POLITICA, l’impegno dei cattolici. Cento anni fa l’assassinio di don Minzoni

Il parroco di Argenta, noto per il suo impegno antifascista, venne ucciso a colpi di pietre e bastone da due squadristi. Il ricordo che ne ha fatto il cardinale Matteo Maria Zuppi, attuale presidente della Conferenza episcopale italiana: «Non rinunciò mai a essere pastore»

Argenta (FE), 24 agosto 2023; a cura di Andrea Gagliarducci, vaticanista dell’agenzia giornalistica ACI Stampa – Don Giovanni Minzoni «non ha mai rinunciato ad essere pastore per tutto il popolo”, ha detto il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), ricordando la figura del parroco di Argenta, aggredito e ucciso da due fascisti nel 1923, attaccato solo perché con il suo lavoro, anche con un gruppo scout da lui fondato già nel 1921, si opponeva all’imperversare delle camice nere e alle loro modalità». Il prossimo 7 ottobre, nella memoria della Beata Vergine del Rosario, sarà aperta la fase diocesana della causa di beatificazione, e così don Minzoni verrà definito «Servo di Dio».

RICORDO DEL MARTIRIO DI DON MINZONI

Celebrando la Messa per il centenario del martirio il 23 agosto, il cardinale Zuppi ha messo in luce che «il mondo non ci odia quando ci parliamo addosso, tiriamo verità rid otte a pietre che non colpiscono nessuno, quado svuotiamo di libertà e forza l’amore chiesto del Vangelo, riducendolo a terapia per un io che cerca di ridurre a fatto privato anche Dio». Piuttosto, «il mondo odia la nostra luce», e per questo la teniamo nascosta «con una vita spenta di amore». Ma, aggiunge il presidente della Cei, il Maestro è stato chiarissimo dicendo che chi non ama è nella morte. Il cardinale Zuppi ha poi ricordato le parole pronunziate da Giovanni Paolo II nel 1990, proprio di fronte alla tomba di don Minzoni, quando il Papa polacco disse che questi «non sopportava la separazione tra l’amore di Dio e la cura pastorale dei fedeli», e così fu pronto a morire. «Questa – ha chiosato il cardinale – è la libertà del cristiano e del testimone, cioè del martire, che non è un eroe, ma una persona che ama più delle sue paure e che non teme di entrare in conflitto con le ideologie totalitarie e neopagane, evidenti o nascoste, con chi calpesta la persona, qualsiasi essa sia, ovunque e sempre».

PASTORE DI TUTTI, ANCHE DEI PIÙ DISTANTI

Il presidente della Cei ha affermato che don Minzoni «non ha mai rinunciato a essere pastore di tutto il popolo, anche dei più distanti», ed è stato ucciso «per l’amore cristiano», forse addirittura in odium caritatis, anche se in realtà «carità e fede sono intimamente unite, perché una alimenta l’altra». Cosa significava amore per don Minzoni? «Impegno di annuncio del Vangelo, legame con la sua comunità, battaglie sociali per proteggere le persone, a partire dai più poveri». E per questo «fu martire dell’amore per la sua comunità, parroco senza riserve che volle una comunità parrocchiale aperta e sbilanciata sulla carità». Il cardinale Zuppi ha ricordato che don Minzoni fu infamato con l’accusa di «fare politica» e che, dunque, «se l’era cercata», ma «se è così il cristiano se la cerca sempre perché chiamato a un amore incarnato, nella storia, senza limiti; perché chiamato a un amore, che Papa Francesco chiamerebbe politico, libero da ogni ideologia e da quegli “ismi” che intossicano i cuori, a iniziare dal primo, il più banale e pericoloso: l’egoismo!».

UN PRETE E L’AMORE POLITICO

E allora l’amore di don Minzoni per il Vangelo e per la sua comunità «diventò amore politico, promuovendo l’Unione professionale, la cooperativa agricola cattolica, la cassa rurale», poiché «per don Minzoni mettere in pratica il comandamento dell’amore significò educazione, cioè la creazione di un oratorio per i ragazzi e i giovani disorientati del dopoguerra, alla ricerca di un padre e di valori stabili, evangelici, trascendenti, ben oltre le ideologie circolanti». Da lì, la nascita e la crescita dell’Azione Cattolica locale, il gruppo scout, la formazione delle donne, le nuove forme di catechesi per adulti. Denuncia il cardinale Zuppi: «Don Minzoni è stato ucciso dalla violenza fascista e dalle complicità pavide di chi non la contrastò. Fascismo, che assume colori diversi, sistemi e burocrazie di ogni totalitarismo e diversi apparati, significa il disprezzo dell’altro e del diverso, l’intolleranza, il pregiudizio che annienta il nemico, il razzismo raffinato o rozzo che sia, la violenza fisica che inizia sempre in quella verbale e nell’incapacità a dialogare con chi la pensa diversamente». Un fascismo che Minzoni affrontò «senza compromessi, opportunismi, convenienze. Per questo era e rimane una sentinella del mattino che nella notte continua a farci credere nella luce».

PERCHÉ GLI SQUADRISTI LO ASSASSINARONO?

In particolare, ci sono tre episodi che ne decretarono probabilmente la condanna a morte: la celebrazione dei funerali di un assessore socialista ucciso dai fascisti, omicidio da lui condannato con parole durissime; la lettera fermissima scritta dopo che i fascisti avevano impedito una processione degli scout verso il santuario della celletta; la discussione pubblica con il gerarca Italo Balbo, il ras locale, che aveva minacciato sanzioni se non si fosse sciolta l’associazione scoutistica perché questo era «ordine del Duce», cui don Minzoni rispose che «prendeva ordini solo dal Papa» e che i suoi ragazzi «sarebbero rimasti uniti in nome di Dio per il loro e unico vero bene che non era quello di imparare a usare i fucili». Insomma, ha concluso il cardinale Zuppi, «don Giovanni Minzoni è parte di questa luminosa schiera di amici di Dio e ci insegna la forza dell’amore cristiano che non teme l’odio del mondo, seme di vita che non finisce, amico di Cristo, mai servo di idoli e ideologie, ma fratello dei più piccoli, attento a costruire quel mondo dove tutti sono fratelli».

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