Il presidente di Confindustria Moda, Ettore Botto Poala, si è detto in ogni caso ottimista riguardo alla situazione che le imprese del settore stanno attualmente attraversando: «Io il bicchiere preferisco vederlo mezzo pieno piuttosto che mezzo vuoto», ha esordito ieri mattina nella splendida sala affrescata della sede romana di Cattaneo Zanetto & Co., in piazza San Lorenzo in Lucina, dove ha avuto luogo la presentazione dei risultati della ricerca commissionata dalla sua organizzazione al Censis, il valore del settore moda nell’economia e nella cultura.
OGNI EURO INVESTITO NE RENDE PIÙ DI TRE
Già, poiché oltre agli operatori di fashion, tessile e accessorio, a parlare in realtà sono le cifre, quelle che indicano come, per ogni euro investito in essi, se ne generano oltre tre di fatturato, senza contare poi lo stimolo alla crescita, non soltanto in termini economici, ma anche sui piani culturale e sociale. «Tuttavia – prosegue nella sua esposizione Botto Poala -, emerge altresì che il valore altamente strategico della filiera del fashion per l’intero sistema-paese necessita di investimenti pubblici in quelle determinate aree che presentano elevate potenzialità». Ma non solo. Infatti, anche l’approccio a questa dimensione andrebbe forse ponderato meglio, non tanto dal vasto universo delle persone che in esso vi rinvengono un modello di eleganza e benessere, un momento di serenità derivante dalla semplificazione del concetto stesso di moda applicato all’immagine, quanto nel corso di una riflessione più approfondita, che conduce alla comprensione di cosa ci sia dietro: una vasta attività imprenditoriale basata sulla creatività e una moderna manifattura.
LA MODA GENERA PUNTI DI PIL
Bene dunque, anzi essenziale, il rilassante momento della leggerezza e del glamour evocato dalla moda, ma tenendo ben presente che quest’ultima non va osservata esclusivamente attraverso le lenti della superficialità, come fosse soltanto un fenomeno riservato a un elitario parnaso, allo star system, poiché la moda genera punti di prodotto interno lordo, sia attraverso dal suo pregiato segmento del lusso fino ad arrivare all’outlet e alla bancarella del mercato rionale. Genera reddito e lavoro (in Italia sono 540.000 le persone occupate nella sua filiera produttiva), ma ha anche bisogno di adeguate attenzioni, e qui, la politica, in primo luogo, è stata richiamata alle proprie responsabilità.
MADE IN ITALY SINONIMO DI «ECCELLENZA» NEL MONDO
Se il Made in Italy è oggi sinonimo di eccellenza nel mondo, questo è dovuto anche alla filiera italiana del tessile, moda e accessorio, questo è il punto fermo emerso dalla ricerca, un valore strategico del quale beneficia l’intero Paese, che da un investimento pubblico mirato trarrebbe ulteriori enormi vantaggi. Ma di cosa ha davvero bisogno il settore? Cosa vuol dire fare sistema in Italia in questa particolare fase che il paese sta attraversando? Come trasmettere le competenze necessarie ai giovani affinché esse non si estinguano assieme alle imprese? Questi sono altresì gli interrogativi posti nel corso della riflessione di ieri mattina, al quale si è cercato di fornire una valida risposta.
ECONOMIA: LA MODA IN CIFRE
Il settore (60.000 imprese) nel 2021 ha registrato un fatturato complessivo pari a 93 miliardi di euro, il valore delle esportazioni ammonta quasi a 68 miliardi, dei quali 40 miliardi al di fuori del mercato europeo; è la seconda industria italiana per numero di occupati e nella graduatoria europea relativa ai TMA si pone al primo posto in termini di valore aggiunto (21 miliardi). Lo studio effettuato dal Censis pone in luce che, se nel prossimo triennio si ritagliasse un pacchetto di investimenti per il settore pari a 6 miliardi, il ritorno sarebbe enorme, poiché la produzione industriale crescerebbe di oltre 11 miliardi e il fatturato di 20.
SOCIETÀ: MODA, BENESSERE E CRESCITA SOCIALE
Ma le performance del settore non si risolvono solo nei suoi pur importanti risultati economici, dato che richiamano la materialità della relazione tra le attività produttive poste in essere dalle imprese con le comunità nelle quali operano e impattano per occupazione, redditi, qualità della vita e, in alcuni casi, anche sul buon vivere. Dallo studio emerge infatti che il 48,1% dei cittadini interpellati si è detto convinto che il settore promuova il rispetto del lavoro e degli occupati in ogni ambito di sua competenza. Non solo: la moda è interprete di una idea positiva della vita, di una qualità soggettiva, personalizzata, di pregio, tuttavia affatto elitaria, dunque accessibile ai vari livelli da chiunque. Scegliendo di indossare nei luoghi della socialità un determinato abito o accessorio si veicola una certa idea di «bello», si incide sul gusto delle persone orientandolo e, appunto, educandolo al bello.
CULTURA: CREATIVITÀ, ARTE, TECNICA E MANIFATTURA
Pensare un abito o un accessorio, realizzarlo con il tessuto o il materiale giusto, trasformare un’intuizione artistica e creativa in un prodotto da immettere poi sul mercato, attraendo così l’attenzione dei consumatori, costituiscono passaggi che, nel loro insieme, qualificano il settore come una convergenza di creatività e tecnica, di arte e industria. Esso sviluppandosi, innovando, raccontando sé, le sue idee e le sue creazioni, genera un effetto di upgrading socioculturale sui mercati e nell’immaginario collettivo. Non è dunque casuale che il 68,8% degli italiani ritenga che attraverso i suoi prodotti, abiti e accessori, il settore moda «produca» cultura al pari di arte, danza, musica e letteratura. Il 61% ritiene che attraverso il vestire bene venga promosso il gusto estetico e il senso del bello.
L’ATTENZIONE ALL’AMBIENTE: SOSTENIBILITÀ DEI PROCESSI PRODUTTIVI
Tra le dimensioni valoriali che più suscitano attenzione negli italiani, ha un posto di primo piano la sostenibilità, quale rapporto dei processi produttivi, di distribuzione e vendita con la tutela ecologica e la lotta al riscaldamento globale. In questo senso il settore in Italia è fortemente impegnato in un percorso di crescita e vanta virtuose esperienze nella gestione e nel riciclaggio degli scarti di lavorazione e dei rifiuti, con la raccolta differenziata del comparto tessile e accessorio che mette in moto una filiera produttiva ecosostenibile con tessuti naturali e tinture green. Imprese sostenibili non significa più e solo quelle che non inquinano o che lottano contro il riscaldamento globale, ma anche imprese che rispettano i diritti sociali di lavoratori e fornitori, che agiscono per il benessere delle persone e delle comunità coinvolte dalla loro attività, o che in generale interpretano nella loro azione i criteri della responsabilità sociale.
DOVE CONCENTRARE LO SFORZO PUBBLICO?
A questo punto, Confindustria Moda e Censis non si limitano a chiedere investimenti a pioggia, che a loro avviso non condurrebbero al conseguimento dei risultati auspicati, bensì individuano delle aree di intervento specifiche a elevato impatto strategico. Innanzitutto forme di sostegno fiscale, poiché si ritiene essenziale promuovere una fiscalità «amica» per investimenti, anche privati, anche rivolti a ricerca e sviluppo su design e innovazione estetica. È auspicabile un piano di contributi e incentivi mirati al sostegno delle produzioni, alla partecipazione alle fiere internazionali delle imprese del settore, a favorire processi di reshoring ed evitare fughe all’estero in futuro, alla transizione al digitale.
INVESTIMENTI «GREEN» E FORMAZIONE
Investimenti green: favorire la transizione a metodi, tecniche, strumenti che non impattino sull’ambiente; questo significa promuovere l’applicazione dei principi di circolarità tramite la creazione di reti di riciclo, e l’installazione di macchinari che favoriscano il recupero dei prodotti abbattendo le emissioni. A livello sistemico, sono da promuovere e incentivare politiche e modelli condivisi, con una terminologia chiara e univoca in materia, che aumenti l’awareness delle imprese del settore, facilitandone l’azione. Inoltre la formazione, affinché le imprese siano digitali e sostenibili occorre una disponibilità di competenze appropriate, con opportuni percorsi di apprendimento di nuovi processi e tecniche. La formazione e qualificazione professionale sono decisive, così come la capacità di mixare conoscenze e abilità più tradizionali con le nuove competenze tecnologiche e digitali. Qui risulta oltremodo evidente la centralità dei giovani, da supportare tramite scelte e interventi mirati al loro inserimento professionale e upgrading di competenze. Sono da ipotizzare percorsi professionalizzanti già nei cicli di istruzione obbligatoria, e l’introduzione di misure e agevolazioni per l’assunzione di giovani da parte delle imprese.
TUTELA DELL’ECCELLENZA E SUPPORTO ALLA CRESCITA
Tutela dell’eccellenza: qualità, originalità e distintività hanno reso la moda italiana e i suoi prodotti vincenti sui mercati globali. È l’esito di know-how, abilità tecniche e professionalità che nel tempo è stato preservato e tutelato, anche grazie ad un approccio di filiera improntata alla salvaguardia e tutela delle collezioni. Tutti aspetti che restano decisivi anche nel nuovo contesto: per questo, occorre un sistema di controlli e vigilanza sul settore, a tutela delle produzioni industriali e dal rischio di contraffazione. Supporto alla crescita: la potenza economica del settore moda si riflette nel suo essere parte integrante di comunità e territori in cui opera come potente veicolo di coesione sociale. Aspetti anche oggi decisivi, da rilanciare anche tramite la creazione di collaborazioni virtuose a livello territoriale, che favoriscano la crescita strutturale delle imprese anche attraverso meccanismi aggregativi.