All’inizio di questo mese il ministero del commercio della Repubblica Popolare cinese ha comunicato che dal primo agosto, tramite dell’amministrazione generale delle dogane, implementerà i controlli sulle esportazioni di gallio e germanio, materiali che trovano un sempre maggiore impiego nella produzione di chip per computer in quanto in grado di sopportare tensioni più elevate rispetto al silicio. Si tratta di metalli che rivestono una particolare importanza nel settore industriale della Difesa poiché utilizzati nella realizzazioni di componenti di radar AESA (Active Electronically-Scanned Array) e di alcuni sistemi di guerra elettronica. Una notizia probabilmente attesa, che tuttavia viene amplificata in occasione della visita ufficiale a Pechino del segretario al Tesoro degli Stati Uniti d’America, Janet Yellen, che ha inteso ribadire con chiarezza l’impossibilità di scollegare tra loro le due maggiori economie del mondo. Insomma: anche il tanto minacciato e temuto de-coupling se avverrà incontrerà comunque dei limiti.
PECHINO MINACCIA RESTRIZIONI
«Non si tratta di un bando totale – sottolinea Brussato -, ma il governo cinese vuole essere informato dalle aziende che esportano su cosa e a chi esportano, per poi decidere se bloccare o meno l’operazione. È un modo sottile di imporre la preventiva autorizzazione del Partito comunista cinese alle esportazioni di questi materiali». La missione della Yellen e, prima di lei quella del Segretario di Stato Antony Blinken, hanno lo scopo di raffreddare lo scontro economico e tecnologico tra le due potenze, che ha portato a un elevamento ulteriore del livello di tensione, con i resoconti diplomatici e giornalistici che parlano della ricerca di un terreno comune. Intanto, però, i cinesi annunciano l’imposizione di restrizioni sui metalli, specificando che esse «non sono rivolte a nessun particolare paese» e che «non devono venire intese nel senso di divieto di esportazione». A conti fatti a Pechino non conviene tirare troppo la corda nella guerra tecnologica combattuta contro gli Stati Uniti sul terreno dei semiconduttori, questo perché è evidente che alla fine (almeno per quanto concerne gallio e germanio) una carenza di tali metalli indirizzerà gli americani verso fonti alternative.
LA GUERRA PER I SEMICONDUTTORI
Quindi la stessa supremazia tecnologica e militare statunitense per il momento non verrebbe messa in discussione, questo malgrado i costi di diversa natura. Lo confermano i report degli analisti della materia elaborati a beneficio degli investitori, che in conseguenza delle dinamiche della politica internazionale si sono applicati al tema delle produzioni che dai citati metalli non possono prescindere. Si tratta di settori strategici dell’industria della Difesa, quali quelli dei radar LTAMDS, SPY-6, Ghost-Eye di Raytheon e Next Generation Jammer, TPY-5 di Northrop Grumman, Q-53 di Lockheed Martin, che utilizzano chip di nitruro di gallio (GaN), così come lo fanno i grandi gruppi similari europei come Saab, Leonardo e Thales. Riferisce la testata online “Breaking Defense” riprendendo fonti della Raytheon, come i vantaggi offerti da questo materiale siano impressionanti, al punto di incrementare del 50% la portata di un radar esistente, migliorandone al contempo la capacità di discriminazione tra diversi tipi di bersagli.
IL TRAMONTO DEL SILICIO
«Tutto questo avviene in una fase nella quale il silicio inizia a evidenziare i propri limiti strutturali – spiega Giovanni Brussato, ingegnere minerario esperto della specifica materia -, dove quindi il ricorso al gallio, non nella sua forma metallica bensì come arseniuro o nitruro, trova sempre maggiori applicazioni in diverse tecnologie di rilievo strategico. Il gallio, infatti, è in condizioni di reggere nei contesti più difficili, caratterizzati da temperature estreme o escursioni termiche notevoli, ovvero in presenza di radiazioni». In tutti quegli ambiti nei quali i sistemi tradizionali a base di silicio hanno iniziato a porre dei problemi sul piano dell’efficienza nel funzionamento, il nitruro di gallio si è rivelato come un alternativa sicura, poiché molto più stabile in tutte le condizioni operative.
LE ALTERNATIVE ALLE RESTRIZIONI CINESI
«Gallio e germanio non vengono estratti dalle miniere, ma sono due sottoprodotti ricavati rispettivamente dalla raffinazione della bauxite nella produzione dell’alluminio e dall’estrazione dello zinco dalla sfalerite. Si comprende bene che non è impossibile realizzare una catena produttiva alternativa qualora la Cina eccedesse oltre misura nelle limitazioni alle esportazioni, poiché alluminio e bauxite non vengono prodotti soltanto nella Repubblica Popolare, così come lo zinco. Fino a quando per sottoprodotti e scarti della lavorazione del genere non viene rinvenuto un mercato redditizio, questi non vengono estratti. Ed è quello che si è verificato finora in Occidente, mentre i cinesi sono stati lungimiranti e hanno dato vita a una filiera che oggi è in attività. Diverso invece è il discorso relativo alle minacce di limitazione alle esportazioni di terre rare». Infatti, la Cina mantiene in ogni caso il dominio della produzione dei minerali delle terre rare, quali nichel, manganese, cobalto e ossido di alluminio. L’Australia, quarto produttore al mondiale di minerali delle terre rare e si stima detenga il 20% delle riserve globali.
POSSIBILI FILIERE PRODUTTIVE OCCIDENTALI
Negli Usa non si produce gallio dal 1987, tuttavia, nel paese esiste almeno un sito di raffinazione del gallio importato e recuperato dai rottami. Rispetto a questo metallo (a bassa purezza) la Cina Popolare pesa per una quota pari al 98% della produzione mondiale complessiva. Riguardo al germanio gli analisti rilevano che per i cinesi risulterà però più difficile limitare con le loro nuove restrizioni alle esportazioni il volume degli approvvigionamenti da parte americana, dato che questo materiale rientra nelle scorte strategiche nazionali, inoltre, il Dipartimento della Difesa di Washington ha varato un programma di riciclaggio per recuperarlo da vecchie apparecchiature. Non solo: è attiva una raffineria in Canada che produce germanio da concentrati di zinco estratti in Alaska e in Tennessee; una fonderia di zinco a Clarksville (Tennessee) produceva concentrati di lisciviazione di germanio, mentre nello Utah veniva prodotto wafer di germanio per celle solari utilizzate nei satelliti con germanio importato e riciclato; infine, una raffineria dell’Oklahoma recupera germanio dai rottami dell’industria producendo a sua volta tetracloruro di germanio impiegato nella realizzazione di fibre ottiche.