Di fronte a eventi quali la morte ci si sente impotenti. Si è impotenti. Ma essa non è altro che una fase di un ciclo, quello della vita. Ne è l’epilogo. Per alcuni, più sfortunati, prematuro, per altri sereno, infine, per altri ancora, doloroso. Come doloroso è il distacco dalle persone care, un trauma che spesso è uno stimolo alla riflessione.
DOLORE E RIFLESSIONE
Il dolore e la sopravvivenza allo scomparso. È inesorabile il prevalere della necessità di sopravvivergli. Egli permarrà nei ricordi, in ciò che avrà fatto e detto. Tuttavia, in quei drammatici istanti del distacco che chi trova la forza di fissare sulla carta, vergandoli con un lapis o una biro occasionale, pensieri plasmati in parole, sentimenti grandi, che magari non aveva mai espresso in vita alla persona cara ormai dipartita, ma che adesso si rende conto che avrebbe voluto fare.
SENTIMENTI IMPRESSI SULLA CARTA
Non sappiamo se è stato il caso di Rosetta Maria Capillo quando ha composto questi versi, di certo c’è la partecipazione che registriamo evitando di commentarli, proprio perché essa è personale, ed è bene che per tale ragione divengano patrimonio di tutti e tutti li possano interpretare a seconda del proprio animo. Per questo abbiamo deciso di pubblicarli.
NOI LÌ
Tale è il valore dell’essere umano,
un pugno di cenere in uno scrigno.
Ornato d’oro è il nero dormire di un agonizzante corpo
vivo solo per un sofferto respiro.
Male incurabile che divora,
non si sazia, vorace e inarrestabile.
Mangia dal dentro e tutto consuma,
fuori solo due occhi e un viso ormai rassegnato al sonno,
ma non alla vita.
Finì tutto in un attimo:
il male sconfitto solo dal coraggio di affrontarlo,
senza un lamento.
E noi lì, a consolare una vita ormai spenta,
con la nostra presenza, unita e forte.
A guardare quel male inarrestabile e velocissimo
che nessuno di noi avrebbe mai potuto fermare.