Contributo di Ossigeno per l’Informazione alla discussione dei disegni di legge n. 81, n. 95, n. 466, n. 573, n. 616, in materia di diffamazione a mezzo stampa inviato il 30 maggio 2023 alla Commissione parlamentare Giustizia del Senato della Repubblica. Alla formulazione di questo parere hanno contribuito Giuseppe F. Mennella, Andrea Di Pietro, Alberto Spampinato, articolo pubblicato il 3 giugno 2023 su “Ossigeno per l’Informazione”, newsletter dell’Associazione Ossigeno per la libertà di stampa: https://www.ossigeno.info/diffamazione-il-parere-di-ossigeno-sui-ddl-allesame-del-senato/ – L’iniziativa del Parlamento di rinnovare il dibattito sul tema della diffamazione a mezzo stampa, per riformare le leggi su questa materia, sia in ambito civile sia in quello penale, corrisponde all’esigenza di un urgente ammodernamento normativo emerso da molti anni a livello europeo, inoltre risponde al’ autorevole richiamo della Corte costituzionale attraverso la nota sentenza n. 150/2021 che, nel dichiarare incostituzionale l’articolo 13 della legge 47/48 e abolire parzialmente la pena detentiva in tema di diffamazione, ha lasciato al legislatore il compito di riformare in modo organico l’intera materia. Gli obiettivi dichiarati dei disegni di legge n. 81, n. 466 e n. 573 e altri testi in discussione in seno alla Commissione Giustizia del Senato per ottemperare a tale compito, sono in alcune parti condivisibili, in quanto in linea con l’invito della Corte Costituzionale a impiegare la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo come “strumento di ampliamento e adeguamento del diritto interno”; tuttavia, presentano alcune criticità e lasciano irrisolti alcuni problemi messi in luce dall’andamento dei processi per diffamazione a mezzo stampa e dal frequente abuso che se ne fa.
LA PREMESSA DEL DISCORSO
Prima di formulare commenti e proposte, è opportuno ricordare in quali termini e dimensioni si pone oggettivamente il problema che si intende risolvere con questo ammodernamento legislativo. In Italia da troppi decenni la legislazione in materia di diffamazione a mezzo stampa (Legge sulla stampa n. 47 del 1948 e articolo 595 del Codice penale) rende possibile in modo non più tollerabile un uso scorretto del sistema giudiziario allo scopo di limitare la libertà di espressione, il diritto di informazione e la partecipazione consapevole alla vita pubblica. Numerose «raccomandazioni» delle Nazioni Unite, dell’Osce, dell’Unesco e di altre organizzazioni internazionali, e alcune sentenze della Corte Edu (CEDU), hanno segnalato l’effetto raggelante (chilling effect) di ogni legislazione penale in materia di diffamazione a mezzo stampa e della previsione del carcere per i colpevoli di diffamazione. Queste organizzazioni hanno invitato a regolare diversamente questa materia, modificando le leggi e depenalizzando la diffamazione.
INDEBITE LIMITAZIONI AL DIRITTO DI INFORMAZIONE
Nel 2022 l’Unesco ha segnalato che, nonostante queste «raccomandazioni», l’uso scorretto del sistema giudiziario permane in molti paesi, fra cui l’Italia, realizzando a livello globale una delle modalità più diffuse e condizionanti attraverso cui si limitano indebitamente il diritto di informazione e la partecipazione dei cittadini al dibattito pubblico. Ciò accade per effetto dell’inadeguatezza delle leggi vigenti e, in particolare, della configurazione penale della diffamazione. In Italia questo uso scorretto della giustizia è molto esteso, condizionante e poco contrastato e si manifesta soprattutto attraverso le querele per diffamazione a mezzo stampa. Secondo dati ufficiali, ogni anno migliaia di giornalisti, blogger, opinionisti, difensori dei diritti umani a causa di queste querele subiscono processi lunghi e costosi che si concludono nove volte su dieci con il riconoscimento che le accuse erano infondate, pretestuose, temerarie e in molti casi formulate per intimidire gli accusati e ostacolare il diritto di informazione e la libertà di opinione. Tale andamento del fenomeno è stato documentato in Italia da varie fonti, tra l’altro, nel 2016 il Ministero della Giustizia ha fornito a Ossigeno i dati sull’effettivo esito dei processi ai presunti colpevoli di questo reato. Questi dati si riferiscono al periodo 2011-2015 e segnalano il proscioglimento degli accusati in nove procedimenti su dieci e condanne sproporzionate a pene detentive (in media inferiori a un anno, ma cumulativamente per oltre un secolo di carcere ogni anno) in un numero non irrilevante di casi (2,6%).
IL PROLIFERARE DELLE QUERELE PER DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA
Nel 2019 l’Istat ha confermato l’esito dei processi già segnalato dal Ministero della Giustizia e ha certificato la forte proliferazione di questi procedimenti, aggiungendo che le querele per diffamazione a mezzo stampa erano quasi raddoppiate in quattro anni: in un anno 9.000 querele e 64 condanne al carcere. Dal 2011 al 2022 l’Osservatorio Ossigeno per l’Informazione ha documentato pubblicamente, e in dettaglio sul suo notiziario ossigeno.info, migliaia di procedimenti penali e civili per diffamazione a mezzo stampa, l’effetto intimidatorio e punitivo di molti di essi sui giornalisti accusati e processati pur avendo esercitato legittimamente i loro diritti di cronaca, di critica e di satira. Nel 2021 la Corte costituzionale, dopo aver rilevato il carattere punitivo e discriminatorio dell’attuale Legge sulla Stampa e aver invitato il Parlamento a correggerla, ha decretato l’incostituzionalità dell’articolo 13 l. 47/48, limitando le circostanze in cui il giudice può comminare la pena detentiva. Contestualmente la Corte ha rinnovato l’invito al Parlamento a modificare in modo organico le norme sulla stampa e sulla diffamazione in particolare.
CRITICITÀ DEI DISEGNI DI LEGGE ALL‘ESAME DEL SENATO
Pene per la diffamazione. I Ddl n. 573 e n. 466 codificano l’abolizione della pena detentiva. Ciò costituisce un passo in avanti. Da rilevare positivamente anche le disposizioni previste dai Ddl n. 81, n. 466 e n. 573 che estenderebbero l’applicazione della disciplina a testate giornalistiche online, telegiornali e giornali radio; e la disposizione prevista all’articolo 1 del L n. 573 che assegnerebbe la competenza giuridica sul caso al giudice del luogo di registrazione della testata. Si rilevano tuttavia anche alcuni profili peggiorativi. In particolare, desta preoccupazione l’ipotesi di un innalzamento delle pene pecuniarie: infatti il Ddl n. 466 eleverebbe sensibilmente la pena minima della multa, prevedendo sanzioni in due scaglioni: da 5.000 a 10.000 euro e da 10.000 a 50.000 euro. Il Ddl n. 573 (pur abbassando la pena della multa massima aumenterebbe l’importo della sanzione minima, introducendo due scaglioni: da 2.000 a 5.000 euro e da 7.000 a 15.000 euro. A tal proposito, si ritiene che l’aumento delle pene pecuniarie, di qualunque entità, vada contro l’interpretazione dell’articolo 10 della Cedu fornito dalla costante e univoca giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha più volte ricordato come le sanzioni previste per la diffamazione debbano tenere conto dell’impatto che avranno sulla situazione economica del querelato, al fine di evitare che il timore di una pena pecuniaria sproporzionata possa avere un effetto deterrente (il cosiddetto chilling effect) sull’esercizio della libertà di stampa e di espressione.
PENE ELEVATE NON COMMISURATE ALLE CAPACITÀ DEL «TRASGRESSORE»
Inoltre, pene pecuniarie così elevate e non commisurate alle capacità economiche del trasgressore avrebbero un effetto raggelante su chi dispone di mezzi limitati, mentre sono (sarebbero) inefficaci per chi dispone di generose risorse finanziarie. Pertanto, si profila il rischio di una dinamica che incoraggerebbe l’impiego di azioni legali promosse al mero scopo di intimidazione. Perciò Ossigeno per l’Informazione odv invita il legislatore a riflettere sul potenziale effetto censorio che l’aumento eccessivo delle sanzioni pecuniarie avrebbe soprattutto sui piccoli editori e sui numerosi giornalisti che lavorano con bassi compensi e in regime di freelance. Ossigeno per l’Informazione segnala inoltre che il carattere afflittivo delle norme segnalate risulta aggravato dalla previsione della pena accessoria dell’interdizione dalla professione e dal deferimento del giornalista colpevole di diffamazione a mezzo stampa agli organi di disciplina dell’ordine professionale. Ed è in quest’ottica che deve essere considerata anche la proposta di riformare il diritto alla rettifica introducendo l’obbligo di pubblicazione senza possibilità di replica. Infine, nessuna proposta abroga l’articolo 596 c.p. (exceptio veritatis), norma antidemocratica ormai inapplicata dal 1971 a seguito della sentenza n. 175 della Corte costituzionale.
CONTRASTO DELLE LITI TEMERARIE
Quanto alle cause civili per diffamazione, tutti i disegni di legge in esame propongono l’introduzione di disposizioni di contrasto delle azioni temerarie. Per quel che concerne la modifica dell’articolo 96 del Codice di procedura civile, la disposizione più efficace sembra essere l’articolo 1 del Ddl n. 616. Esso prevede la certezza dell’imposizione di un risarcimento danni a carico dell’attore che risulti aver abusato del procedimento civile per diffamazione, generando così un’efficace leva deterrente contro le liti temerarie. Infatti, secondo tale formulazione, nei casi in cui dovesse risultare la malafede o la colpa grave di chi agisce, l’attore verrebbe condannato – anche d’ufficio – al pagamento di una somma determinata in via equitativa e comunque non inferiore a un quarto di quella oggetto di domanda risarcitoria.
PROPOSTE DI OSSIGENO PER L’INFORMAZIONE
Le proposte dell’Associazione senza fini di lucro Ossigeno per l’Informazione sono ispirate dai principi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dalla giurisprudenza della Cedu, dai principi affermati dalla sentenza n. 150/2021 della Corte costituzionale e della più recente giurisprudenza della Corte di cassazione. In ossequio agli standard internazionali sulla libertà di espressione, Ossigeno propone la depenalizzazione del reato di diffamazione. In via subordinata propone di ridefinire la fattispecie, per distinguere fra diffamazione dolosa e colposa, sia per rendere le pene più proporzionate, sia per consentire ai giornalisti di proteggersi con una assicurazione di responsabilità civile dalle conseguenze economiche di eventuali effetti diffamatori derivanti da errori professionali commessi in buona fede, come spesso accade. Introdurre una sanzione specifica per chi abusa manifestamente del diritto di querela e di citazione in giudizio. Prevedere espressamente la possibilità di contestare il reato di calunnia al querelante ogni volta che la falsità dell’accusa di diffamazione risulti documentalmente nel corso di un processo.
I POSSIBILI REATI DI «INFAMAZIONE» E «OSTACOLO ALL’ATTIVITÀ GIORNALISTICA»
Istituire il nuovo reato di “infamazione” (macchina del fango) per punire, con sanzioni simili a quelle per calunnia, chi abusa del diritto di informazione per diffondere consapevolmente informazioni false su qualcuno, allo scopo di trarne vantaggio, di danneggiarne gli interessi, la reputazione, l’immagine, e chi fa un uso improprio del diritto di informazione per incitare all’odio, alla violenza, alle discriminazioni razziali, etniche e di genere. Introdurre nel nostro ordinamento il reato di “ostacolo all’attività giornalistica”. Tale norma è già stata elaborata e resa pubblica, grazie al gruppo di lavoro istituito dall’Associazione Stampa Romana e Ossigeno per l’Informazione, con il supporto giuridico dell’ Andrea Di Pietro e il confronto di magistrati e costituzionalisti. Gli obiettivi sono essenzialmente: (1) inasprimento delle pene e certezza della pena, (2) arresto (almeno facoltativo) in flagranza di reato, (3) applicabilità di misure cautelari, (4) giudizio direttissimo a seguito della convalida dell’arresto.
UN TESTO SUGGERITO PER LA NUOVA NORMA
Questo nuovo reato tutelerebbe espressamente e concretamente la libertà di espressione giornalistica. L’attività giornalistica viene qui intesa come funzione di pubblico interesse, come medium tra le informazioni stesse e coloro che le ricevono nel rispetto della deontologia del giornalismo. L’introduzione di questa norma penale sostanziale trova giustificazione nel generale allarme sociale destato da fatti violenti quando sono commessi contro un giornalista. Non è una difesa di casta, ma una forma di maggior tutela di chi esercita una funzione di pubblico interesse, un diritto proprio e insieme collettivo, essendo unito al diritto dei cittadini a ricevere informazioni come sancito, tra gli altri, dall’articolo 10 della Cedu. di seguito il testo suggerito per la norma che potrebbe sanzionare il reato di ostacolo all’attività giornalistica: «Chiunque, per limitare o impedire la ricerca, la raccolta, la ricezione, l’elaborazione, il controllo, la pubblicazione o la diffusione di informazioni, opinioni o idee di interesse pubblico, utilizza violenza, minaccia o frode in danno di soggetti esercenti l’attività giornalistica, è punito con la reclusione da due a sei anni».