ISRAELE, conflitto. Da Teheran velate minacce all’Italia: nel mirino i militari di Unifil-2

Da Teheran, intervistato da Oliviero Bergamini per il TG1, il ministro degli esteri della Repubblica Islamica, Hossein Amir Abdollahian, ha dichiarato che «l’Italia deve stare attenta ai suoi soldati in Libano», aggiungendo che la guerra si espanderà «se Israele non si ferma». Nella giornata di ieri ha inoltre avuto luogo una telefonata tra il Pontefice e il presidente iraniano Ebrahim Raisi. Prosegue incessante l’attivismo diplomatico vaticano teso a porre fine alla crisi

Sono attualmente più di 1.100 i militari italiani inviati nel Libano meridionale nel quadro della missione delle Nazioni Unite Unifil-2, si tratta di un contingente parte di un dispositivo multinazionale che opera a immediato ridosso della frontiera del Paese dei cedri con Israele, in quella fascia di territorio che si estende a nord fino alla linea tracciata dal fiume Litani, area controllata in massima parte dalla milizia sciita filoiraniana Hezbollah.

SOTTO IL FUOCO DEI BELLIGERANTI

Recentemente, presso il comando Unifil, nella base costiera di Naqura, si è recato in visita il generale Francesco Paolo Figliuolo,  elemento apicale del Comando operativo di vertice interforze dello Stato maggiore della Difesa (Covi). Si tratta di quella stessa basa che alla metà dello scorso mese di ottobre era stata colpita da un razzo a seguito di un intenso scambio di fuoco tra i miliziani di Hezbollah e l’Esercito israeliano verificatosi a cavallo della cosiddetta «Linea blu».

«L’ITALIA DEVE PREOCCUPARSI PER I SUOI MILITARI»

Tornando alle dichiarazioni di Abdollahian, rese nel corso di un’intervista rilasciata all’inviato del TG1 Oliviero Bergamini, «l’Italia deve preoccuparsi per i suoi militari in Libano, dal momento che l’area di confine è molto instabile, ci sono scontri ogni giorno ed Hezbollah ha una propria strategia». Il ministro degli esteri della Repubblica Islamica dell’Iran ha poi aggiunto che «la guerra si espanderà inevitabilmente se Israele continuerà con i suoi attacchi contro i civili a Gaza», poiché «in Libano e nello Yemen operano altre forze di resistenza che potrebbero incrementare le loro azioni».

«ROMA DEVE PREMERE SU WASHINGTON, ALTRIMENTI IL CONFLITTO ESPLODERÀ»

«Riconosciamo Hamas come legittima forza di resistenza contro l’oppressione del popolo palestinese – ha aggiunto il ministro iraniano -, non approviamo l’uccisione dei bambini, ma a Gaza sono già morti migliaia di bambini palestinesi e anche questo è disumano. Il 7 ottobre Israele è crollato: è crollato il suo sistema di sicurezza e politico. Resta soltanto la sua potenza militare che è manovrata dagli americani. L’Italia dovrebbe fare pressione sugli Stati Uniti per ottenere un immediato cessate il fuoco, altrimenti il conflitto esploderà».

HAMAS E L’IRAN: HANIYEH DA KHAMENEI

Parole affatto casuali quelle pronunziate da Abdollahian, visto che nella medesima giornata di ieri il capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, accompagnato a Teheran da una delegazione del suo movimento, è stato ricevuto dalla Guida suprema della Repubblica islamica Ali Khamenei. «La politica permanente della dell’Iran è di sostenere le forze della resistenza palestinese contro i sionisti occupanti – quest’ultimo ha twittato su “X” nell’occasione riferendosi all’incontro con il leader islamista radicale palestinese -, i crimini del regime sionista a Gaza sono direttamente sostenuti dagli Stati Uniti d’America e da alcuni governi occidentali».

APPELLO DI TEHERAN AGLI STATI MUSULMANI

Durante il colloquio con Haniyeh, Khamenei ha sottolineato la necessità da parte dei Paesi islamici e delle Istituzioni internazionali di assumere urgentemente misure al fine di fermare gli attacchi di Israele contro la striscia di Gaza, lanciando altresì un appello agli Stati musulmani affinché «forniscano un sostegno pratico alla popolazione di Gaza». La giornata di ieri ha registrato un intenso attivismo diplomatico della teocrazia di Teheran, infatti, nel pomeriggio il Pontefice ha avuto una conversazione telefonica con il presidente iraniano Ebrahim Raisi, un colloquio richiesto da quest’ultimo.

TELEFONATA DI RAISI AL PAPA

Secondo quanto riferisce la presidenza della Repubblica Islamica e l’agenzia di stampa Isna, Raisi avrebbe sottolineato al suo interlocutore come «i crimini orribili e senza precedenti del regime usurpatore sionista siano il più grande genocidio del secolo». Nella mattinata, all’angelus in piazza San Pietro, riferendosi alla grave situazione in Palestina e in Israele, il Pontefice aveva rinnovato il proprio appello a cessare il fuoco. «Auspico che si percorrano tutte le vie affinché si eviti assolutamente un allargamento del conflitto e si possano soccorrere i feriti, e gli aiuti arrivino alla popolazione di Gaza, dove la situazione umanitaria è gravissima. Si liberino subito gli ostaggi, tra di loro ci sono anche tanti bambini. Tornino alle loro famiglie. Pensiamo ai bambini, a tutti i bambini coinvolti in questa guerra come anche in Ucraina e in altri conflitti. Così si sta uccidendo il loro futuro».

IL PRECEDENTE COLLOQUIO DI BERGOGLIO CON MAHMOUD ABBAS

Quattro giorni fa Papa Francesco aveva avuto una conversazione telefonica con il presidente dell’Amministrazione nazionale palestinese (Anp) Mahmoud Abbas, i cui dettagli erano poi stati resi noti dall’agenzia di stampa Wafa. Abbas aveva espresso il suo apprezzamento per gli sforzi profusi dal Pontefice nel supportare la costruzione della pace nella regione. Egli aveva poi sottolineato la «vitale importanza» del proseguimento dell’azione vaticana al fine di assicurare un cessate il fuoco immediato. Abbas avrebbe altresì rimarcato l’urgenza di stabilire corridoi umanitari permanenti per la distribuzione di generi alimentari e medicine, come delle provviste di acqua ed elettricità nella striscia di Gaza.

INCESSANTE DIPLOMAZIA VATICANA

Il Pontefice ha confermato il mantenimento del contatto continuo con la parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza. Il 22 ottobre scorso, Bergoglio aveva conferito della questione mediorientale anche con il presidente statunitense Joe Biden e, quattro giorni dopo, anche con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. In entrambi i casi aveva indicato l’urgente necessità di rinvenire percorsi di pace, affrontando il tema relativo a una rapido accordo per finalizzare la soluzione dei due Stati che veda Gerusalemme città a statuto speciale.

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