USA, politica e strategie. Aiuti militari all’estero: i dubbi di una parte degli americani mettono l’Amministrazione Biden in difficoltà

Si avvicinano le primarie per le prossime presidenziali e mercoledì scorso a Washington i senatori repubblicani hanno bloccato la richiesta della Casa Bianca di 106 miliardi di dollari in aiuti di emergenza, finanziamenti che verrebbero destinati principalmente all’Ucraina e a Israele

a cura di Giuseppe Morabito, generale in ausiliaria dell’Esercito italiano attualmente membro del direttorio della NATO Defense College Foundation – Il voto ha segnato una sconfitta significativa per il presidente Joe Biden, che all’inizio di quella stessa giornata aveva avvertito il Congresso che secondo lui Putin non si sarebbe fermato con la «vittoria» in Ucraina, ma potrebbe persino attaccare uno Stato membro della NATO.

IL FALLIMENTO DELLA CONTROFFENSIVA DI KIEV

Si tratta di qualcosa di preoccupante, perché alla fine anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha dovuto ammettere che la situazione sul campo non appare favorevole, dichiarando pochi giorni fa che «la guerra è entrata in una nuova fase». La controffensiva ucraina è ufficialmente fallita e la nuova strategia che adesso viene suggerita dagli alleati della NATO è la “difesa fortificata”, concepita per reggere e resistere in un 2024 che sarà l’anno più difficile dall’inizio dell’invasione militare russa. Ogni ipotesi di intavolare negoziati al fine di far tacere le armi è congelata nell’inverno delle steppe e, come ormai evidente, il tempo che passa gioca a favore del Cremlino.

IL «PACCHETTO» DI AIUTI AMERICANO

Il pacchetto di aiuti americano includerebbe sessanta miliardi di dollari in aiuto dell’Ucraina, allo scopo di mantenere una significativa pressione sulla Russia durante i mesi invernali, mentre dieci miliardi di dollari verrebbero versati a Israele, impegnato nella guerra ai terroristi di Hamas; infine, il rimanente, cioè alcuni miliardi, andrebbero in sostegno della Repubblica di Cina Taiwan, quale deterrente in considerazione che l’isola è continuamente minacciata dalla Cina Popolare. Biden ha guidato la coalizione globale che sostiene Kiev, ma l’appoggio dei repubblicani al Congresso è diminuito e l’amministrazione ha avvertito che finirà i soldi per ulteriori aiuti all’Ucraina nelle prossime settimane, a meno che i legislatori non intervengano.

VERSO UN COMPROMESSO SIGNIFICATIVO?

Biden ha subito pressioni da parte dei progressisti e ha promesso nel corso di un appassionato discorso televisivo che avrebbe accettato un «compromesso significativo», aggiunto inoltre che «francamente, penso che sia sorprendente che siamo arrivati a questo punto, in cui i repubblicani al Congresso sono disposti a fare a Putin il dono più grande che possa sperare». Il presidente americano ha reso queste dichiarazioni a seguito di un video-vertice con il presidente ucraino e i leader dei paesi del G7 nel corso del quale erano state discusse le modalità di aiuto occidentale a Kiev. Il presidente ucraino ha confermato come, secondo lui, Mosca conti sul fatto che l’unità occidentale possa crollare l’anno prossimo, sostenendo altresì che la Russia ha aumentato la pressione sulla prima linea del fronte.

PRECARIE PROSPETTIVE

In effetti, le precarie prospettive per il pacchetto di aiuti erano parse chiare fin dal briefing dei senatori sull’Ucraina di martedì scorso, che aveva visto diversi repubblicani allontanarsi contrariati per il fatto che non si fosse parlato di sicurezza delle frontiere americane, cioè dell’altro argomento sensibile in discussione a Washington. Fonti ucraine hanno riferito che Zelensky avrebbe dovuto lanciare un ulteriore appello  in videoconferenza, ma all’ultimo minuto ha rinunciato. Nella Camera a guida repubblicana, il presidente Mike Johnson, che ha votato contro gli aiuti a Kiev prima di assumere questo incarico, ha chiarito che non accetterà di inviare ulteriori fondi senza modifiche «trasformative» alla politica di frontiera americana. Egli ha anche dichiarato che qualsiasi aiuto a Israele dovrà venire compensato con tagli alla spesa, una politica alla quale i democratici, la Casa Bianca e la maggior parte dei repubblicani del Senato si oppongono.

IN OGNI CASO IL DIPARTIMENTO DI STATO INVIA GLI HIMARS

In tale chiave è da sottolineare la posizione di un democratico, Joe Manchin, (spesso spina nel fianco della Casa Bianca) che ha espresso sostegno al pacchetto sicurezza, ma solo a causa della promessa che gli emendamenti sulla sicurezza delle frontiere potrebbero essere aggiunti in seguito. Significativa ai fini della comprensione degli umori interni ai governanti statunitensi è stata la sua affermazione: «Nel più grande paese della Terra non dobbiamo scegliere tra proteggere la nostra patria e difendere i nostri alleati». Comunque, nel frattempo qualcosa è avvenuto: mercoledì il Dipartimento di Stato ha annunciato, separatamente, una tranche temporanea di 175 milioni di dollari di nuovi aiuti per l’Ucraina, tra cui figurano razzi, proiettili, missili e munizioni Himars.

PROIETTI AMERICANI PER I MERKAVA DI TSAHAL

Inoltre, lo stesso governo degli Stati Uniti d’America ha approvato, con urgenza e  senza transitare dal Congresso, la vendita a Israele di 14.000 proietti da 120 mm per i carri armati Merkava, che le Forze di Difesa dello Stato ebraico stanno impiegando nel conflitto nella striscia di Gaza. Si tratta di una fornitura del valore pari a 106,5 milioni di dollari, cifra resa pubblica dal Dipartimento di Stato e dal Pentagono, che hanno così confermato le anticipazioni della stampa. Oggi (ieri, n.d.r.) si è poi appreso che gli intensi combattimenti nel Territorio palestinese potrebbero proseguire ancora per altri due mesi.

Condividi: