Un recente rapporto diffuso dal Foreign Agricultural Service dell’United States Department of Agriculture (USDA) – https://apps.fas.usda.gov/newgainapi/api/Report/DownloadReportByFileName?fileName=Angola%20Exporter%20Guide_Luanda_Angola_AO2023-0002.pdf – evidenzia come in parallelo alla crescita del prodotto interno lordo (stimata per l’anno in corso al 3,5%) il Paese affacciato sulla costa occidentale africana presenti una varietà di opportunità nel campo delle esportazione di prodotti destinati al soddisfacimento del fabbisogno alimentare interno.
IMPORTAZIONI E SODDISFAZIONE FABBISOGNO ALIMENTARE
Il paese importa oltre la metà dei generi alimentari necessari alla soddisfazione del proprio fabbisogno, con le importazioni nel settore agroalimentare che, complessivamente intese, nel 2022 hanno superato i 2,75 miliardi di dollari, registrando un incremento del 49% rispetto all’anno precedente. Nella graduatoria degli esportatori figura al primo posto l’Unione europea, seguita dal Brasile e dagli Stati Uniti d’America. Il Governo di Luanda sottolinea che il comparto trasformazione alimentare venga attualmente interessato da una fase di «rapido sviluppo», uno sforzo profuso nel quadro di diversificazione dell’economia nazionale dal settore delle materie prime energetiche, in particolare del petrolifera. Tuttavia, se l’industria costituisce all’incirca il 6% del totale delle attività economiche svolte nel paese, i generi alimentari destinati alla trasformazione e al confezionamento risultano di difficile reperimento, dunque diviene necessario il ricorso alle importazioni dall’estero.
TREND DEMOGRAFICO E APPORTO PROTEICO
Si prevede che entro l’anno 2050 la popolazione dell’Africa subsahariana raddoppierà, così come quella angolana, che è in continua rapida crescita, in linea con la tendenza del continente africano, questo seppure nel Paese il tasso di fertilità sia diminuito rispetto al picco registrato negli anni Novanta, permanendo tuttavia il settimo Stato al mondo in termini di prolificità, con una media di cinque figli per donna. L’aspettativa di vita è aumentata costantemente negli ultimi decenni, ma la popolazione del paese è molto giovane, quasi la metà ha un’età inferiore ai quindici anni. L’apporto proteico maggiore agli angolani deriva dal consumo di pollame, genere di carne nel Paese più diffusa ed economicamente alla portata di ampi strati della popolazione, ma in Angola si riesce a produrne soltanto 42.000 tonnellate all’anno, cioè il 13% della domanda totale espressa dal mercato interno, che è invece pari a 312.000 tonnellate.
UN ELEVATO LIVELLO DI DISUGUAGLIANZE
Il Fondo monetario internazionale prevede una crescita dell’economia angolana pari al 3,5% nell’anno in corso. Superata la lunga fase di guerra civile seguita all’indipendenza dal Portogallo, un conflitto che ha avuto una durata di ventisette anni, l’Angola ha avviato una politica tesa alla stabilità sul piano macroeconomico, con accenni di riforme di portata strutturale. Tuttavia, nonostante ciò il Paese rimane a reddito medio-basso, con una economia trainata in modo prevalente dalla estrazione e commercializzazione del petrolio, con il settore delle materie prime energetiche che pesa per circa il 50% del prodotto interno lordo nazionale e il 90% delle esportazioni totali, fornendo alle casse di Luanda oltre il 70% delle entrate. Resta il fatto che il 30% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, mentre il livello di disuguaglianza registrato nel Paese è uno dei maggiori al mondo, con il 20% più ricco che dispone del 60% del reddito complessivo, a fronte del 20% più povero che costituisce soltanto il 3% del reddito totale.
L’ATTESA DIVERSIFICAZIONE DELL’ECONOMIA
Il governo angolano si è spesso detto motivato a diversificare l’economia, ma anche a fronte di segnali di crescita economica la disoccupazione è notevolmente diffusa, mentre il ridotto potere d’acquisto di larghe fasce della popolazione continua a porsi come un grave problema. Inoltre, le carenze a livello di competenze e sul piano dell’istruzione (che risulta generalmente bassa) si pongono quali ostacoli allo sviluppo economico e sociale. Prima della guerra civile (1975-2002) l’Angola era un importante esportatore di caffè, sisal, mais, banane e cotone, risultando autosufficiente in tutte le colture alimentari tranne quella del grano. Il conflitto post-coloniale ha però interrotto la produzione, provocando l’esodo di milioni di sfollati. Dal 2018, con il sostanziale sganciamento dal dollaro Usa della valuta locale (il kwanza), quest’ultima oscilla sul mercato, mentre la non sempre certa disponibilità di valuta estera limita periodicamente la capacità di commerciare degli importatori angolani.