GIUSTIZIA, processi celebrati entro le Mura leonine. Palazzo di Londra: la «cruciale» testimonianza di Pena Parra

Ciò che sarà chiamato a riferire dinnanzi al Tribunale vaticano il sostituto della Segreteria di Stato il 16 e il 17 marzo prossimi, potrebbe rivelarsi importante ai fini della comprensione del modo di agire che contraddistinse la vicenda relativa all’immobile acquistato nella capitale britannica

a cura di Andrea Gagliarducci, vaticanista dell’agenzia giornalistica ACI Stampa – Immaginate che c’è un organo di Stato cui lo Stato chiede un aiuto per risolvere un problema. E immaginate che questo organo di Stato, invece, decida non solo di dire no alla richiesta dello Stato, ma di denunziare lo Stato medesimo, senza nemmeno proporre una soluzione alternativa. È quello che è accaduto in Vaticano quando la Segreteria di Stato ha chiesto all’Istituto delle Opere di Religione (IOR) un prestito per finalizzare l’acquisto di un immobile di lusso a Londra e così liberarsi dal peso di un mutuo oneroso e dal problema di aver dato il palazzo in gestione a un broker che si era tenuto le uniche quote con diritto di voto.

L’OMBRA DELLO IOR

Questo scenario si è delineato nel corso dell’udienza numero 46 del processo vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, che ha visto quale testimone il presidente del Consiglio di Sovrintendenza dello IOR, la cosiddetta «banca vaticana». L’udienza successiva, la numero 47, è stata invece tutta dedicata alla “vicenda Sardegna”, ovvero alle accuse di peculato cui deve rispondere il cardinale Angelo Becciu, che da sostituto della Segreteria di Stato avrebbe dato benefici alla Caritas diretta dal fratello nell’isola. E anche qui ci sono profili tutti da considerare, perché durante i vari interrogatori non si è mai chiesto se effettivamente il fratello del cardinale avesse avuto benefici economici (che sarebbe poi l’unica prova del peculato), mentre ci si è concentrati molto sulla gestione amministrativa della diocesi di Ozieri, che sembrava essere diventato il vero obiettivo della vicenda. Ma andiamo con ordine.

COSA RIGUARDA IL PROCESSO

Nel processo per la gestione dei fondi della Segreteria di Stato rientrano almeno tre filoni di indagine. Il primo, quello che riguarda l’investimento della Segreteria di Stato in un immobile di lusso a Londra. Inizialmente, la Santa Sede aveva acquistato quote del palazzo, date in gestione prima al broker Raffaele Mincione, e quindi rilevate e date in gestione al broker Gianluigi Torzi. Questi aveva tenuto per sé le sole quote con diritto di voto, cosa che aveva portato la Santa Sede a decidere di salvare l’investimento rilevando la proprietà del palazzo. Il secondo filone riguarda le accuse di peculato mosse al cardinale Becciu, che da sostituto avrebbe favorito una cooperativa legata alla Caritas della diocesi di Ozieri, la SPES, con una donazione da parte della Segreteria di Stato e poi sostenendola di fronte alla richiesta di finanziamento dell’8 per mille. Il terzo filone riguarda invece l’ingaggio, da parte della Segreteria di Stato, della sedicente esperta di intelligence Cecilia Marogna, che avrebbe poi usato il denaro ricevuto per fini personali e non istituzionali. Tre processi in uno, dunque, che vanno distinti, e che hanno come punto in comune solo la questione della gestione della Segreteria di Stato.

L’INTERROGATORIO DE FRANSSU

Il 16 febbraio è stato il giorno dell’interrogatorio del presidente dello IOR Jean-Baptiste de Franssu. Quando la Segreteria di Stato aveva rilevato tutto il palazzo, aveva chiesto allo IOR un prestito di 150 milioni, che sarebbe stato poi restituito, per far fronte all’estinzione di un mutuo che gravava sull’immobile, a un tasso di interesse oneroso. Lo IOR prima aveva accettato di erogare il prestito, poi aveva invece improvvisamente rifiutato. È stato il direttore generale dello IOR, Gianfranco Mammì, a far partire il 2 luglio 2019 la denuncia che ha dato il via al processo odierno. De Franssu ha dichiarato di non aver saputo della denuncia solo a cose a fa, ma che non c’era stata «altra scelta per l’istituto», anche di fronte alle pressioni che ricevevano per fornire il prestito. Anzi, ha raccontato che c’era stato un incontro il 25 luglio convocato dal cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, cui hanno partecipato l’arcivescovo Edgar Pena Parra, sostituto della Segreteria di Stato, presidente e direttore dell’Autorità di informazione finanziaria (AIF) René Bruelhart e Tommaso Di Ruzza, lo stesso De Franssu insieme al direttore generale dello IOR Gianfranco Mammì. «In quell’occasione – ha altresì riferito de Franssu -, l’AIF era rimasta in silenzio, per prenderlo poi da parte alla fine dell’incontro chiedendogli conto della sua “ostinazione” nel non voler procedere. Mentre a parlare durante era stato Pena Parra, che aveva dato a De Franssu e al board degli “incompetenti”, cosa che il presidente dello IOR ha rimarcato stizzito più volte».

IL PONTEFICE ERA INFORMATO?

Non si sa se Mammì abbia preso parte alla conversazione, ma di certo si sa che aveva già fatto partire la denuncia. Non viene ammessa la domanda se il Pontefice fosse stato informato, tuttavia, nel suo memoriale Pena Parra fa notare che il Papa era stato informato, e che sarebbe stato informato dopo la riunione dallo stesso Parolin. In quel momento, però, i rapporti erano già compromessi. Lo IOR aveva dato con una lettera massima disponibilità, ma poi aveva fatto marcia indietro, e de Franssu spiega che sì la lettera è impostata alla massima collaborazione con l’autorità, ma non significa che non si dovessero fare verifiche dopo, e che dalle verifiche con i database internazionali era risultato il rischio di riciclaggio per la presenza di Mincione e Torzi. Insomma, non era un problema di copertura finanziaria, quanto di reputazione. Permane comunque l’anomalia che una richiesta della Segreteria di Stato, cioè del governo, non abbia seguito. Dall’altra parte c’è l’AIF che riceve segnalazione della Segreteria di Stato, analizza la transazione, propone una alternativa per evitare il rischio di riciclaggio, e avvia comunque una serie di indagini con le unità di informazione finanziaria coinvolte che sarebbero continuate anche dopo il termine delle operazioni. Sarebbe da chiedersi, forse, chi ha voluto fermare l’attività di indagine dell’AIF, che comunque ha cercato di aiutare l’istituzione a uscire da una piega difficile.

LA «MINIMA» TRANSAZIONE IOR-INVESCO

De Franssu ha considerato ogni sollecitazione una pressione, ha collegato al suo rifiuto anche una nota su una transazione dello IOR con l’istituto finanziario INVESCO, «una cosa minima», ha detto, che però era finita sotto i riflettori anche perché INVESCO era stato per 30 anni la casa di De Franssu. Per tutta risposta, il presidente dello IOR invia al cardinale Parolin una nota riguardante un processo che lo IOR ha a Malta, per l’acquisto del prestigioso ex Palazzo della Borsa di Budapest. È un caso complicato, dove lo IOR viene anche accusato di aver, una volta aperto il procedimento, rifiutato ogni offerta per l’acquisizione del palazzo che avrebbe ripianato debito e contenzioso solo nella volontà di discreditare il vecchio management dell’Istituto. Saranno i giudici a stabilire la verità processuale. Si nota, però, la volontà di De Franssu di marcare una certa discontinuità con la vecchia gestione, nonostante questa avesse lasciato con un utile di 86,6 milioni di euro che non si è più verificato negli anni successivi. Ma, perché lo IOR non poteva erogare il prestito? De Franssu afferma che «la normativa lo impediva» e che «qualunque attività di prestito era stata bloccata nel 2014». A parte che la normativa, letta già durante l’interrogatorio di Mammì, concedeva allo IOR (che non è una banca) di fare credito per fini istituzionali, ci sarebbero almeno altri due casi negli ultimi anni in cui l’istituto ha aiutato a ripianare debiti: il prestito di 11 milioni alla diocesi di Terni, contabilizzato nel rapporto IOR 2014 ma precedente alla gestione De Franssu, e quindi la questione che riguarda il monastero benedettino di Dalia, nella diocesi di Porec-Pula, che risolveva un contenziosotra l’abbazia e la vecchia proprietà del monastero.

PERSONE PERICOLOSE IN GRADO DI COMMETTERE OMICIDI

La vicenda era del 2011,  l’aiuto IOR era stato ottenuto nel 2018-2019, quando era già arcivescovo Dražen Kutleša. Questi, tra l’altro, è stato nominato questa settimana da Papa Francesco coadiutore dell’arcidiocesi di Zagabria. Il punto era decidere se rispondere alla Segreteria di Stato andava considerata una attività istituzionale o una attività finanziaria, e questo riguarda in senso più largo la considerazione che si ha dello Stato: lo IOR deve sostenere la Santa Sede o agire contro la Santa Sede come un qualunque istituto di credito? Di minacce ha parlato nella sua testimonianza anche Alessandro Nardi, anche lui sentito come testimone. Nardi aveva lavorato allo IOR come responsabile dell’ufficio compliance e aveva riferito che Fabrizio Tirabassi, officiale dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato e anche lui imputato, gli aveva riferito che «dietro l’operazione di Londra c’erano persone pericolose, capaci di commettere omicidi». Come pubblico ufficiale, tuttavia, non presentò alcuna denuncia: «Ne parlai con De Franssu e con mia moglie». Al termine dell’udienza, Tirabassi ha dichiarato: «Non ho mai minacciato Nardi né gli ho riferito espressioni minacciose da parte di terzi».

LA QUESTIONE SARDEGNA

L’udienza del 17 febbraio è stata invece dedicata alla questione Sardegna. Sei ore di interrogatori, che hanno incluso il vescovo emerito e poi amministratore apostolico di Ozieri Sebastiano Sanguinetti e l’attuale vescovo Corrado Melis, ma anche sacerdoti della diocesi, il sindaco della cittadina e un officiale della Segreteria di Stato che ha riferito di come il cardinale Becciu si sia preso cura di monsignor Alberto Perlasca, già capo dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, quando questi a luglio 2020 aveva minacciato il suicidio. Centro degli interrogatori, la cooperativa SPES, che fu messa sotto la presidenza di Antonino Becciu e che aveva lo scopo di fornire un lavoro a persone marginalizzate, anche attraverso il progetto di un panificio. Antonino Becciu è il fratello del cardinale Angelo Becciu, professore di religione in pensione, venne scelto in quanto impegnato da sempre nel volontariato diocesano e considerato affidabile, onesto e attendibile. Il vescovo Sanguinetti ha detto che si decise di fondare SPES nel 2006 per creare una struttura che alleggerisse Caritas dal punto di vista amministrativo, con la quale poter assumere, ma collegandola alla Caritas.

FIAT PANIS

Il grande progetto SPES era quello di creare un panificio. Il luogo prescelto per il panificio fu distrutto da un incendio e Sanguinetti fece domanda all’8 per mille CEI per un finanziamento di 300.000 euro, che fu accettata. Becciu, è stato spiegato, non si era mai interessato, né era mai entrato direttamente nella gestione di SPES. Il vescovo Melis ha confermato di aver chiesto, solo verbalmente a Becciu un contributo della Segreteria di Stato, anche per favorire il progetto della Cittadella della Solidarietà utile sia a Ozieri che al nord della Sardegna. L’11 aprile 2018 dalla Segreteria di Stato fu erogato un bonifico di 100.000 euro. È quello su cui hanno indagato gli inquirenti. I soldi sono ancora sul conto della Diocesi, che non li ha mai utilizzati. Nessuna domanda si è però concentrata sulla destinazione dei soldi, in particolare su come la famiglia Becciu si sarebbe arricchita. Dopo Sanguinetti e Melis, sono stati ascoltati altri quattro testimoni, tra cui il sindaco di Ozieri, Marco Murgia, e monsignor Paolo Vianello, sacerdote che ha lavorato nella Segreteria di Stato e che ha riferito di come Becciu si prese cura di Perlasca.

IN ATTESA DEI PROSSIMI SVILUPPI

Molti sono i nodi da chiarire, e sarà importante, se non cruciale, la testimonianza del sostituto della Segreteria di Stato. Agli atti c’è un suo memoriale, di venti pagine e duecento documenti allegati, in cui dettaglia il sistema di affari che lui avrebbe cercato di sgominare, rivendicando tra l’altro la bontà dell’investimento a Londra e il suo lavoro nel proteggere l’investimento della Segreteria di Stato. Anzi, stigmatizza anche il rifiuto dello IOR al finanziamento, sottolineando che questo avrebbe portato benefici allo stesso Istituto. L’idea del presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone è comunque di chiudere il processo entro l’anno. Tra febbraio e marzo ci sono sette udienze, mentre il Tribunale ha anticipato di quindici giorni il termine del deposito delle consulenze e delle controdeduzioni, fissando le date rispettivamente al 5 maggio e il 5 giugno. «Per inizio giugno sarà terminato l’esame ai diversi testimoni – ha reso noto Pignatone -, dopodiché daremo un congruo tempo al Promotore di Giustizia per preparare la requisitoria». Alla ripresa delle attività del Tribunale, il 20 settembre, avranno luogo gli interventi delle difese, le eventuali repliche e dichiarazioni spontanee degli imputati. A ottobre, quindi, è possibile che venga emessa la sentenza.

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