ISRAELE, crisi. Netanyahu rinvia, ma la riforma della giustizia non viene ritirata

Dopo sette ore di rinvii del suo previsto intervento televisivo al Paese, tra lo sciopero generale e l’agitazione dei manifestanti davanti al Parlamento che hanno anche bloccato a tratti l’accesso a Gerusalemme, Benjamin Netanyahu si è presentato ai media ieri sera alle ore diciannove decidendo di «posporre», ma solo per breve tempo, la riforma del sistema giudiziario, che resta l’obiettivo prioritario del suo governo

di Roberto Pagano, per gentile concessione del quotidiano “Avanti!” https://www.avantionline.it/israele-netanyahu-rinvia-ma-la-riforma-della-giustizia-non-viene-ritirata/ Dopo sette ore di rinvii del suo previsto intervento televisivo al Paese, tra lo sciopero generale e l’agitazione dei manifestanti davanti al Parlamento che hanno anche bloccato a tratti l’accesso a Gerusalemme, Benjamin Netanyahu si è presentato ai media ieri sera alle ore diciannove decidendo di «posporre», ma solo per breve tempo, la riforma del sistema giudiziario, che resta l’obiettivo prioritario del suo governo.

UNA CONTESTATA RIFORMA

Il primo ministro ferma quindi temporaneamente il provvedimento, dilatando i tempi delle nuove tornate del dibattito parlamentare e la messa ai voti alla Knesset, annunciando la necessità di un «dibattito più articolato» per «giungere a un accordo» e «comporre le controversie». Invocando la indispensabilità delle riforme in campo legislativo e giudiziario e la costruzione di una nuova unità nazionale tra gli israeliani, “Bibi” ha anche mostrato un volto conciliante verso l’opposizione politica e, soprattutto, rivolgendosi ai cittadini in piazza da tre mesi: «la mobilitazione e le vostre manifestazioni vengono dal vostro cuore e anima», ma invitandoli a essere responsabili e evitando «le provocazioni». Lo stop del longevo premier della destra giunge dopo molte settimane di dimostrazioni permanenti e clamorose proteste di massa in Israele, l’ultima ha registrato oltre 600.000 persone scese in piazza e, all’estero, con scioperi generalizzati o anche talvolta a scacchiera di interi settori economici, proclamati dal sempre potente sindacato laburista Histadrut.

LO «STOP» DEL LONGEVO PREMIER

Si sono, anzi, avuti episodi inediti, come l’interruzione dei servizi diplomatici e consolari, lettere di netto dissenso seppur rispettoso, di militari d’élite, il rifiuto di piloti o traduttori ad assistere il Primo ministro in alcune visite all’estero. La decisione di Netanyahu giunge tra il malumore sotterraneo, poi emerso, anche nell’area di destra, culminato nella serata di domenica 26 con la rimozione da parte del Premier del suo ministro della Difesa, Yoav Gallant, sempre del Likud, che aveva severamente criticato l’insistere del capo del Governo sulla contestata riforma giudiziaria, che secondo lui aggraverebbe la divisone tra i cittadini e, persino, l’efficienza dello Stato nel suo ambito militare e civile. Il muro contro muro e il varo a ogni costo del provvedimento era, però, rivendicato con forza dall’ultranazionalista ministro per la Sicurezza nazionale e capo di Potere Ebraico, Itamar Ben Gvir, che ha dato il suo assenso al rinvio soltanto in cambio dell’istituzione di una nuova, ancora indefinita nei contorni e funzioni, “Guardia nazionale” guidata dallo stesso Ben Gvir.

MURO CONTRO MURO

Identica posizione estrema, al momento rientrata, era stata assunta del ministro delle Finanze e leader del Partito sionista religioso, Bezael Smotrich, che aveva minacciato di dimettersi in caso di incertezze, invitando anzi i suoi sostenitori e gli elettori della maggioranza di destra a non intimorirsi, a radunarsi e manifestare, proclamando apoditticamente «non ci faremo rubare lo Stato e le elezioni». La riorganizzazione dell’amministrazione della Giustizia, in particolare competenze e composizione della Corte suprema, la cui nomina dei membri passerebbe direttamente all’esecutivo, voluta dal Likud e sostenuta dai partiti religiosi ultraortodossi e dalle formazioni di estrema destra, per la prima volta presenti organicamente nel settimo esecutivo guidato da Netanyahu, è ritenuta un vulnus alla democrazia israeliana da ampi strati dell’opinione pubblica e non solo dagli accademici e dall’opposizione di centro sinistra, capeggiata dal centrista Yair Lapid.

IL RICHIAMO DEL PRESIDENTE HERZOG

Anche il Presidente della Repubblica, Isaac Herzog, dinanzi alle dimostrazioni di massa e il diffuso dissenso che ha saldato nelle strade israeliane una totale solidarietà tra anziani, giovani e intere famiglie, studenti e professori, oltre alle diverse categorie professionali, ha da tempo preso posizione e sollecitato ripetutamente un compromesso tra maggioranza e opposizione, richiamando tutti alla normale dialettica democratica. Adesso il Capo dello Stato assume un ruolo molto importante nella mediazione. I negoziati tra governo e opposizione sulle modifiche alla riforma giudiziaria si svolgeranno quasi certamente nella sua residenza. Il Premier Netanyahu ha già chiesto la nomina di team ad hoc da parte dei due capi della minoranza parlamentare, che li hanno subito indicati.

NETANYAHU SOTTO PRESSIONE

Peraltro, gli accenti tra le due principali forze di opposizione sulle reali intenzioni del Primo ministro sono differenti: Benny Gantz ha aperto subito positivamente al confronto a cui è stato costretto il governo, mentre Lapid, pur lieto della nuova fase, si è mostrato dubbioso su quanto realmente Bibi, pressato anche dagli alleati più radicali di destra, vorrà e potrà correggere la sua riforma. Tutti gli ambienti politici e sociali, intanto, sperano nell’equilibrio e nella capacità di mediazione del Presidente Herzog, per almeno attenuare la discordia, in direzione di una sperabile pacificazione nazionale.

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