MISTERI ITALIANI, caso Emanuela Orlandi. In Vaticano riaperta l’inchiesta: decisive in tal senso le pressioni esercitate dalla famiglia

Il Promotore di Giustizia d’oltre Tevere, Alessandro Diddi, ha avviato nuove indagini in relazione alla scomparsa della giovane cittadina vaticana, avvenuta a Roma nel giugno del 1983. Il fascicolo è stato aperto «anche sulla base delle richieste fatte dalla famiglia in varie sedi», hanno reso noto all'Ansa fonti interne alle Mura leonine che hanno così confermato la notizia

«È una cosa molto positiva», ha commentato la possibile svolta Pietro Orlandi, fratello della ragazza misteriosamente scomparsa ormai quasi quarant’anni fa. Egli ha voluto altresì ricordare come «da tantissimi anni» la sua famiglia chieda la collaborazione del Vaticano, augurandosi inoltre di venire convocato e di poter verbalizzare ciò che ha da dire sulla vicenda.

LA COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SPAVENTA IL VATICANO?

«Da un anno attendevamo di essere ascoltati», ha dal canto suo rimarcato l’avvocato della famiglia Orlandi, la dottoressa Laura Sgrò, secondo la quale si tratterebbe di una decisione assunta anche sotto la pressione esercitata dai timori forse nutriti all’interno delle Mura leonine riguardo ai possibili effetti derivanti dai lavori di approfondimenti sul caso a opera di una commissione parlamentare della Repubblica italiana, la cui proposta – a firma degli onorevoli Ascari (Movimento 5 stelle) e Morassut (Partito Democratico) è stata recentemente depositata alla Camera dei Deputati. Lo scorso anno la legale degli Orlandi aveva reso noto di aver scritto al Pontefice e di aver ricevuto in risposta l’indicazione di chiedere un confronto con il Promotore di Giustizia, cosa che poi aveva fatto immediatamente, ma – a detta di Pietro Orlandi, che dalla dalla dottoressa Sgrò è patrocinato -, il prosecutore di Giustizia Alessandro Diddi si sarebbe poi rifiutato di ascoltarla.

DA QUALI ELEMENTI RIPARTIRE

«Stiamo lavorando alla costituzione di una commissione di inchiesta che potrà affiancare il lavoro degli inquirenti, nelle prossime settimane accelereremo in tal senso», ha dichiarato in merito il parlamentare del Pd Roberto Morassut, mentre commenti favorevoli alla decisione vaticana sono pervenuti anche dalla Lega e dai pentastellati. Si ritiene che il punto di partenza dell’azione investigativa della magistratura di oltre Tevere sarà l’analisi degli atti e dei documenti relativi alle precedenti indagini. Al riguardo va ricordato come il procedimento avviato dalla Procura della Repubblica di Roma relativo alle sparizioni della Orlandi e di Mirella Gregori, quest’ultimo fatto verificatosi il giorno 7 maggio, sempre di quel 1983, venne archiviato nell’ottobre del 2015 su richiesta dell’allora Procuratore capo Giuseppe Pignatone, magistrato che attualmente presiede il Tribunale vaticano.

INCHIESTE GIUDIZIARIE PREMATURAMENTE CONCLUSE

Quello della repentina chiusura dell’inchiesta sul caso Orlandi è una questione estremamente controversa, poiché in passato il Procuratore della Repubblica della Capitale, Giancarlo Capaldo, dichiarò pubblicamente di aver conferito nel 2012 con «due emissari» di Papa Benedetto XVI, allora assiso al soglio pontificio, «alti prelati» che avrebbero gli manifestato la volontà collaborativa del Vaticano nelle attività di ritrovamento del corpo di Emanuela, questo, però, in cambio dell’aiuto che avrebbe dovuto fornire la magistratura italiana a liberare la Chiesa dall’imbarazzante situazione venutasi a creare dopo la scoperta della tomba di Renatino De Pedis, defunto boss della banda della Magliana, all’interno della basilica di Sant’Apollinare.

SCOMODE VERITÀ

In una successiva intervista concessa al giornalista Andrea Purgatori e trasmessa dall’emittente televisiva La7, lo stesso Capaldo avrebbe confermato le sue precedenti dichiarazioni, aggiungendo che quei due prelati erano ancora vivi. Allo specifico riguardo, il 20 dicembre 2022, in occasione della conferenza stampa alla Sala stampa della Camera dei Deputati nel corso della quale venne annunciata la richiesta di costituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso, Pietro Orlandi pronunziò parole molto dure sulla vicenda sia nei confronti del Vaticano che dell’ormai ex Procuratore Capo della Repubblica Giuseppe Pignatone, che proprio con riferimento alle dichiarazioni di Capaldo prese immediatamente le distanze dissociandosene pubblicamente.

DUE MISTERIOSI PRELATI

Ribadendo come sulla scomparsa della sorella non fosse mai stata fatta chiarezza, né oltre Tevere e né a Piazzale Clodio, egli denunciò come, attraverso le dichiarazioni rese dal Procuratore Capaldo, per la prima un magistrato che si occupava del caso aveva «puntato il dito contro il Vaticano». Ed ecco quindi ciò che il fratello di Emanuela potrebbe finalmente rivelare: i nomi delle personalità e dei porporati che asserisce siano coinvolti nel caso, dei quali afferma di conoscere le identità, ma che il Vaticano farebbe di tutto per evitare che vengano resi pubblici. Non solo: Orlandi solleva dei dubbi persino sull’operato di Pignatone, che a suo avviso avrebbe condotto l’inchiesta all’archiviazione, in quello che fino a qualche anno prima veniva sarcasticamente definito come il «porto delle nebbie», cioè il complesso degli Uffici giudiziari romani.

IL «PORTO DELLE NEBBIE»

«Monsignore, stia tranquillo, adesso è arrivato il Procuratore nostro e ci pensa lui: ha già avvisato i miei avvocati che tanto lui archivia tutto. Ha visto poi, no!?! Ha fatto fuori Capaldo e il capo della Squadra mobile (il dottor Vittorio Rizzi, n.d.r.) e ci ha messo i suoi…». Nella sua foga contro Pignatone, quella mattina alla sala stampa della Camera il fratello di Emanuela citò a braccio il contenuto di una intercettazione telefonica di una conversazione intercorsa tra monsignor Piero Vergari e Carla Di Giovanni, moglie di De Pedis, adombrando l’ipotesi che il Procuratore Capo della Repubblica di Roma, che dopo il pensionamento sarebbe stato nominato da Bergoglio presidente del Tribunale vaticano, possa essere stato tra gli artefici dell’archiviazione del caso Orlandi.

ARCHIVIAZIONI: UN PRECEDENTE

Per la verità non si tratta della prima inchiesta sulla misteriosa scomparsa di Emanuela Orlandi a finire in questo modo, dato che anche un altro noto magistrato la dottoressa Margherita Gerunda, nel 1983 titolare delle indagini, venne sollevata dall’inchiesta. Avvenne a seguito del controverso Angelus di domenica 3 luglio 1983, quindi pochi giorni dopo la scomparsa di Emanuela Orlandi, quando a Piazza san Pietro Papa Giovanni Paolo II fece esplicito riferimento al «sequestro» di due ragazze (la Orlandi e Mirella Gregori), modificando completamente il quadro apparente, distogliendo le attenzioni dalla pista calda fino a quel momento seguita dalla Procura di Roma, quella di Via Monte del Gallo, dirottandola  invece su quelle del complotto internazionale.

LA PISTA DI VIA MONTE DEL GALLO

Riferì in seguito il giornalista Pino Nicotri che una sua fonte interna al Vaticano nel 2005 gli riferì che due agenti del Sisde (il servizio segreto civile di allora, n.d.r.) gli avevano confidato che la Orlandi era morta la sera stessa della sua scomparsa nel corso di un «incontro conviviale» avuto appunto in Via Monte del Gallo. Una teoria che Nicotri non sposò, ma che tuttavia lo indussero a effettuare dei riscontri in quel luogo situato nei pressi della stazione ferroviaria San Pietro. Afferma il giornalista che «nella prima telefonata fatta dall’americano alla famiglia Orlandi (un telefonista ignoto che prese contato con la famiglia della ragazza scomparsa) in sottofondo si poteva udire il fischio di un treno, dunque il dubbio è che telefonasse da quella zona e che la Orlandi potesse essere finita in quel luogo contro la sua volontà, ma ingannata da una persona da lei conosciuta».

UNA PERSONA CONOSCIUTA

La pista in questione, battuta in particolare dalla dottoressa Gerunda, era dunque inizialmente orientata verso una persona conosciuta dalla ragazza scomparsa, che – venne ipotizzato – sarebbe ingenuamente salita a bordo dell’automobile di questi, che l’avrebbe prelevata in Corso Rinascimento all’uscita dalla scuola di musica e poi «l’avrebbe fatta finire come è finita». Dopodiché, quando all’Angelus Giovanni Paolo II lanciò la pista del rapimento, la Gerunda venne sollevata dal caso e le indagini vennero indirizzate sullo scenario politico. Tutto questo ha fatto calare una coltre grigia sulla vicenda. Le indagini vennero inizialmente condotte dalla Squadra omicidi della Questura di Roma, dunque non altre particolari branche investigative competenti in materia di intrighi internazionali o spionistici.

UNO SCENARIO SUGGESTIVO: L’INTRIGO INTERNAZIONALE

Ci si innamorò invece della suggestiva pista politica dopo che il Papa polacco lanciò l’accorato appello dal balcone di Piazza San Pietro senza, per altro, porre preventivamente al corrente la famiglia Orlandi. Non ci si interrogò invece a sufficienza sul perché Emanuela potesse essere salita su quella macchina in Corso Rinascimento e su quante e quali  potessero essere le persone ella si fidava al punto da seguirle in automobile. Non erano certamente numerose, visto che i genitori e tutti i suoi famigliari hanno sempre affermato che la ragazza scomparsa non accettava passaggi in auto, neppure dal suo professore di pianoforte, don Civitillo. Al riguardo è interessante ritornare ancora sulle considerazioni a suo tempo svolte dal giornalista Nicotri.

CHI FECE SALIRE IN MACCHINA EMANUELA?

Secondo il cronista «questo non risponderebbe a verità», seppure a lui lo avesse riferito anche il padre di Emanuela, Ercole Orlandi. «Don Civitillo accompagnò spesso Emanuela in Vaticano – proseguiva Nicotri -, ne ho assoluta certezza. Quindi le indagini sono andate in malora perché ci si è innamorati dell’adescamento “Avon”, una enorme bufala, della pista relativa al rapimento politico, che era egualmente inconsistente poiché i supposti rapitori non hanno mai esibito una prova , immagine o altro, dell’ostaggio nelle loro mani». La conclusione del giornalista è che invece di porsi il problema elementare di chi potesse averla fatta salire in macchina, si è invece battuta subito la pista maggiormente suggestiva.

PISTE MAI BATTUTE FINO IN FONDO

Sempre il Nicotri avrebbe avuto conferma dalla dottoressa Gerunda delle confidenze fattegli da una sua fonte, Giulio Gangi (a quel tempo agente del Sisde, morto anni dopo all’età di 63 anni forse per un ictus), relative al pedinamento dello zio di Emanuela Orlandi, Mario Meneguzzi, che nei giorni successivi alla scomparsa della nipote ebbe l’impressione, poi rivelatasi fondata, di essere seguito. «Gangi mi disse che il Meneguzzi ebbe l’impressione di venire pedinato, glielo aveva riferito nel corso di una telefonata. Fattosi dare dallo zio della Orlandi il numero di targa dell’autovettura sospetta, Gangi appurò che si trattava di una immatricolazione coperta, dunque quella macchina apparteneva alla polizia. Evidentemente – concluse Nicotri – i magistrati, come sempre si fa in qusti casi, stavano tenendo d’occhio qualcuno del giro familiare della ragazza scomparsa. Ovviamente questo non voleva dire che Meneguzzi avesse avuto responsabilità in ordine alla vicenda, ma che quella pista, però, si sarebbe dovuta battere ancora».

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