esistette. L’intera storia delle polizie politiche e dei servizi segreti russi viene ripercorsa nel saggio di Gabriele Faggioni intitolato “I servizi segreti sovietici dagli zar all’ascesa di Putin”, volume edito per i tipi di Odoya presentato il 30 novembre scorso a Roma presso l’UNAR, Unione Associazioni regionali, nel corso di un evento organizzato da Famija Piemontèisa Piemontesi a Roma, Studio Scopelliti Ugolini e Associazione della Tuscia.
I SERVIZI SEGRETI DELL’ASSE
Nella medesima occasione l’autore – affiancato dalla professoressa Maria Gabriella Pasqualini, esperta della materia relativa ai servizi segreti italiani e già docente presso la Scuola Ufficiali dell’Arma dei Carabinieri – ha presentato un altro suo saggio, stavolta sui servizi segreti italiani e tedeschi nel periodo della Seconda guerra mondiale, “I servizi segreti dell’Asse: l’organizzazione e le missioni di spionaggio e controspionaggio 1939-1945”. Interessante esposizione che ha tuttavia preso le mosse da un sintetico quadro storico sulle ristrutturazioni che hanno interessato i servizi di informazione per la sicurezza dello Stato repubblicano.
GLI INCUNABOLI DELL’APPARATO ITALIANO
Se nei primi anni del XX Secolo i servizi segreti italiani (a quel tempo esclusivamente militari) vennero costituiti forse con una scarsa considerazione riguardo la loro concreta importanza, ai loro incunaboli assunsero una struttura estremamente ridotta e competenze concentrate principalmente sull’espansionismo militare francese (il potenziale nemico) e, perché no, anche sugli alleati di allora, cioè Austria Ungheria e Germania. Un colonnello al comando, qualche ufficiale (immancabili quelli dei Carabinieri), qualche interprete, dotazioni finanziarie ridottissime (50.000 lire all’anno) e un ufficio ubicato in un ammezzato di tre stanze al Ministero della Guerra. Nulla a che vedere con quello che sarebbe divenuto in seguito il Servizio informazioni militari (Sim), soprattutto durante il periodo della dittatura fascista.
IL FASCISMO E LA GUERRA
Poi ci sarebbe stata la disastrosa guerra di Mussolini che avrebbe portato il Paese al disastro, quindi la Repubblica, con il Sim che venne trasformato in Ufficio Informazioni dello Stato Maggiore Generale. Il generale Roatta, in precedenza a capo del Sim e co-responsabile dell’assassinio dei fratelli Rosselli perpetrato in Francia negli anni Trenta, si rese latitante nei primi giorni di marzo del 1945. Il 31 dicembre di quello stesso anno il servizio segreto militare venne sciolto dal Governo del CLN e, da quella data iniziò un periodo di vacatio nell’intelligence del Paese appena uscito dalla guerra e occupato dalle truppe alleate, periodo che si sarebbe protratto ufficialmente per alcuni anni.