CULTURA, esposizioni. Bisanzio a Napoli fino al 13 febbraio 2023

Bizantini: luoghi, simboli e comunità di un impero millenario sono in mostra presso il Museo archeologico nazionale del capoluogo campano (MANN). A quarant’anni dall’ultimo evento del genere che ha avuto luogo in Italia, viene proposto un viaggio nel mondo, nella cultura e nell’immaginario dell’Impero romano d’Oriente che sopravvisse alla caduta della parte occidentale. Oltre quattrocento opere visibili grazie ai prestiti effettuati da cinquantasette tra musei e istituzioni italiane e greche

Robert Byron, scrittore inglese che nei primi decenni del Novecento narrò i suoi viaggi, attribuiva la grandezza di Bisanzio alla sua «triplice fusione», cioè un corpo romano, una mente greca e un’anima orientale mistica. Una fusione che l’arte, la cultura e le testimonianze materiali della società interpretarono e seppero diffondere attraverso i secoli, come emerge dalla ricchissima mostra Bizantini: luoghi, simboli e comunità di un impero millenario, allestita al Museo archeologico nazionale di Napoli, che sarà visitabile dal pubblico fino al 13 febbraio del 2023.

LA STORIA BIZANTINA IN QUINDICI SEZIONI ESPOSITIVE

Curata da Federico Marazzi, dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, con la direzione scientifica di Paolo Giulierini, la mostra si articola in quindici sezioni che illustrano le fasi storiche successive all’impero Romano d’Occidente, ponendo un focus su Napoli, che fu città bizantina per sei secoli a seguito della sua conquista da parte di Belisario e delle sue armate nel 536 d.C.; ovviamente, particolari attenzioni vengono rivolte alla Grecia a all’Italia meridionale. Il progetto scientifico dell’esposizione è stato elaborato da un gruppo di studiosi italiani della civiltà bizantina, coordinato dallo stesso Marazzi e formato da Lucia Arcifa, Ermanno Arslan, Isabella Baldini, Salvatore Cosentino, Edoardo Crisci, Alessandra Guiglia, Marilena Maniaci, Rossana Martorelli, Andrea Paribeni ed Enrico Zanini. La mostra, coordinata da Laura Forte (responsabile dell’Ufficio mostre del MANN) e organizzata da Villaggio Globale International, è realizzata con il sostegno della Regione Campania (POC Campania 2014-2020) e in collaborazione con l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa. Il progetto di allestimento è di Andrea Mandara, quello grafico di Francesca Pavese.

REPERTI DA ITALIA E GRECIA

Diversi i temi affrontati: la struttura del potere e dello Stato, l’insediamento urbano e rurale, gli scambi culturali, la religiosità, le arti e le espressioni della cultura scritta, letteraria e amministrativa; oltre quattrocento le opere esposte, dalle collezioni del MANN e da cinquantasette tra i principali musei e istituzioni che custodiscono in Italia e in Grecia materiali bizantini: trentatré musei italiani e ventidue greci, isole incluse, oltre ai Musei Vaticani e alla Fabbrica di San Pietro. Grazie alla prestigiosa collaborazione con il ministero ellenico della cultura, numerosi materiali in esposizioni sono visibili al pubblico per la prima volta;  diversi di essi sono stati infatti rinvenuti nel corso degli scavi per la realizzazione della ferrovia metropolitana di Salonicco. Altri reperti, concessi in prestito dalla Soprintendenza archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Napoli, sono venuti alla luce aa seguito degli scavi della linea 1 della metropolitana partenopea.

UNA CAMPANIA ARCHEOLOGICA DOPO LA CADUTA DI ROMA

«Esiste una Campania archeologica dopo la caduta di Roma – ha commentato il direttore del Museo, Paolo Giulierini – e raccontare in una grande mostra i mille anni di questo impero è per il MANN una nuova tappa del percorso partito dai Longobardi verso una più completa identità del nostro stesso museo. Napoli bizantina è un tema cruciale e per molti sarà una sorpresa alla scoperta di un intreccio di destini tra la città e l’impero, dopo la sottomissione a Roma, durato per sei secoli, il tratto più lungo della sua storia. E anche quando il dominio bizantino di Napoli evaporò, questo legame con l’ Impero non fu mai rinnegato e si trasformò in volano per tenere vivi i contatti con il Mediterraneo, la tensione verso altri mondi. Il MANN è quindi il luogo ideale in Italia per raccontare questa storia».

UNA COMPLESSA REALTÀ FRUTTO DI INCROCI DI CULTURE

Sculture, mosaici, affreschi, vasellami, sigilli e monete, straordinari manufatti in ceramica, ma anche smalti, oggetti d’argento, preziose gemme e oreficerie, pregevoli elementi architettonici danno conto della strutture, dei sistemi organizzativi, dei commerci e dei rituali di questa complessa realtà politica, testimoniando nel contempo le eccellenze delle manifatture bizantine, gli incroci di cultura, gli stilemi e i simboli dell’Impero d’Oriente attraverso i secoli. È la creatività artistica del mondo antico che transita verso il Medioevo, con un linguaggio rinnovato dalla fede cristiana e con gli innesti del mondo orientale, in particolare della cultura iranica e araba. L’esposizione, infine, prevede un ricco apparato editoriale: il catalogo in uscita a gennaio 2023 che approfondisce e amplia i temi della mostra grazie ai contributi di numerosi studiosi italiani e greci, guida breve, itinerari bizantini in Campania e una guida kids, tutto edito da Electa.

LA PRESENTAZIONE DELL’EVENTO

Alla conferenza stampa di presentazione della mostra sono intervenuti, oltre a Paolo Giulierini (direttore del MANN) e Maurizio Cecconi (consulente strategico di Villaggio Globale International) anche il curatore dell’esposizione Federico Marazzi, Laura Forte (responsabile Ufficio mostre al MANN) e  Anastasia Lazaridou Direttrice generale mostre e musei/ Ministero Ellenico della Cultura e dello Sport che ha dichiarato di sperare «fortemente che questa mostra rappresenti solo un inizio e che possa costituire una spinta per promuovere congiuntamente la diffusione di questa importante parte delle storia mondiale, aggiungendo un ulteriore legame all’eccellente collaborazione tra i musei italiani e greci». L’incontro, moderato da Antonella Carlo responsabile dell’Ufficio comunicazione MANN, è stato concluso dall’intervento di Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania. Dopo circa quarant’anni dall’ultima esposizione che ha avuto luogo in Italia, una mostra affronta dunque il mondo – affascinante quanto complesso – dell’Impero Bizantino: quell’Impero Romano d’Oriente (Romèi erano chiamati e si autodefinivano i suoi abitanti) sopravvissuto per quasi dieci secoli alla caduta della pars Occidentis, allorquando il barbaro Odoacre nel 476 riuscì a deporre l’ultimo imperatore d’Occidente Romolo Augustolo.

CENTRO E CUORE POLITICO SUL BOSFORO

Fu allora che Costantinopoli, la città sul Bosforo, l’antica Byzantion rifondata nel 330 dall’imperatore Costantino come “Nuova Roma”, divenne il centro e il cuore politico, istituzionale e culturale dell’Impero romano, che di fatto proseguì la sua esistenza fino al 1453 – con la caduta della capitale in mano ai Turchi di Maometto II – assumendo tuttavia nel tempo connotati sempre più lontani e diversi: dalla lingua greca per gli atti ufficiali e l’ambito culturale, fino all’assunzione del Cristianesimo come unica religione fondante l’identità dell’Impero. È questo mutamento di pelle a indurre gli eruditi, dal 1600 in poi, a cercare un nuovo nome, appunto Impero Bizantino, per indicare la realtà politica che per secoli connetté Oriente e Occidente, contribuendo alla formazione dell’Europa medievale e all’Umanesimo, lasciando un’eredità culturale profonda tanto nel successivo impero islamico quanto nei suoi ex territori, comprese alcune città e regioni d’Italia ove più profondo e duraturo fu il legame con l’Impero. Una volta superati i pregiudizi d’inizio Settecento che associavano al bizantinismo le negatività di una burocrazia invalidante, del vuoto formalismo, della mera apparenza; superata l’idea errata di una società statica e immutabile contrapposta alla tradizione illuministica occidentale, il mito di Bisanzio è cresciuto in questi ultimi decenni, così come l’interesse per la sua storia e una cultura raffinata, coltivata in seno a un Impero incredibilmente multietnico eppure per secoli indissolubile nel suo concetto universalistico, pur nei mutati assetti geografici, e nei suoi pilastri identitari: l’imperatore e la corte, la burocrazia, la Chiesa.

IL PERCORSO MUSEALE

Sul grande capitello del VII secolo in marmo preconnesio, proveniente da Costantinopoli e conservato al Museo archeologico Paolo Orsi di Siracusa ed esposto nell’atrio del MANN, campeggiano la croce e il chrismón, ossia il monogramma composto dalle lettere greche X (chi) e P (rho) del nome di Cristo, dunque l’arte e la bellezza sono il principale veicolo che celebra il suo trionfo. Accanto a questo, alcuni altri oggetti simbolici dell’immaginario e della cultura bizantina introducono al percorso espositivo che si svilupperà nel Salone della Meridiana, abbracciando la storia dei bizantini dal 330 al 1204, anno della quarta crociata, inopinatamente culminata nella conquista latina di Costantinopoli e momento cruciale nel processo di dissoluzione dell’Impero bizantino. Ecco dunque l’enorme mosaico pavimentale del MANN, di oltre quattro metri e mezzo, proveniente dal sito archeologico dell’antica colonia di Minturnae, ricco di motivi geometrici, figure zoomorfe e vegetali; la lastra con due animali affrontati – un pegaso con testa e zoccoli equini e un grifo con testa di uccello e unghie di leone – del Museo archeologico di Cagliari, figura tipica dell’arte orientale accolta anche in chiese e palazzi dell’Occidente; il frammento di mosaico pavimentale dalla Basilica di San Severo a Classe dal Museo Nazionale di Ravenna, con bordi multicolori e vivaci caratterizzazioni cromatiche. Al piano superiore la statua di un giovane aristocratico romano che debutta nell’agone politico inaugurando le corse dei carri (dal Museo della Centrale di Montemartini) e il maturo e pensieroso filosofo greco nel busto del Museo archeologico di Salonicco rappresentano bene, in apertura, un mondo in profonda trasformazione pur sotto una grande continuità.

NUOVO SENTIMENTO CRISTIANO DELL’ARISTOCRAZIA

Presto le classi aristocratiche avranno rinnovati interessi legati soprattutto al nuovo sentimento cristiano. L’imperatore non sarà più considerato un dio in terra ma il rappresentante in terra dell’unico Dio e Costantinopoli diverrà la porta di accesso a un nuovo mondo. La mostra ricorda in un focus specifico (attraverso epigrafi ed iscrizioni greco cristiane, elementi architettonici con schemi compositivi e simboli della scultura bizantina, anfore che testimoniano floridi e costanti contatti con l’Oriente) il duraturo intreccio dei destini di Napoli e di Bisanzio. Un legame proseguito dal 536, anno in cui la città fu conquistata dalle armate dell’Impero Romano d’Oriente, sino al 1137 quando, dopo la morte dell’ultimo duca Sergio VII, la città si consegnò al re di Sicilia, il normanno Ruggero II. Un lasso temporale in cui Napoli e il suo territorio vissero un duraturo periodo di autogoverno e indiscussa autonomia da dominazioni straniere: dagli anni Trenta del IX secolo infatti, il controllo imperiale diretto si era indebolito e la città, pur continuando a essere formalmente dipendente da Bisanzio, aveva istituito un proprio governo autonomo, dando luogo al Ducato di Napoli, sostenuto dall’aristocrazia locale.

NEL SALONE DELLA MERIDIANA

Lungo il percorso l’esposizione racconta le caratteristiche e gli elementi fondanti della società bizantina attraverso i tantissimi prestiti ottenuti, alcuni video che propongono anche una ricostruzione di Bisanzio nel momento del suo massimo splendore, una grafica di effetto che oltre a mappe e linee del tempo, attraverso gigantografie rievoca siti ortodossi, interni di chiese e monasteri, i magnifici mosaici delle chiese ravennati e alcune opere iconiche inamovibili. L’Impero d’Oriente, aveva raccolto l’eredità storica dell’Impero Romano, in esso si amalgamarono alcuni aspetti tipici delle monarchie assolute orientali quale la sacralità dell’imperatore, i solidi princìpi organizzativi della struttura statale romana e la visione trascendente del Cristianesimo. Così è possibile immergersi nelle strutture del potere, entriamo nei gangli del sistema amministrativo e di gestione territoriale, riviviamo la spiritualità profonda dell’Impero bizantino che durante la lunga esistenza sentì di essere il legittimo erede di Roma e di doverne preservare la civiltà, godendo della protezione di Dio.

IMPERATORE SACRO E INVIOLABILE

L’Imperatore era sacro e inviolabile come tutto ciò che lo riguardava e la sontuosità che lo circondava, il rigido cerimoniale della corte e della Chiesa stessa, servivano a preservare l’unità e la permanenza dell’Impero. Ecco dunque sculture e monete, soprattutto quelle provenienti dai musei di Atene e Salonicco e nelle collezioni del MANN, offrire una galleria dei ritratti di imperatori: Teodosio, Giustiano, Basilio II, Giovanni II Comneno e altri ancora; mentre croci greche d’oro e d’argento, bolle, collane, encolpi, croci pettorali e pendenti (tra i quali alcuni oggetti del Museo Nazionale Romano di particolare interesse, mai esposti prima) e i sigilli di autorità della Chiesa d’Oriente (da Fozio patriarca di Costantinopoli a Niceta arcivescovo di Salonicco) danno conto della forza della Chiesa. A supporto del sistema, anche il ceto dei burocrati dell’amministrazione imperiale con un sistema fiscale pubblico sempre funzionante e l’esercito, potentissimo grazie all’arma segreta del “fuoco greco”, testimoniata in mostra da granate in ceramica contenenti i proiettili rinvenuti nel Castello di Santa Maria del Mare, presso Squillace.

I DONI DI GALLA PLACIDIA

Tra i tanti manufatti esposti: splendido il grande disco onorario (dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze) concesso dall’imperatrice Galla Placidia al potente generale Flavius Ardabur Aspar per i suoi meriti militari, rinvenuto nel XVIII secolo nel torrente Cestione, quasi due chili d’argento lavorati a bulino, e donato al Granduca di Toscana; ma anche il famoso elmo ostrogoto del Museo Abruzzo bizantino, il piatto d’argento con emblema figurato da Isola Rizza del Museo di Castelvecchio di Verona, il pannello affrescato con un santo militare in prestito dal Museo della Cultura bizantina di Salonicco o la figura di soldato raffigurata nella porzione di lastra in marmo proveniente dal monastero delle Blacherne di Arta, nell’Epiro, parte della Collezione archeologica di Paregoretissa. Di gran pregio la gemma in onice con guerriero che caccia un cinghiale del IV secolo e il cammeo in diaspro rosso con San Demetrio della collezione Farnese (X secolo), entrambi appartenenti al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

GIOIELLI DAL MEDITERRANEO

Negli oggetti del quotidiano che evocano la casa e la persona (accanto a ceramiche invetriate, lucerne, oggetti d’uso comune) anche i busti in marmo di due coniugi rinvenuti insieme (inizio del V secolo), dal Museo archeologico di Salonicco, raffinate steli, corone nuziali in bronzo dal Museo Cristiano e Bizantino di Atene e, soprattutto, i preziosi gioielli simbolo della raffinatezza e della maestria orafa bizantina. Diciassette gioielli aurei con gemme e pietre preziose formano, intrecciati, un magnifico accessorio d’abbigliamento del IV secolo concesso dall’Eforato delle Antichità di Salonicco, mentre (tra anelli, orecchini con perle e granate, bracciali, collane in perle di vetro e ametista, croci e fibule filigranate in oro) spiccano un preziosissimo alto bracciale in oro e smalto del IX-X secolo da Salonicco, alcune gemme a soggetto cristiano prodotte a Venezia nel XIII secolo, inedite e custodite al MANN (raffiguranti soggetti canonici quali San Demetrio e i Sette dormienti di Efeso), e i famosi “Ori di Senise” (seconda metà VII secolo), parte dei quali ricondotti dalla maggior parte della critica a maestranze costantinopolitane, testimoni del fecondo e continuo scambio con il bacino orientale del Mediterraneo.

RICCO CORPUS ESPOSITIVO

La straordinarietà e la ricchezza del corpus espositivo connotano tutte le diverse sezioni della mostra e chiari emergono gli intrecci, gli scambi, le connessioni tra mondo occidentale e orientale determinati dall’Impero bizantino. A testimoniare lo spazio del sacro, sono nel Salone della Meridiana anche un pannello dipinto di due metri, con San Giorgio e San Nicola, e una bellissima icona di San Anastasia da Naxos; dalla Fabbrica di San Pietro, provenienti dall’oratorio dedicato al papa greco Giovanni VII, un mosaico con il suo ritratto (705-707) e uno con la Lavanda del Bambino. Basi d’altare, calchi in gesso di transetti ravennati, straordinari capitelli, lastre di pulpito parti di sarcofagi e di iconostasi, ampolle ed epigrafi giungono dalla Grecia, da Ravenna, Cagliari, Siracusa, Agrigento, Torcello, Gaeta, Cortona; dai Musei Vaticani anche una lastra in marmo bianco in cui compaiono croci in rilievo e graffite e incisioni in armeno e in latino.

IL RELITTO DI MARZEMEMI

Quanto mai interessante la presenza di un nucleo di elementi architettonici appartenenti al cosiddetto relitto di Marzememi, una nave rinvenuta lungo la costa sud orientale della Sicilia, riferibile all’età di Giustiniano (527-565) e probabilmente proveniente da Costantinopoli con un carico destinato alla realizzazione di una chiesa nei territori bizantini d’Italia. Mentre, tra gli avori per gli arredi liturgici: le placchette dal Museo Medievale di Bologna (una con la Vestizione di Aronne e dei suoi figli, l’altra con busti di santi) e la formella del XII secolo in arrivo dal Museo Nazionale di Ravenna, con la Dormizione della Vergine, nell’iconografia consolidatasi dopo il periodo iconoclasta. Tra le varie sezioni della mostra non si può non segnalare infine quella relativa alla scrittura e alla produzione libraria e documentaria. Il permanere in Oriente della macchina burocratico amministrativa romana, e dunque di un’estesa alfabetizzazione, consentirà da un lato la conservazione delle opere della letteratura greca antica e di molte della tradizione scientifica e filosofica giunte a noi proprio grazie a Bisanzio.

MACCHINA BUROCRATICO-AMMNISTRATIVA D’ORIENTE

Dall’altro la conoscenza di testi e autori antichi non conservati ma citati e menzionati da eruditi bizantini e, non ultimo, nuove e numerose committenze non solo negli ambienti ecclesiastici e monastici. Eccezionali, tra le pregevoli opere esposte, i prestiti dalla Biblioteca Laurenziana di Firenze, da cui giungono un preziosissimo Teatravangelo greco della fine XI-inizi XII secolo, forse già nella biblioteca di Lorenzo il Magnifico, esemplare unico per lo splendido apparato decorativo tra cui 294 miniature in campo aperto, e una straordinaria miscellanea di testi medici e fisiatrici prodotta a Bisanzio nel X secolo con un’elaborata iconografia, appartenuta alla collezione medicea e per un certo periodo trasferita anche a Roma per volere di Papa Clemente VII. Dalla Grecia invece: un incredibile Lezionario miniato della metà del XI secolo prestato dall’Eforato di Antichità delle Cicladi e conservato ad Amorgos e un Rotolo con la divina liturgia di San Giovanni Crisostomo, (XII/ XIII sec) dal Museo Cristiano e Bizantino di Atene.

DAL PASSATO UNO SGUARDO AL PRESENTE

La mostra di Napoli getta una sguardo su un mondo che è lo specchio di tutto quanto l’Occidente aveva perduto con il crollo dell’Impero Romano e che avrebbe lentamente e faticosamente riconquistato nei secoli successivi al Mille (tecniche artistiche e produttive, modi di intendere l’estetica degli oggetti, scritti e saperi) ma anche sulle strutture di un Impero universale autocrate capace di tenere unita una società assolutamente multietnica e composita, di cui sono sentiti o sono stati eredi in un modo o nell’altro sia l’Impero zarista che l’Islam sultaniale. A partire dalla presa di Costantinopoli anche il sultano ottomano userà il titolo di imperatore di Roma e nel suo impero la cultura romano-bizantina sarà perpetuata di fatto. Le contrapposizioni successive e molte delle tensioni e dei conflitti che tutt’oggi interessano quell’area geostorica che Fernand Braudel ha chiamato «Mediterraneo Maggiore» hanno di fatto trovato occasioni e linfa nel vuoto determinato dalla caduta di Bisanzio e sulle ceneri dell’Impero.

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