a cura di Giuseppe Morabito, generale in ausiliaria dell’Esercito italiano e attualmente membro del Direttorio NATO Defence College Foundation – Questa settimana, il Wall Street Journal, citando anonime «personalità coinvolte nelle discussioni tra i due paesi», ha diffuso la notizia che l’Arabia Saudita sta chiedendo agli Stati Uniti di fornire garanzie di sicurezza e aiuto al fine di sviluppare il suo programma nucleare civile, questo mentre Washington cerca di continuare a mediare tra il Regno degli al-Saud e lo Stato di Israele.
IL NUCLEARE IRANIANO… E QUELLO SAUDITA
Raggiungere un accordo di normalizzazione è divenuta una priorità per il presidente americano Joe Biden e per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, nel mezzo di un confronto senza soluzione di continuità con l’Iran a causa dell’avanzamento del programma nucleare di quest’ultimo, definito a eufemisticamente a Teheran come «civile», nonché degli aiuti militari forniti dagli ayatollah alla Russia in guerra con l’Ucraina. L’amministrazione Biden è profondamente coinvolta nei complessi negoziati e qualsiasi accordo rimodellerebbe il panorama politico mediorientale. Le richieste di garanzie di sicurezza e aiuti nucleari avanzate da Riyadh si costituiscono un ostacolo a un accordo, poiché alcuni membri del Congresso probabilmente si opporranno alle misure desiderate dalla petromonarchia del Golfo. I sauditi cercano il sostegno di Washington allo scopo di arricchire l’uranio e sviluppare un loro sistema di produzione di carburante nucleare, inducendo americani e israeliani a temere lo sviluppo di un’arma nucleare da parte di Riyadh, accelerando così la corsa agli armamenti con l’Iran.
UN ALTRO ACCORDO È POSSIBILE
Dal canto suo, Riyadh teme che concludere un accordo con Israele la esporrebbe al fuoco incrociato del mondo arabo, aggravando ulteriormente le tensioni con Teheran. Voci di corridoio percepite negli ambienti interessati a una soluzione (cioè negli Usa, Israele e Arabia Saudita) ne ventilerebbero il raggiungimento. Netanyahu, intanto, beneficia della rendita ereditata dagli Accordi di Abramo, sui quali cerca di edificare nuovi legami con il mondo arabo musulmano sunnita. Negli ultimi anni i sauditi hanno intensificato le relazioni nel campo della sicurezza con lo Stato ebraico allo scopo di contrastare il comune nemico regionale, l’Iran sciita. Mentre si sforza nella diversificazione della propria economia sganciandola almeno in parte dallo sfruttamento delle risorse energetiche, il Regno guarda anche agli accordi commerciali come un potenziale crescente. Un accordo rappresenterebbe inoltre una vittoria diplomatica per Biden dopo i ripetuti scontri con Riyadh su diritti umani, prezzi petroliferi, guerra nello Yemen e sostegno all’Ucraina.
LO ZAMPINO DI PECHINO
Parallelamente, nella giornata di ieri (venerdì 10 marzo) Cina Popolare, Iran e Arabia Saudita hanno annunciato che iraniani e sauditi hanno concordato di ristabilire le relazioni e riaprire le loro sedi diplomatiche «dopo sette anni di incomprensioni». L’annuncio è giunto a seguito di quattro giorni di colloqui (che non erano stati resi noti da Pechino) tra i massimi esponenti della sicurezza delle due potenze regionali rivali del Medio Oriente. Le parti hanno diffuso una dichiarazione congiunta nella quale si rende noto come il ristabilimento delle relazioni e la riapertura delle ambasciate avverranno entro un periodo massimo di due mesi. In programma anche un incontro tra i ministri degli esteri dei due Paesi. La reazione della Casa Bianca a questo ravvicinamento è stata cauta: «Arabia Saudita dovrebbe tenere informata l’amministrazione Biden sugli accordi riguardo ai quali Washington non è direttamente coinvolta».
DAL LIBANO PARLA NASRALLAH
Interessante notare come il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, abbia affrontato pubblicamente per l’ennesima volta il tema delle tensioni politiche che destabilizzano Gerusalemme. Egli, come del resto era prevedibile, di fronte a un possibile riavvicinamento israelo-saudita, ha immediatamente sottolineato che i recenti eventi che hanno avuto luogo «sono indice dell’inizio della fine dello Stato ebraico». Nasrallah ha altresì minacciato che una proposta di legge israeliana per imporre la pena di morte ai terroristi condannati per attacchi mortali incoraggerebbe solo ulteriori aggressioni. Egli sostiene poi che l’Asse della Resistenza, cioè lo schieramento filo-iraniano che vede cooperare contro Israele Hezbollah e Hamas, si sta rafforzando mano a mano che lo Stato ebraico si indebolisce, quindi esso «è pronto alla battaglia finale». Nasrallah ha infine sottolineato la centralità della Siria, la cui stabilità avrebbe avuto riflessi sugli equilibri di potere in Libano e Palestina, oltre al fatto che il riavvicinamento tra sauditi iraniani avrebbe un impatto positivo sul Paese dei cedri.
NETANYAHU A ROMA
Ieri il primo ministro israeliano ha incontrato a Palazzo Chigi il presidente del Consiglio dei ministri italiano, sottolineando in seguito come si rinvengano ampi spazi di collaborazione, in particolare nei settori dell’energia e dell’approvvigionamento idrico. Intervenendo al Forum economico delle imprese, Netanyahu si è detto intenzionato ad «accelerare le esportazioni di gas verso l’Europa attraverso l’Italia. Ora c’è la partecipazione dell’Eni al nostro progetto e noi riteniamo di poterlo portare a un livello ancora superiore per dare una mano all’Italia nel risolvere i problemi relativi alla siccità». In conclusione, una normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita consentirebbe allo Stato ebraico di concentrarsi meglio sulle politiche industriali di cooperazione e svilupparle assieme all’Europa.