La Turchia di Erdoğan e l’Iran degli ayatollah, entrambi sistemi politici autoritari che per diverse ragioni in questa fase si trovano in gravi difficoltà sul piano interno, stringono nella loro morsa militare le formazioni e il popolo curdo in Siria e Iraq.
POTENZE REGIONALI IN DIFFICOLTÀ
A pochi mesi dalle prossime elezioni presidenziali e politiche in calendario per il giugno del 2023, Recep Tayyip Erdoğan è alla guida di un paese che si trova ad affrontare una grave crisi di natura economica e sociale. L’Iran è invece sconvolto dalle proteste di piazza esplose a seguito del barbaro assassinio della ventiduenne Mahsa Amini per mano della polizia morale, rea esclusivamente di avere indossato sul proprio capo il chador in una maniera ritenuta non consona al dettato della legge islamica, quindi brutalmente picchiata a morte. Manifestazioni in massima parte civili in una società di per sé moderna malgrado il pregnante controllo della teocrazia. Tuttavia, assieme alle maggiori città, la capitale Teheran in primo luogo, la gente ha iniziato a protestare anche nel resto del Paese, incluse quelle aree etnicamente diverse da quelle persiane, cioè Belucistan, Khuzestan e, appunto, Kurdistan.
UNA MORSA CHE STRANGOLA IL KURDISTAN
Il Kurdistan, quella vasta regione dove dittature e stati autoritari hanno represso nel sangue il desiderio di autonomia e autodeterminazione del suo popolo e che oggi è nuovamente stretto nella morsa militare di Ankara e Teheran. Lo è nelle sue aree immediatamente a ridosso della frontiera con la Turchia e, più a oriente nel Kurdistan iracheno adiacente l’Iran e nelle stesse province curde della Repubblica Islamica, dove hanno ripreso a colpire le unità del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione islamica (IRGC), inviate in forze a reprimere con le armi, così come sta accadendo nel resto del Paese, il dissenso della popolazione nei confronti della teocrazia, una protesta alimentatasi proprio nelle città di Sanandaj e Saqez a metà settembre dopo la morte della Amini. Pasdaran e loro proxi, giunti da diversi luoghi del Medio Oriente, hanno attaccato anche alcune città a maggioranza curda dell’Iraq federale, tra le quali Altun Kupri, nella provincia di Kirkuk, allo scopo di annientare le formazioni curde del Partito democratico del Kurdistan iraniano (PDKI), del Partito della libertà del Kurdistan (KFF) e del Partito Komala, ritenuti corresponsabili delle rivolte in atto dalla metà di settembre in Iran.
DRONI, MISSILI E ARTIGLIERIE
Operazioni portate a termine nei giorni scorsi mediante l’impiego massiccio di droni e missili in località quali Koya, Zrgoez e nei campi profughi di Jezhnikan e Sulaymaniyah, oppure sparando nelle strade come in alcune città del Kurdistan iraniano. Nel caso dei bombardamenti sulla Regione autonoma del Kurdistan iracheno, che ha provocato decine di morti e feriti, si è trattato di una evidente violazione della sovranità territoriale di uno stato sovrano stigmatizzata formalmente dall’UNAMI, la missione Onu nel Paese arabo, tuttavia il comandante delle forze terrestri dell’IRGC, Mohammad Pakpour, ha dichiarato che le sue truppe proseguiranno nell’attacco «fino a quando non verrà completamente eliminata la minaccia posta dai movimenti curdo-iraniani ospitati sul territorio dell’entità autonoma e ottenuto il loro disarmo». «L’eliminazione della minaccia curda» è il medesimo obiettivo di Ankara, che per il momento si limita ad operazioni militari con missili, droni e velivoli da combattimento, ma che per bocca dello stesso presidente Erdoğan ventila la possibilità che presto l’operazione “Spada ad artiglio” possa evolversi da aerea ad aeroterrestre.
LA «SPADA AD ARTIGLIO» DI ERDOĞAN
Un vasto impiego di sistemi d’arma sofisticati che è iniziato dopo l’attentato compiuto lo scorso 13 novembre nel centro di Istanbul da terroristi e attribuito da Ankara ai gruppi armati curdo-siriani legati al Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), ma rispetto al quale questi ultimi negano ogni responsabilità. In Siria, da Tel Rifaat, a nord di Aleppo, fino all’Iraq iracheno, i turchi vorrebbero finalmente conseguire il loro obiettivo strategico, quello della costituzione di una fascia di sicurezza libera da combattenti curdi dello YPG, estesa lungo tutta la frontiera siro-turca e, in profondità, alcune decine di chilometri fino al fiume Eufrate. Il piano comprende ovviamente anche l’eliminazione delle strutture di comando e logistiche del PKK nella regione montuosa irachena del Sinjar e di Qandil, interrompendo la continuità delle comunicazioni tra le formazioni curde in Iraq, Turchia e Siria.
OPERAZIONI MILITARI TURCHE IN SIRIA E IRAQ
Ma le operazioni militari turche in Siria e Iraq, oltre ad alimentare la tensione nell’area, rischiano di coinvolgere altri importanti attori, quali le forze armate di Assad e i loro alleati e protettori russi, i peshmerga del Kurdistan iracheno, lo stesso Iraq federale e gli Usa, che sono presenti con proprie unità militari presso Erbil e nelle basi attorno alla città di Qamshili, nella provincia di Al Hasakah controllata dalle Forze democratiche siriane (FDS). Per operare in Siria i turchi sono costretti a violare lo spazio aereo di damasco che si trova sotto il controllo di Russia e Stati Uniti, con il rischio del verificarsi di incidenti che possono alimentare la tensione, senza poi contare il fatto che in alcune aree, come la provincia di Idlib, sono ancora presenti concentrazioni di combattenti islamisti ed ex membri dell’ISIS.
RISCHIO ESCALATION
A seguito di raid aereo turco contro un comando delle FDS situato non lontano dalla base russa di Tal Tamr (governatorato di Al Hasakah), a causa del quale è morto un guerrigliero curdo ed è rimasto ferito un militare di Mosca, l’inviato speciale del Cremlino per la Siria, Aleksander Lavrentiev, ha esortato Ankara «a esercitare moderazione nella regione al fine di evitare un’escalation non solo nelle regioni settentrionali e nord-orientali, ma in tutta la Siria». L’attacco a Tal Tamr replicava quello precedentemente citato, effettuato ad il giorno precedente Al Hasakah contro una base della Coalizione internazionale impegnata nel contrasto degli jihadisti di Islamic State, provincia nella quale i turchi hanno bombardato anche alcune infrastrutture energetiche e il giacimento petrolifero di Al Awdi.
L’ANALISI DI SHORS SURME
La complessa e pericolosa situazione in atto nella regione che vede protagonisti attori locali, potenze regionali, Federazione Russa e Stati Uniti d’America, è stata oggetto di commento e analisi da parte di Shors Surme, esule curdo da anni rifugiato in Italia che dirige il periodico online panoramakurdo.it. Egli, che è editorialista per conto di numerose testate giornalistiche curde dell’Iraq, ha concesso a insidertrend.it una lunga ed esauriente intervista, nel corso della quale ha avuto modo di prendere in esame l’intero spettro delle dinamiche politiche, economiche e belliche della regione. Egli si sofferma in particolare sul suo popolo, affrontando anche il tema relativo alle formazioni politico-militari che esso esprime e ai possibili scenari nel breve e medio termine (A494).