a cura di Giuseppe Morabito, generale in ausiliaria dell’Esercito italiano e attualmente membro del Direttorio NATO Defence College Foundation –La regione balcanica, già prima dell’aggressione di Mosca all’Ucraina, era afflitta da una serie di problemi di natura politica, sociale ed economica, nonché dalla sua vulnerabilità nei confronti di fattori esterni, siano essi connessi alle dinamiche di una perdurante globalizzazione oppure alla negativa interferenza di importanti attori regionali e globali come Turchia e Russia.
DISTRAZIONI DELL’OCCIDENTE
La guerra in Ucraina e l’attenzione prestata agli sviluppi militari rischiano di oscurare un importante aspetto in passato trascurato dall’Occidente: la consapevolezza, cioè, che mantenere la regione in una sorta di limbo provvisorio costituisce un comportamento dalle conseguenze estremamente negative. L’Unione europea ha recentemente (luglio 2022) deciso di avviare i colloqui di adesione con l’Albania e la Macedonia del Nord (già Fyrom), mentre la Bosnia-Erzegovina ha ottenuto da poco lo status di paese candidato. Per ora il Kosovo è considerato solo un potenziale candidato all’adesione, mentre Serbia e Montenegro sono già candidati, tuttavia dovranno chiudere una serie di capitoli critici, interni ed esterni, aperti da più di dieci anni. Entro il 2023 è prevista anche la possibile revoca dei visti per i cittadini kosovari in ingresso nell’area Schengen.
LA NATO E I BALCANI
L’adesione di Sarajevo alla NATO si è sbloccata il 15 dicembre scorso seppure permangano dissensi interni, mentre la Serbia ha deciso di mantenere la sua neutralità nei rapporti con l’Alleanza. I Balcani stanno affrontando sfide vecchie e nuove che potrebbero potenzialmente esacerbare l’instabilità esistente. Negli ultimi mesi del 2022 non sono stati compiuti passi concreti verso l’integrazione nell’Unione europea da parte di diversi Stati chiave dell’area, dove le democrazie deboli sembrano essere sempre più vulnerabili alle influenze esterne. Inoltre, crescono le preoccupazioni riguardo alla crisi energetica ed economica, conseguenza diretta dell’operazione militare speciale del Cremlino contro l’Ucraina. Infine, un’altra serie di questioni irrisolte potrebbe fungere da elemento destabilizzante.
SERBIA E KOSOVO: LA PROBLEMATICA PRINCIPALE
La problematica principale resta quella dei rapporti tra Serbia e Kosovo, riaccesa dall’ultima controversia tra Belgrado e Pristina sulle targhe automobilistiche, che ha innescato una delle peggiori crisi politiche degli ultimi anni. La disputa ha riguardato in realtà la sovranità del Kosovo, che le autorità di Belgrado non hanno mai riconosciuto dopo le ostilità del 1999. Anche se Francia e Germania sono recentemente intervenute per tentare di risolvere la questione attraverso un piano, che non è stato ben accolto a Belgrado, le speranze di soluzione sono ancora scarse . Belgrado e Pristina stanno continuando a rimanere su posizioni conflittuali e il dialogo promosso dall’Unione europea, a quanto pare, al momento sta segnando il passo in quanto sia il nazionalismo sia le politiche miopi egoistiche sono purtroppo frequenti anche tra i decisori più giovani e apparentemente più moderni che hanno adesso acquisito il potere nelle strutture governative locali.
LA BOSNIA ERZEGOVINA, FRAGILE E DIVISA
La Bosnia Erzegovina, la seconda parte più fragile della regione, rimane divisa tra un’entità serba e una federazione croato-musulmana, con un debole governo federale che collega le due realtà. Le ultime elezioni non hanno portato a stravolgimenti drammatici, con le élite costituite dai leader politici nazionalisti (oltre che secessionisti nel caso dei rappresentanti serbi) che hanno sfruttato, come di consueto, la crisi in atto per restare al potere. Inoltre, una serie di paesi regionali e potenze esterne, come Cina Popolare e Federazione russa stanno sfruttando le debolezze interne della Bosnia al fine di rafforzare la loro influenza sul paese. Anche se Bruxelles ha concesso a Sarajevo lo status di candidato, come per altro precedentemente raccomandato dalla Commissione europea, con ogni probabilità i contrasti interni persisteranno.
I VANTAGGI DELL’INTEGRAZIONE
L’espansione della NATO ha avuto più successo della macchinosa integrazione europea. Albania, Macedonia del Nord e Montenegro sono attualmente membri dell’Alleanza, mentre la neutralità della Serbia pone problemi a Belgrado a causa delle sue relazioni de facto non trasparenti e a distanza con Mosca. Nel frattempo, l’evidente crollo demografico registrato nella regione continua, con un numero crescente di professionisti e giovani istruiti che emigra nell’Europa occidentale alla ricerca di migliori opportunità. Inoltre, sebbene l’Unione europea prometta aiuto per far fronte alla crisi energetica, Mosca permane un fornitore insostituibile per l’intera regione. Il tempo ci dirà se le promesse di Bruxelles e della NATO verranno concretamente mantenute, atteso che anche in Ungheria si registrano notevoli perplessità al riguardo.
LA SPIRALE DI ESCALATION
Qualunque potrà essere l’esito militare delle operazioni belliche in corso, occorrerà uscire da una pericolosa spirale di escalation, evitare un ulteriore conflitto congelato e iniziare a strutturare un accordo realistico e aperto tra i belligeranti, salvaguardando i capisaldi di principi basati sulla sicurezza e stabilità continentale e consentendo all’Ucraina di ripristinare nel tempo tutti le garanzie previste dal Protocollo di Budapest (Usa, Russia, Regno Unito e Ucraina) del 1994. La deterrenza e il dialogo, elementi assolutamente vincenti dell’Alleanza Atlantica durante e dopo la lunga guerra fredda, dovranno essere sostenuti da investimenti credibili nella difesa e seri negoziati politici, neutralizzando pericolose tensioni di revanscismo tra le parti negoziali.
LA RICOSTRUZIONE UCRAINA
Non va poi dimenticato l’aspetto finanziario che fa gola a molte economie che circondano l’Ucraina (alcuni analisti ipotizzano che la ricostruzione post-bellica potrebbe “costare” almeno un trilione di dollari/euro) e che vorrebbero sfruttare a loro favore la vicina regione balcanica. È comunque importante che il 15 dicembre 2022 i leader dell’Unione europea abbiano aggiunto la Bosnia Erzegovina all’elenco dei candidati ufficiali per entrare a far parte del ricco blocco di 27 nazioni. Il paese è entrato nella sala d’attesa nonostante le già citate continue critiche al modo in cui il paese è gestito. L’approvazione è stata solo una formalità dopo che i ministri degli affari europei hanno concordato all’unanimità di approvare una raccomandazione per concedere lo status alla Bosnia Erzegovina. La guerra in Ucraina è palesemente servita da acceleratore per il processo di allargamento e, a fine anno, i leader dell’Ue hanno dato segnali più concreti a sei paesi dei Balcani che aspirano ad aderire.
ACCELERATORE DELL’ALLARGAMENTO
In un vertice in Albania, l’Ue ha riconfermato il suo impegno pieno e inequivocabile per la prospettiva di adesione dei Balcani occidentali e ha chiesto l’accelerazione dei colloqui di adesione con gli aspiranti. L’espansione dell’Unione europea si era arrestata negli ultimi anni, ma da quando la Russia ha aggredito l’Ucraina i funzionari di Bruxelles hanno sottolineato che intensificare l’impegno del blocco con le nazioni dei Balcani occidentali è stato più cruciale che mai per mantenere la sicurezza dell’Europa. L’Ue ha inoltre concordato a giugno di candidare all’adesione la Moldavia e l’Ucraina e ha affermato che la Georgia sarà ammissibile alla candidatura una volta che il paese avrà raggiunto gli obiettivi definiti dalla Commissione europea. L’ultima volta che Bruxelles ha ammesso un nuovo membro si è trattato della Croazia nel 2013. Il percorso verso l’adesione è un processo lungo, poiché gli Stati candidati devono soddisfare una serie dettagliata di condizioni economiche e politiche.
INCREMENTO DELLA TENSIONE
Nelle ultime settimane del 2022 la tensione tra Serbia e Kosovo è aumentata a tal punto da spingere il governo di Belgrado a schierare l’esercito al confine, con status di massima allerta. Con la stessa velocità con cui è iniziata la crisi si è risolta e lascia ora spazio a possibili negoziati per un accordo sulla normalizzazione delle relazioni. La questione delle targhe è rientrata solo grazie alla mediazione di Ue e Usa: Belgrado avrebbe smesso di emettere nuove targhe e Pristina non avrebbe sanzionato quelle esistenti. I due paesi si sono scambiati reciproche accuse di voler attaccare e provocare un conflitto etnico. In particolare, la Serbia ha accusato il Kosovo di sostenere «terrorismo contro i serbi». L’Italia a novembre, a seguito della visita congiunta in Serbia e Kosovo dei suoi ministri degli Esteri e della Difesa, ha inteso ribadire la grande considerazione nella quale tiene la regione.
L’IMPEGNO ITALIANO NEI BALCANI
La visita rappresenta un atto per una nuova strategia italiana nei Balcani e un nuovo percorso di attenzione per questa regione dell’Europa. Essa ha visto al centro l’impegno di Roma ai fini di un allentamento delle tensioni e per un sostegno al dialogo. Le iniziative unilaterali fra Serbia e Kosovo “non servono a raggiungere un compromesso”, ha detto il ministro Tajani nel corso di un punto stampa all’ambasciata d’Italia a Belgrado seguito all’incontro con il presidente serbo Aleksandar Vučić. «Vogliamo che riparta il dialogo ma non tocca a noi fare proposte, ha egli dichiarato. «Piuttosto, come italiani (tocca a noi) fare da pacificatori e da coloro che fanno di tutto per allentare le tensioni», ha replicato il ministro Antonio Tajani. Anche il ministro della Difesa Crosetto ha dichiarato che con gli incontri veniva avviato un percorso di attenzione a una zona europea vicina all’Italia, e che questo percorso implicherà una cooperazione a 360 gradi, da quella diplomatica a quella commerciale, tecnologica e militare.
CRISI LATENTI
Tornando all’Unione europea, è sempre necessario ricordare che risolvere il paradosso di sostenere il Kosovo con cinque membri che non ne riconoscono l’indipendenza (Spagna, Grecia, Romania, Cipro e Slovacchia). Dalla dichiarazione d’indipendenza le tensioni tra Belgrado e Pristina sono sempre state notevoli, a causa dei tentativi kosovari di imporre la propria sovranità e della retorica aggressiva di Belgrado. Nonostante chela possibilità di un nuovo conflitto fosse sempre stata minima, le tensioni tra Serbia e Kosovo rischiano di rimanere una costante, a meno di uno sforzo di Usa, Ue e degli stessi due paesi per un processo distensivo. A dimostrazione che nei Balcani non esistono solo le crisi in Bosnia Erzegovina e Kosovo, gli scontri sono scoppiati a metà dicembre durante una protesta dell’opposizione in Montenegro, riflettono, ancora una volta, una profonda crisi politica tra le fazioni filoccidentali, filoserbe e filorusse nel piccolo paese balcanico ,che è membro della NATO.
IL CASO MACEDONIA DEL NORD
Sempre a inizio dicembre il presidente della Repubblica della Macedonia del Nord, Stevo Pendarovski, ha reso noto che il sostegno popolare all’adesione all’Unione Europea nel suo paese è diminuito del 25% negli ultimi diciotto mesi. Egli ha ritenuto che spettasse alla leadership politica dell’Ue dimostrare alla popolazione dei Balcani che l’adesione all’Unione era la migliore prospettiva per la prosperità del paese. I negoziati per l’adesione della Macedonia del Nord all’Ue sono iniziati a metà luglio a Bruxelles e, ricordiamolo, Skopje è stata candidata per l’adesione al blocco dal 2005 insieme agli altri sette paesi: Albania, Moldavia, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina. La Bulgaria ha bloccato l’apertura dei negoziati fino a poco tempo fa, a causa di una disputa con la Macedonia del Nord su un lungo elenco di questioni storiche e linguistiche. La Bulgaria considera la lingua macedone come un dialetto bulgaro, mentre i due paesi contestano eventi e personaggi storici, ereditati principalmente dal passato ottomano.
AL CENTRO DELL’ATTENZIONE
La Macedonia del Nord si è impegnata a modificare la sua costituzione per includere i bulgari tra i gruppi etnici riconosciuti e ad attuare il trattato di amicizia del 2017 volto a sradicare l’incitamento all’odio. Come conseguenza, a giugno scorso il parlamento bulgaro ha accettato di revocare il veto in cambio della garanzia che la Macedonia del Nord avrebbe soddisfatto determinate richieste sui punti controversi. Da sottolineare che nel 2020, la Macedonia del Nord è entrata a far parte della NATO dopo essersi vista “costretta” a cambiare il suo nome ufficiale per convincere la Grecia a ritirare il suo veto all’ingresso nell’Ue e nell’Alleanza Atlantica. In conclusione, la NATO e l’Ue si prefiggono di lavorare, nel 2023, di concerto per rafforzare un dialogo politico già in corso con la Serbia, che mantiene la sua neutralità nel bel mezzo del conflitto ucraino, la Bosnia-Erzegovina e il Kosovo, dove i cittadini di etnia serba sono accusati di essere ostacolo a qualsiasi passo verso una più stretta cooperazione con l’Alleanza e la definitiva pacificazione o accordo. Va rimarcato nuovamente che qualunque sia l’accordo con cui si concluderà, si spera, la guerra nell’anno in corso, i Balcani dovranno rimanere al centro dell’ attenzione internazionale.