SIRIA, escalation. Gli attacchi alle basi militari Usa e le ritorsioni di Washington possono vanificare i piccoli progressi nel dialogo

Venerdì scorso il presidente Biden ha dichiarato che «gli Stati Uniti non esiteranno a reagire contro l'aggressione iraniana», aggiungendo che Washington «non cerca un conflitto con l'Iran, ma ci si deve preparare ad agire con forza». Dal canto suo, il generale Michael Kurilla, attualmente a capo di US Centcom, ha quindi ammonito che le forze americane, qualora necessario, potrebbero venire impegnate in altre missioni di attacco «nel quadro di una opzione di scala a fronte di qualsiasi ulteriore aggressione iraniana»

Proseguono gli attacchi contro le basi statunitensi in Siria dopo che un drone, che il Dipartimento alla Difesa di Washington ritiene sia iraniano, ad Hasakah giovedì scorso aveva provocato la morte di un contractors americano. A seguito di quell’attacco il segretario alla Difesa Lloyd Austin era intervenuto pubblicamente per rendere noto che le forze dipendenti da US Centcom avevano reagito con una serie di raid aerei di precisione diretti contro strutture utilizzate da gruppi affiliati alla Guardia rivoluzionaria iraniana situate nella Siria orientale. Il bilancio è stato di sei miliziani filoiraniani uccisi nell’attacco a un deposito di armi presso Der el-Zour e altri due in un avamposto non distante dalla città di Mayadeen, colpiti infine anche obiettivi situati nell’area di Boukamal, lungo il confine con l’Iraq.

SERIE DI ATTACCHI ALLE BASI AMERICANE IN SIRIA

Si tratta di formazioni armate sostenute da Teheran che sono attive in un settore dove risultano presenti anche unità siriane, un’area dove negli ultimi mesi sono stati registrati strike aerei contro le linee di rifornimento iraniane, attribuiti all’aeronautica militare israeliana ma dei quali Gerusalemme non si è mai assunta ufficialmente la paternità. Nella giornata di venerdì, dunque dopo i raid condotti per ritorsione dai velivoli americani, sono stati registrati ulteriori tre attacchi compiuti con numerose salve di razzi contro le basi militari statunitensi nei pressi del giacimento petrolifero di al-Omar, a causa dei quali è rimasto ferito un militare americano.

VERSO L’OPZIONE INCREMENTALE

Venerdì scorso, durante la sua visita in Canada, nell’esprimere le proprie condoglianze alle famiglie delle vittime degli attacchi il presidente Joe Biden ha dichiarato che «gli Stati Uniti non esiteranno a reagire contro l’aggressione iraniana», aggiungendo che Washington «non cerca un conflitto con l’Iran, ma ci si deve preparare ad agire con forza per proteggere il nostro popolo». Il generale dell’US Army Michael “Erik” Kurilla, ufficiale attualmente a capo di US Centcom, ha successivamente ammonito che le forze americane, qualora necessario, potrebbero venire impegnate in altre missioni di attacco nel quadro di una opzione di scala (cioè incrementale) «a fronte di qualsiasi ulteriore aggressione iraniana».

I DRONI DEI PASDARAN

La Repubblica Islamica nega il coinvolgimento in questi attacchi, che sono stati effettuati con dei sofisticati velivoli senza pilota i cui componenti, analizzati dalle intelligence occidentali, vengono tuttavia ricondotti ai droni dei Pasdaran. Le ultime dinamiche nella regione rischiano di porre in discussione i recenti passi in avanti compiuti sul percorso della riduzione delle tensioni, che ha visto il riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran, con Riyadh intenzionata anche a riaprire la propria ambasciata a Damasco. Le cancellerie di questi Paesi per il momento mantengono un basso profilo, evitando di commentare l’escalation che si sta consumando durante il mese del Ramadan. I militari statunitensi sono presenti in Siria dal 2015, quando sono intervenuti boots on the ground in sostegno della variegata compagine che si opponeva alle forze di Islamic State. Attualmente Washington mantiene ancora una base presso Hasakah, nella Siria nordorientale, dove operano novecento uomini oltre a numerosi contractors.

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