Raccontare un continente che nel panorama dell’informazione «non si vede» a causa degli stereotipi e dei pregiudizi, fare dunque notizia con l’Africa che invece funzione e che, non solo «è tanta», ma che sta anche vivendo una fase rivoluzionaria sul piano delle trasformazioni, questo il principio informatore di base che ha animato l’iniziativa del gruppo di (allora) giovani coraggiosi che dieci anni or sono dettero vita al periodico specializzato “Africa e Affari”.
L’AFRICA CHE NON SI VEDE
Già, poiché quello africano è un continente davvero grande e complesso che non si può assolutamente più ridurre al cliché ancora incrostato in parte dell’immaginario collettivo, quello che lo dipinge come una savana dove echeggiano i tamburi, un mondo di capanne e sottosviluppo e conflitti, ovvero di metropoli sovrappopolate dove all’eccessiva antropizzazione si associa il disordine e l’ingovernabilità. È ovviamente pacifico che non pochi gravi problemi affliggano l’Africa, prima fra tutti l’instabilità politica foriera di regresso nello sviluppo, come i suoi drammatici effetti, i conflitti e le sacche di guerra civile, con i sette colpi di stato militari concentrati negli ultimi tre anni nella sua parte occidentale, mentre un po’ ovunque casi di stati che si frantumano e, probabilmente, non si ricomporranno più, coma la Libia e il Sudan. Tuttavia, essa viene attualmente interessata anche da dinamiche interessanti ai fini dello sviluppo, che però andrebbero governate.
MUTAZIONI ANTROPOLOGICHE E SOCIALI
Cinquantaquattro Paesi, numerosi scenari diversi, una crescita demografica spinta (tra ventisette anni in Africa ci saranno un miliardo di abitanti in più, mentre nel 2100 la popolazione raggiungerà i quattro miliardi di persone), un incremento del peso della classe media e l’istituzione di un’area continentale di libero scambio: l’Africa, dunque, non resta ferma affatto. È un luogo che muta antropologicamente e sociologicamente, popolato per un 70% da giovani, persone caratterizzate da uno spiccato individualismo, ormai privi dei sogni dei loro padri. Essi guardano avanti, cercano anche loro un ascensore sociale e provano a rinvenirlo nel business, ma anche in strade nuove (ed ecco l’emigrazione) quando non, purtroppo, nelle scelte distruttive delle milizie armate e delle organizzazioni criminali. È questa la ragione per la quale si rende necessario investire nelle persone, poiché l’Africa ha un grande bisogno di formazione.
IL CONTINENTE DEL FUTURO
Insomma, l’Africa è il continente del futuro, come appunto recita il sottotitolo scelto dieci anni fa dagli ideatori del mensile “Africa e Affari”, uno slogan che in seguito è divenuto una sorta di manifesto. Tutte considerazioni svolte nella mattinata di ieri nel corso del convegno in occasione del decennio di attività del periodico diretto da Massimo Zaurrini e Gianfranco Belgrano, evento che ha avuto luogo a Roma, presso la suggestiva sede della Società geografica italiana a Villa Celimontana, reso possibile anche grazie alla collaborazione fornita da Qatar Airways. «Era il 2013 – ha affermato al riguardo Belgrano – e di Africa si parlava quasi esclusivamente in termini di problemi, conflitti e flussi migratori. Oggi, a dieci anni di distanza possiamo dire che la narrativa sul continente comincia a cambiare, perché accanto a un racconto di Africa tradizionale, per così dire, inizia a farsi strada un’immagine di sviluppo».
GLI INCUNABOLI
«Iniziammo nel dicembre del 2013, quando alla Farnesina c’era Emma Bonino – ricorda Zaurrini -, fu lei a promuovere un’iniziativa sull’Africa al Ministero. In quella fase la cooperazione allo sviluppo era ridotta al lumicino». L’intenzione era quella di ricreare un partenariato che non c’era più dagli anni Sessanta, allora consistito principalmente da iniziative di imprese pubbliche. Dieci anni fa gli incontri ripresero e con cadenza annuale vennero convocati delle sessioni. Oggi l’esecutivo attualmente in carica ha upgradato il tutto con l’intenzione di renderlo un vertice riservato a capi di stato e di governo, però, per il momento la cosa è stata rinviata al prossimo mese di gennaio. Adesso al centro dell’attenzione c’è il cosiddetto Piano Mattei, concentrato su imprese e investimenti, che può contare su tre miliardi di euro del Fondo clima e circa ottocento milioni del Fondo rotativo, risorse attraverso le quali si dovrebbe fare ingresso, in tutto (acquisendole) o in parte, nei capitali delle imprese africane, con lo modalità di intervento alternativa della joint venture.
I PERCHÉ DEL PIANO MATTEI
Anche in questo caso Palazzo Chigi ha accentrato tutto istituendo una cabina di regia, con la struttura di missione collocata presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e diretta da un diplomatico. «Si tratta di una operazione che presenta i suoi margini di rischio – ha sottolineato sempre nell’evento di ieri il professor Mario Giro, già viceministro degli Affari esteri con delega alla Cooperazione internazionale e autorevole esponente della Comunità di Sant’Egidio -, poiché essa richiede le necessarie specifiche competenze, cioè in primo luogo la conoscenza del funzionamento delle banche di sviluppo e delle banche africane, oltreché del terreno dove si va ad agire. È un contesto sicuramente difficile, per di più in una delicata fase delle relazioni internazionali nella quale in Africa si registra la riemersione, spesso indotta strumentalmente dall’esterno, della narrativa relativa alla neo colonizzazione da contrastare»
MUTANO I RAPPORTI: SFIDE E OPPORTUNITÀ
Argomentando, Giro ha quindi posto un interrogativo: «La politica italiana ha compreso che bisogna parlare con quel continente? Mi pare che Italia ed Europa ci parlino soltanto di aspetti relativi alle migrazioni, in fondo anche il Piano Mattei nasce da questa esigenza. Ma, la leva delle migrazioni non si arresterà, dunque cerchiamo almeno di gestirla al meglio e trarne dei benefici». Tornando all’incontro di Villa Celimontana, va rilevato che Internationalia, la casa editrice del periodico, lo ha organizzato allo scopo di fare il punto sui rapporti intercorrenti tra Italia e Africa, raccogliendo spunti analitici e riflessioni riguardo ai dieci anni appena trascorsi e a quelli che seguiranno. In questo senso è importante rilevare come questi ultimi dieci anni siano stati davvero rivoluzionari con riguardo al ruolo svolto dall’Africa, con i suoi paesi sempre più presenti sullo scacchiere internazionale, assertivi e pragmatici. I rapporti sono cambiati rispetto al passato, il che significa sfide e opportunità per l’Europa.
INVESTIRE NELLO SVILUPPO UMANO
A questo punto vanno tenuti nella debita considerazione sia gli elementi di sviluppo che le criticità, come, nel primo caso, la digitalizzazione diffusa e il necessario sviluppo umano (nel convegno si è appunto sottolineata l’importanza dell’accesso all’istruzione per i giovani africani). Il 2022 è stato un anno record per l’Italia, che ha realizzato complessivamente sessantotto miliardi di euro di interscambio commerciale con l’Africa (quale termine di confronto si prende in esame la Federazione Russa, con soli dieci miliardi di dollari), mentre ventuno miliardi di euro è stato l’ammontare degli investimenti diretti. Tuttavia, non si è assistito a un vero e proprio cambio di passo, seppure si registrino segnali di cambiamento dovuti alla crescita della platea di soggetti economici interessati al continente, con Ice e Sace che costituiscono i due strumenti istituzionali principali della penetrazione economica italiana.
di seguito è possibile ascoltare la registrazione audio integrale dell’evento (A593)