Il generale Abdourahmane «Omar» Tchiani, comandante della Guardia presidenziale nigerina, elemento apicale del gruppo di rivoltosi che ha deposto il presidente Mohamed Bazoum, si è autoproclamato «nuova guida» del Paese.
LA VERSIONE UFFICIALE
L’annuncio lo ha dato egli stessi dagli schermi televisivi dopo due giorni di incertezze riguardo all’evoluzione delle dinamiche in atto nella capitale. Infatti, in un primo momento il resto delle forze armate avevano reso noto per bocca dei loro comandanti di sostenere il presidente in carica, ma poi nel volgere di poche ore sono passati dalla parte dei golpisti. Tchiani, nuovo uomo forte a Niamey, che era stato posto al vertice della Guardia presidenziale nel 2018 dal predecessore di Bazoum alla carica di presidente, Mahamadou Issoufou, ha giustificato il colpo di stato con la necessità di porre rimedio ai problemi che affliggono il paese, cioè quelli relativi alla sicurezza, all’economia in crisi e alla corruzione. Bazoum viene tenuto in stato di arresto, mentre i confini permangono tuttora chiusi.
IL GOLPE DELLA GUARDIA PRESIDENZIALE
Il colpo di stato era stato pianificato e posto in essere dalla Guardia presidenziale, unità d’élite dell’esercito nigerino che il presidente avrebbe tentato di marginalizzare riducendone l’influenza. Adesso il potere dovrebbe quindi venire esercitato da una giunta militare, della quale tuttavia non si ha perfetta contezza della composizione e dei rapporti di fiducia con le altre unità dell’esercito questo malgrado nella giornata di giovedì scorso, mutando posizione, il capo di stato maggiore dell’esercito, Abdou Sidikou Issa, avesse annunciato che la forza armata ai suoi comandi avrebbe sostenuto il golpe, questo al fine di «evitare un bagno di sangue». Contestualmente e nelle ore successive, le piazze del Paese africano sono state teatro di manifestazioni delle opposte fazioni, con i sostenitori dei golpisti che a Niamey hanno assaltato e incendiato la sede del partito del presidente deposto.
LA REAZIONE EUROPEA
Da Bruxelles gli avvenimenti in Niger vengono seguiti con estrema attenzione, poiché il degenerare della situazione a Niamey pone a rischio il rapporto di partenariato con l’Unione europea, dato che un mancato ritorno all’ordine costituzionale potrebbe avere quale conseguenza anche l’interruzione del sostegno finanziario finora fornito al Niger. Al momento la situazione è comunque in evoluzione, dunque per comprendere meglio quale piega essa prenderà si renderà necessario attenderne gli ulteriori sviluppi, almeno fino al prossimo summit dell’Ecowas. In ogni caso, a seguito degli eventi, l’Alto rappresentante dell’Unione europea Josep Borrell ha fermamente condannato il colpo di stato.
GRAVE MINACCIA ALLA STABILITÀ
«Gli eventi degli ultimi giorni costituiscono una grave minaccia alla stabilità e alla democrazia nel Paese africano – ha egli dichiarato al riguardo –, come sottolinea per altro nel suo ultimo comunicato, la Comunità economica degli Stati dell’Africa dell’Ovest (Ecowas, n.d.r.), questo colpo di stato è in totale violazione dei principi democratici su cui si basa la gestione del potere politico nella regione. L’Unione europea ribadisce quindi il proprio sostegno all’azione intrapresa dall’organizzazione della subregione e agli sforzi in corso per un immediato ritorno all’ordine costituzionale, chiedendo inoltre che la sicurezza e la libertà di movimento del presidente Mohamed Bazoum vengano garantite senza condizioni».
LA REAZIONE EUROPEA
Per l’Alto rappresentante, qualsiasi rottura dell’ordine costituzionale avrà conseguenze sulla cooperazione tra Bruxelles e Niamey, tra cui l’immediata sospensione di ogni sostegno al bilancio. «Continueremo a coordinarci strettamente con i capi di Stato dell’Ecowas – ha concluso Borrel -, l’Unione europea è al fianco del popolo nigerino e ribadisce il suo pieno impegno per il rigoroso rispetto dello Stato di diritto, dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale in Niger». Cautela manifestata anche a Washington, dove si starebbe valutando se considerare la deposizione del presidente Bazoum un colpo di stato, onde procedere alla sospensione delle collaborazioni nel settore della Difesa e della Sicurezza attualmente in essere nella regione.
IL BUCO NERO SAHEL
Il Niger, paese dell’Africa nord-occidentale popolato da venticinque milioni di persone, fino a mercoledì scorso rappresentava una sorta di “ultima ridotta” occidentale nella regione subsahariana del Sahel, estremamente instabile a causa della presenza attiva di gruppi jihadisti, parte dei quali affiliati a Islamic State (IS) o ad al Qaida. Il golpe a Niamey segue quelli di Mali e Burkina Faso, dai cui territori si sono gradualmente ritirati i dispositivi che erano stati schierati da alcuni Stati occidentali, in particolare quelli francesi, impegnati nel contrasto del terrorismo jihadista. Attualmente Parigi mantiene in Niger oltre 1.500 suoi militari, un paese nel sui sottosuolo sono presenti ingenti riserve di uranio.
ESTRARRE IN NIGER NON CONVIENE
In realtà, le turbolenze che affliggono attualmente il Niger non generano particolari effetti sul mercato mondiale dell’uranio, per quanto possano segnare una battuta d’arresto dei francesi sul suo controllo in quel paese africano. Esso detiene giacimenti notevoli relativamente ai volumi di prodotto estraibile, riserve tuttavia strategicamente importanti soltanto in prospettiva di una futura eventuale sostituzione delle fonti fossili e a fronte di un default di quelle rinnovabili. Sul mercato mondiale da tempo i prezzi sono bassi, questo malgrado una relativa (ma comunque debole) crescita della domanda, a differenza di quanto ipotizzato negli anni Settanta, quando si riteneva che invece fosse conveniente mettere in produzione i giacimenti. In questo momento le riserve uranio risultano largamente eccedenti il fabbisogno complessivo espresso a livello mondiale, una domanda che viene soddisfatta completamente dai siti attualmente in produzione, in particolare da quelli tecnologicamente più avanzati, che comportano minori costi di estrazione, che non è propriamente il caso del Niger, dove oggi i costi di sfruttamento dei siti estrattivi non ne rendono conveniente la messa in produzione.
IL MERCATO DELL’URANIO
Ma non basta, perché ormai sul mercato l’integrazione ha luogo a valle dell’estrazione: infatti, non è più tanto importante il reperimento delle risorse minerarie, poiché l’acquirente (poniamo, un ente o una società che gestiscono centrali nucleari per elettro generazione) rinviene maggiore convenienza nell’acquistare direttamente gli elementi di combustibile a lui necessari presso quei gruppi industriali multinazionali sulle quali ricade l’onere del reperimento del materiale grezzo, spesso ceduto “chiavi in mano” nella forma di yellowcake, cioè di prodotto finale a seguito dei processi di concentrazione e purificazione dei minerali estratti contenenti uranio. Dunque, la Francia ha sicuramente interesse per l’uranio nigerino, ma con ogni probabilità non con impellenza, bensì in funzione di riserva strategica in prospettiva, dato che Parigi reperisce il yellowcake di cui ha bisogno altrove.
VENDESI YELLOWCAKE
Una materia prima della quale il mondo è pieno di fornitori dove approvvigionarsi convenientemente. Kazakistan, Australia, Sudafrica per esempio. Ma anche tutti quegli altri paesi che in passato hanno messo in produzione i loro siti a cielo aperto, ammortizzando così nel tempo i costi. Quanto alla difesa dei potenziali e attuali siti estrattivi nigerini, beh… in fondo si tratta di sassi debolmente radioattivi, dunque i terreni nei quali giacciono non costituiscono siti particolarmente sensibili, ad esempio, per quanto concerne eventuali attentati terroristici. Se poi un giorno i francesi verranno invitati a lasciare anche il Niger e il loro posto verrà preso dai russi, dai cinesi o dagli emiratini, ci sarà sempre un acquirente pronto ad acquistare uranio dalla nuova classe dirigente al potere a Niamey (…)