a cura di Giuseppe Morabito, generale in ausiliaria dell’Esercito italiano attualmente membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation – Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan è oggetto di critiche per la risposta ritardata del suo governo alla tragedia del terremoto.
TARDIVA RISPOSTA
I residenti di Adiyaman sono infuriati e affermano che né il governo turco né l’esercito li hanno assistiti. Il presidente ha visitato le aree più colpite e ha ammesso le «carenze», le difficoltà nell’invio di aiuti urgenti in condizioni invernali rigide. Nonostante questo, il suo esercito pensa a combattere e supportare le guerre in Nagorno Karabak e in Libia e a sterminare i curdi. Egli, inoltre, vuole le elezioni a maggio nonostante il devastante terremoto abbia piagato il suo paese. Il bilancio delle vittime accertate in Turchia e Siria è salito a 33.000 e potrebbe raddoppiare, a sostenerlo è il sottosegretario generale per gli Affari umanitari delle Nazioni unite, Martin Griffiths, coordinatore dei soccorsi di emergenza, che si trova nella provincia turca di Kahramanmaras. Lo ha dichiarato nel corso di un’intervista rilasciata a “Sky News”. «Ci sono molti tipi di voci là fuori su come potrebbe finire e penso che sia davvero difficile da stimare in modo molto preciso perché dobbiamo ancora scavare sotto le macerie, ma io sono sicuro che il bilancio dei morti raddoppierà o più».
UN BILANCIO DRAMMATICO
A ormai una settimana dal sisma si inizia ad avere certezza che in mezzo alla marea di ricchezza e di affari voluta dal presidente turco, con leggi a favore dell’edilizia selvaggia e incontrollata, si sia sviluppata la speculazione, la malversazione, l’incoscienza, l’incapacità di affaristi che si sono trasformati in imprenditori edili innalzando fragili cattedrali con materiali scadenti e nessuna precauzione antisismica. Si capisce facilmente dalle tragiche immagini che giungono dai luoghi del sisma, che ci sono palazzi caduti e a pochi metri di questi ve ne sono altri che sono rimasti in piedi. Questi ultimi sono stati costruiti a norma, i primi invece no. Erdoğan ha costruito gran parte del proprio consenso elettorale su questa immensa colata di cemento e sullo scandaloso condono che ne è seguito.
SPROFONDA L’ECONOMIA TURCA
In questo inizio 2023 la situazione non appare buona, i redditi dei cittadini turchi sono stati erosi oltreché dalla pandemia, anche da un tasso di inflazione che ha superato in alcuni mesi il 100%, poiché Ankara ha creato le condizioni per la svalutazione della lira turca, che, se da un lato ha consentito di incrementare del 33% le esportazioni, dall’altro ha fatto sì che il rapporto con l’euro sia diventato quasi sette volte quello del 2014. Il terremoto di magnitudo 7,8 che la mattina del 6 Febbraio ha colpito il sud della Turchia ha causato una catastrofe umanitaria della quale non si conoscono ancora le dimensioni. In Turchia la distruzione è arrivata fino ad Amed Diyarbakir, a 300 chilometri dall’epicentro e nelle aree prevalentemente arabe di Hatay. In Siria le aree maggiormente colpite sono quelle occupate dall’esercito turco e dalle sanguinarie milizie islamiste di Hay’at Tahrir al-Sham, alleate della Turchia, che comprendono le città di Afrin e la provincia di Idlib. Gravemente colpite anche le zone di Aleppo, Latakia, Tartus e Hama, che sono sotto il controllo del regime siriano di Bashar al-Assad. I territori dell’AANES (Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est) che comprendono anche la Rojava, hanno subito per lo più danni contenuti, fatta eccezione per la regione di Shehba, la città di Tall Rifaat e i quartieri curdi di Aleppo, località nelle quali vivono soprattutto sfollati fuggiti da Afrin nel 2018 dopo l’aggressione turca e che ora subiscono l’assedio dell’esercito di Damasco.
ATTACCHI MILITARI DI ANKARA AI CURDI IN SIRIA
In Siria, già provata dall’embargo occidentale e da undici anni di guerra civile e dalle aggressioni militari della Turchia, ad Afrin sono migliaia le persone ancora disperse ma non è stato inviato alcun mezzo di soccorso, inoltre un convoglio di soccorritori con aiuti umanitari è stato bloccato. È evidente che neppure il sangue, il dolore e il lutto fermano l’odio per i curdi, dato che nel corso della notte tra il 6 e il 7 febbraio e di nuovo nella mattinata del 7, l’esercito turco ha bombardato l’aerea di Shehba e la città di Tall Rifaat, dove gran parte della popolazione stava sopravvivendo nei rifugi allestiti nelle aree che si pensavano sicure. Il 7 febbraio Erdoğan è apparso alla televisione per annunciare che «’entità del terremoto e le sue conseguenze costringono a prendere misure eccezionali. Abbiamo deciso, sulla base dei poteri conferitici dalla Costituzione, di dichiarare lo stato di emergenza nelle dieci province più colpite dal sisma per un periodo di tre mesi, per garantire che le operazioni di ricerca e salvataggio e il successivo lavoro possano essere eseguiti rapidamente».
MISURE ECCEZIONALI
Ma in molte zone i soccorsi non sono mai arrivati e la gente sta cercando di scavare praticamente a mani nude e salvare la vita delle persone intrappolate sotto le macerie. In realtà lo stato di emergenza sta ostacolando gli aiuti civili alle vittime del disastro e si teme che Erdoğan approfitti del terremoto e dell’instaurazione dello stato di emergenza per impedire soprattutto alle forze di opposizione curde, arabe e di altre minoranze di organizzare i necessari e urgenti aiuti nelle regioni colpite. Inoltre, la catastrofe umanitaria potrebbe servire da pretesto per organizzazione le elezioni in condizioni di stato di emergenza nelle regioni del Kurdistan e per limitare fortemente la copertura mediatica delle zone colpite dal sisma, per nascondere le evidenti inefficienze dello Stato turco nell’organizzazione dei soccorsi. In Turchia è incorso una campagna elettorale ed Erdoğan e il suo governo di coalizione non tollerano critiche, ma nonostante la censura sempre più voci si levano per denunciare, chiedere di supportare i popoli di Kurdistan, Siria, Turchia e di adoperarsi perché venga garantito ai soccorritori e volontari l’accesso alle aree colpite, perché non venga impedito ai giornalisti di recarsi in loco e perché venga permesso agli aiuti umanitari di raggiungere le aree colpite dal sisma. In realtà ci sono troppe insidie, sulla strada della rielezione di Erdoğan e quindi per iniziare ha deciso di oscurare Twitter, per precauzione.
UNA BUONA NOTIZIA
In conclusione una buona notizia: per la prima volta in 35 anni è stato aperto un valico al confine tra Turchia e Armenia per fornire aiuti alle vittime delle scosse di terremoto. Lo ha reso noto l’agenzia di stampa turca “Anadolu”, spiegando che cinque camion carichi di aiuti hanno attraversato il valico di Alican nella provincia turca di Igdir. «Gli aiuti umanitari inviati dall’Armenia hanno attraversato il ponte Margara al confine tra Armenia e Turchia e si stanno dirigendo verso le zone colpite dal terremoto», dichiarazione resa dal viceministro degli esteri armeno Vahan Kostanayna. Il valico è stato aperto nel 1988 in occasione del terremoto che aveva colpito il paese causando almeno 25.000 morti. Lodevole il comportamento degli armeni, che stanno agendo in modo umanitario nonostante i due paesi siano divisi dagli avvenimenti del 1915. In particolare, Ankara si rifiuta di ammettere il genocidio degli armeni perpetrato dagli ottomani, inoltre il governo turco, riguardo al conflitto del Nagorno-Karabakh, continua a fornire armamenti all’Azerbaijan, paese che non cessa la sua politica aggressiva nei confronti della minoranza armena.