Tredici morti e venti feriti, questo il bilancio dell’attacco condotto dalla fazione jihadista Ansar al Tawhid (affiliata alla coalizione Al Fath al Mubin, che riunisce i gruppi e le milizie islamiche fondamentaliste) assieme ai suoi alleati contro le posizioni dei militari governativi e dei miliziani a loro fedeli nelle campagne a sud di Idlib. Almeno undici soldati di Damasco sono rimasti uccisi, mentre dalla parte opposta sono due i miliziani jihadisti rimasti a terra.
ESCALATION A IDLIB
Attualmente, nella zona di Idlib sarebbero in corso violenti scontri. È lì, in quella sorta di enclave, che ormai da anni hanno trovato rifugio numerosi combattenti jihadisti, alcuni orfani del sedicente «califfato» di Islamic State, oltreché miliziani di diverse formazioni islamiste ritiratesi da altri territori che in precedenza controllavano. Una roccaforte dove vivono più di due milioni di persone la cui metà sono sfollati interni, un luogo dove giocoforza si è concentrata l’opposizione ad Assad, dove nelle ultime settimane si è registrata un’escalation della violenza, caratterizzata da un incremento degli attacchi aerei russi in risposta a quelli effettuati mediante il ricorso a droni (sistemi a pilotaggio remoto, UCAV) dagli jihadisti di Hayat Tahrir al Sham (Hts), organizzazione già affiliata ad Al Qaeda in Siria che a Idlib è presente in forze con ciò che di essa è rimasto.
L’AZIONE DEI CACCIABOMBARDIERI DI MOSCA
Ieri, a seguito dei bombardamenti effettuati dalle forze governative di Damasco nella provincia di Aleppo, nel nord della Siria, sette miliziani di Hts sono rimasti uccisi. Mercoledì scorso, giorno 23 agosto, il ministero della difesa siriano aveva reso noto che l’esercito e l’aeronautica russa avevano «effettuato diversi attacchi aerei e di artiglieria contro i centri di comando dei terroristi nelle campagne di Aleppo, Latakia e Hama», questo a seguito di «ripetuti attacchi» compiuti dalle milizie jihadiste nelle province controllate dal governo. Sempre mercoledì scorso, un ufficiale dell’esercito siriano è stato ucciso e un civile ferito nei bombardamenti di Hts e delle fazioni alleate nella zona di Latakia. Il giorno precedente (22 agosto) tre combattenti del gruppo ribelle e due civili erano rimasti uccisi a seguito di diversi attacchi compiuti dai russi in diversi luoghi della provincia di Idlib, dove lunedì i cacciabombardieri di Mosca avevano attaccato una base di Hts.
NEL FRATTEMPO MONTA LA PROTESTA CONTRO IL REGIME DI ASSAD
Nel frattempo, sono proseguite con maggiore intensità le proteste di piazza contro il regime del presidente Bashar al-Assad: per il terzo giorno consecutivo centinaia di persone hanno manifestato nella città meridionale di Suwayda e nelle zone circostanti lamentando le pessime condizioni di vita nel Paese. La gente ha scandito slogan nei quali veniva chiesta la caduta di Assad e del suo regime. In particolare, nel corso delle proteste che hanno avuto luogo in piazza al-Karama, la gente ha invocato l’uscita dalla proprie terra dei militari russi. Il malcontento diffuso da tempo ha trovato ulteriore alimento nel peggioramento della già grave crisi economica resa insopportabile dalla lunga guerra, dalla corruzione e dalla cattiva amministrazione, dalle sanzioni occidentali e dal terremoto dello scorso febbraio, con la conseguente estensione delle proteste nella Siria meridionale, in particolare nella martoriata città di Aleppo, dove nel quartiere di Al-Fardous le forze di sicurezza di Assad hanno disperso i manifestanti.
UN’ECONOMIA A PEZZI
Nel corso della settimana agitazioni popolari sono state segnalate anche a Daraa e Deir ez-Zor. Il governo di Damasco non ha commentato questi disordini, il governatore di Suwayda, Bassam Parsik, avrebbe tuttavia incontrato il leader spirituale della comunità drusa, Hikmet al-Hijri, comunità che si è resa particolarmente protagonista delle proteste di piazza. Suwayda nel passato (2020 e 2022) è stata teatro di prolungate manifestazioni antigovernative. La revoca dei sussidi sul carburante, decisa la scorsa settimana dal governo di Damasco nel tentativo di ridurre il deficit statale, ha acceso quindi la miccia della protesta, che covava nonostante la riduzione dei combattimenti nel paese e il parziale reintegro di quest’ultimo nel mondo arabo. La Lega Araba ha riammesso Damasco in maggio, mentre contestualmente l’Arabia Saudita, che in precedenza aveva sostenuto i gruppi ribelli siriani contro il governo di Assad, vi ha ristabilito le relazioni diplomatiche. Ma finora in Siria non sono stati fatti investimenti esteri di rilievo.
I DRUSI DI SUWAYDA
Attualmente le forze di Assad, che vengono sostenute da Mosca e da Teheran, riescono a controllare buona parte del territorio siriano, con i gruppi ribelli che rimangono confinati in massima parte nel nord del Paese, mentre un’amministrazione guidata dai curdi ne controlla il settore nordorientale. Suwayda ha una storia particolare, poiché la sua componente drusa della popolazione ha temuto fin dal primo momento della guerra civile l’arrivo degli jihadisti e degli islamisti, che considerano quel gruppo etnico-confessionale come di «apostati», tant’è che gli stessi combattenti dell’Isis in passato attaccarono ripetutamente la città. Si comprende dunque come questa, che nel corso dell’intera guerra civile è rimasta sotto il controllo delle forze di Assad, abbia ricevuto il sostegno dal governo di Damasco, aspetto che rende altresì comprensibile la rarefazione verificatasi negli ultimi anni delle proteste in questa zona. Questo a differenza di città come Daraa e Aleppo, la prima nel 2011 luogo di insorgenza delle manifestazioni della Primavera araba, la seconda invece teatro di assedio e feroci battaglie tra gruppi ribelli e forze governative dal 2012 al 2016.