Ad avviso di Yaakov Lappin – giornalista e ricercatore associato presso l’Alma Research and Education Center, il Begin-Sadat Center for Strategic Studies e l’Università Bar-Ilan, https://www.jns.org/israel-palestinianconflict/idf/23/9/5/316212/ -, alla luce delle minacce lanciate dal leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, e delle crescenti tensioni al confine settentrionale di Israele, il gabinetto del primo ministro Benjamin Netanyahu dovrebbe occuparsi del possibile scenario di guerra che si prospetta, valutandone i possibili risvolti nei termini di un esteso conflitto, quello che intanto stanno facendo le Forze di Difesa (IDF). È l’opinione del professor Eyal Zisser (vicerettore dell’Università di Tel Aviv), che ritiene molto probabile un deterioramento incontrollato dove tutti sarebbero in grado di contribuire a porre fuori controllo la situazione, «un’escalation non pianificata e non desiderata alimentata dall’errata o fraintesa lettura delle azioni e reazioni dell’avversario».
UNA GUERRA SU PIÙ FRONTI
Allo specifico riguardo lo stato maggiore israeliano ha elaborato diversi potenziali scenari, tutti riconducibili a uno scontro con la milizia sciita libanese filo-iraniana. Una ipotesi è quella relativa a una guerra combattuta su più fronti, che coinvolgerebbe Libano, striscia di Gaza e Siria, che potrebbe caratterizzarsi per gli attacchi portati con armi a lungo raggio ed elevata potenzialità unitamente a guerriglia all’interno di città israeliane miste arabo-ebraiche. I nemici dello Stato ebraico ritengono che quest’ultimo attraversi una fase di marcata debolezza a causa della marcata polarizzazione politica in atto nel Paese, quindi le leadership di Hezbollah (principalmente), ma anche Hamas, potrebbero venire indotte ad approfittarne e ad attaccare.
TENSIONI AL CONFINE CON IL LIBANO
In questo momento, dunque, la risposta di Israele fa leva sull’immagine della preparazione allo scontro in funzione deterrente, anche attraverso una efficace narrativa, facendo un appropriato ricorso alla comunicazione e ai media, secondo il citato Zisser «anche e soprattutto relativamente alla discussione su questo specifico argomento». Ritiene il professor Ely Karmon (ricercatore senior presso l’Istituto internazionale per l’antiterrorismo (ICT) e attualmente presso la Reichman University, entrambe di Herzliya) che la decisione di rilasciare informazioni sulle ultime valutazioni di natura strategica potrebbe essere parte di una manovra per preparare l’opinione pubblica israeliana. «Non c’è dubbio – prosegue Karmon – che le provocazioni di Hezbollah nel nord (nell’alta Galilea, n.d.r.) sono state incrementate e che in qualsiasi momento potrebbe innescarsi un conflitto, tuttavia al momento, anche dopo una lunga serie di atti provocatori, non vedo nessuno che abbia intenzione di impegnarsi in una guerra di dimensioni più ampie».
IL PERICOLO DALLA STRISCIA DI GAZA
«Per quanto concerne Gaza – ha aggiunto Karmon -, con le manifestazioni di massa alla recinzione di frontiera e il lancio di razzi in mare, forse per lanciare un segnale di migliore capacità e precisione delle proprie armi, Hamas è divenuta una minaccia più grande di quanto non fosse in precedenza». Egli si è soffermato anche sull’incremento delle attività dei gruppi armati islamisti in Cisgiordania, in buona parte riconducibile a Salah al-Arouri, numero due di Hamas che attualmente ha la sua sede a Beirut, in Libano. «Ma – sostiene Karmon -, se i servizi segreti israeliani eliminassero un agente di Hamas del calibro al-Arouri, ad esempio in Libano, il quesito da porsi sarebbe dunque quello di un’eventuale risposta dell’Iran». Ed ecco uno degli inneschi più probabili di un più ampio conflitto.
I PROBLEMI DI NETANYAHU
Il governo Netanyahu ha bisogno di dimostrare all’opinione pubblica di aver raggiunto dei risultati ed eliminare un catalizzatore della la violenza in Cisgiordania come Hamas potrebbe scoraggiare altre organizzazioni armate anche a Gaza, che temerebbero di venire prese di mira. Zisser dubita che Hamas voglia «combattere per Hezbollah», tuttavia, «potrebbe operare dal Libano come probabilmente ha fatto in passato, mentre Israele risponderebbe colpendo la striscia Gaza, una dinamica che farebbe scivolare dentro un conflitto su due fronti». Lo scenario più probabile, conclude Zisser, è quello delle provocazioni e dello scontro a bassa intensità, «ma va tenuto ben presente che la situazione potrebbe peggiorare a seguito della perdita del controllo».
LA SOLUZIONE PASSA DAI PALESTINESI
Per Karmon oggi la priorità principale dovrebbe essere l’arena palestinese, perché essa influenza immediatamente il resto del Medio Oriente. «Va fatto tutto il possibile per sostenere l’Autorità palestinese (Anp, n.d.r.) affinché sopravviva, poiché non esiste soluzione al conflitto israelo-palestinese senza un elemento moderato». Il ricercatore di Herzliya si è espresso in questi termini nel corso di una recente lunga e approfondita conversazione con lo stesso Lappin – https://www.patreon.com/posts/as-long-as-hamas-87665228?utm_medium=clipboard_copy&utm_source=copyLink&utm_campaign=postshare_creator&utm_content=join_link -, nel corso della quale ha ribadito che senza il controllo di Gaza non è pensabile un concreto accordo di pace. «A mio parere – ha egli dichiarato – finché Hamas controllerà la striscia di Gaza non si potrà giungere alla soluzione dei “due Stati” e neppure a un vero compromesso tra Israele e i palestinesi».
ANP: l’INTERLOCUTORE NECESSARIO PER ISRAELE
Conclude Karmon che «pertanto, sono due i problemi su questo versante: dobbiamo fare tutto il possibile sul fronte politico, economico e anche militare per sostenere l’Anp, ma con molta attenzione e tenendo conto dei vincoli posti da questo tipo di rafforzamento di questa componente palestinese, che per il momento è nostra partner nella questione di Hamas. Se non verrà distrutta la struttura militare di Hamas… attenzione!, non la sua organizzazione politica e religiosa, poiché questo non possiamo farlo, ma quella militare sì, non sarà possibile trovare una soluzione». Nell’intervista sono stati affrontati anche gli argomenti relativi alle responsabilità ascritte agli iraniani per le attività compiute da Hezbollah e le priorità strategiche di Israele in questa fase senza precedenti di crisi interna.