Patrick Zaki, ricercatore presso l’Università di Bologna, è stato nuovamente arrestato a seguito della condanna alla pena di tre anni di detenzione sentenziata a suo carico da un tribunale egiziano sulla base dell’accusa di avere «diffuso di notizie false» mediante un articolo pubblicato nel 2020 nel quale aveva espresso delle proprie opinioni sul sistema del suo paese di origine.
IL GIOVANE È RIPIOMBATO NELL’INCUBO
Zaki ripiomba dunque nell’incubo della prigionia all’interno delle carceri dell’Egitto del generale al-Sisi, un gesto, quello attribuito da non pochi analisti e commentatori al deep state del Cairo, che andrebbe interpretato forse più come un segnale inviato all’Italia nel senso di farla desistere dal ricercare e assicurare alla Giustizia i responsabili di un’altra dolorosa e controversa vicenda che vide protagonisti elementi dei mukhabarat egiziani, quella di un altro ricercatore universitario, il friulano Giulio Regeni, barbaramente trucidato in circostanze in parte ancora misteriose tra il gennaio e il febbraio 2006.
LE DIFFICILI STRADE PERCORRIBILI PER LA LIBERAZIONE
Tornando al caso Zaki, sul piano giudiziario esisteva una possibilità di rinvio della data di emissione della sentenza a suo carico e qualcuno nutriva persino remote speranze di una sua assoluzione, invece è avvenuto l’esatto contrario, il tribunale lo ha condannato ieri stesso. La sua avvocatessa ha immediatamente dichiarato che si rivolgerà al governatore militare chiedendogli di annullare la sentenza di condanna e di fare ricelebrare il processo a carico del suo assistito, così come in precedenza è stato fatto per Ahmed Samir Santawy, lo studente di antropologia dell’Università di Vienna condannato alla pena di quattro anni di reclusione con la medesima imputazione ascritta a Zaki, cioè «diffusione di notizie false», dopo che il giovane era stato arbitrariamente arrestato nel febbraio 2021 dall’Agenzia per la sicurezza nazionale poco dopo essere giunto in Egitto dall’Austria. Nel corso dei seguenti cinque giorni di sparizione forzata era poi stato interrogato in ordine ai lavori accademici che stava conducendo sui diritti sessuali e riproduttivi delle donne.
«IMPUTATO» È SINONIMO DI «CONDANNATO»
Ad avviso di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, si tratta di «una notizia terribile, una condanna scandalosa, assurda per un reato che Patrick non ha commesso». Egli, sottolineando che la cosa «non finirà qui» e chiedendo contestualmente l’intervento del Governo italiano in soccorso di Zaki, ha poi aggiunto che «avevamo sempre chiesto di tenere alta l’attenzione su Patrick, perché terminato il carcere in molti avevano pensato che tutto fosse risolto, invece noi avevamo sempre posto attenzione su Patrick imputato perché in Egitto imputato è sinonimo di condannato. Ma non finisce qui, ora tutte le ipotesi per tirarlo fuori da questa situazione vanno esplorate: il governo italiano, per cortesia, intervenga».
LE REAZIONI IN ITALIA
Secondo il rettore dell’Università di Bologna, Giovanni Molari, che ha confermato la solidarietà al giovane ricercatore, «tutta l’Alma Mater è vicina a Patrick Zaki», ha dichiarato che la condanna a tre anni di reclusione «è una terribile notizia che giunge del tutto inattesa», poiché «abbiamo ancora negli occhi l’immagine di Patrick neolaureato con lode». Sulla delicata vicenda è intervenuta anche la Presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, che dal canto suo ha ribadito l’impegno profuso da Roma per una soluzione positiva continua. «Il nostro impegno per una soluzione positiva del caso di Patrick Zaki non è mai cessato – ha infatti ella dichiarato – e abbiamo ancora fiducia».