Se ad avviso di Ben Samuels, editorialista del quotidiano liberal israeliano “Haaretz”, i temi di fondo che attualmente caratterizzano lo scontro politico negli Stati Uniti e che hanno influenzato l’elettorato in queste ultime elezioni di mid-term, non sono certamente lo Stato ebraico e il Medio Oriente, bensì l’elevato tasso di inflazione che erode il potere d’acquisto degli americani, la legge sull’aborto e la diffusa criminalità di strada, va tuttavia rilevato che molti analisti e politologi si interrogano egualmente sulle conseguenze di uno o dell’altro risultato sulle relazioni bilaterali e la stessa politica interna statunitense, tra questi anche un esperto del settore Sicurezza di Herzliya, il professor Ely Karmon.
LE MOLTE IMPLICAZIONI DELLE LEZIONI USA PER ISRAELE
Infatti, anche in Israele si attendono i risultati definitivi delle elezioni di mid-term americane, seggio per seggio una volta che essi verranno attribuiti, al fine di valutarne tutte le possibili implicazioni sul piano delle future relazioni tra Washington e il nuovo governo in carica nello Stato ebraico. A essere oggetto di attenta ponderazione sono diversi elementi, poiché la misura del successo nelle urne dei repubblicani o, come invece emerso ieri dalle urne, il contenimento della prevista «onda rossa» costituirà la cifra delle nuove relazioni bilaterali. Trump e i suoi anche se hanno vinto non hanno però conseguito un successo schiacciante, anzi, l’affermazione di alcuni candidati repubblicani ha evidenziato come la linea di faglia interna a quel partito sia pericolosamente in pressione. Ma resta il fatto che il presidente Joe Biden potrebbe trovarsi costretto a fare i conti allo stesso tempo con un Congresso controllato dai repubblicani che lo terrà costantemente sotto attacco e, a Gerusalemme, con un governo israeliano formato da una coalizione formata da partiti di estrema destra.
AIUTARE NETANYAHU PER ERODERE CONSENSO A BIDEN
Sottolinea Samuels, che un Congresso controllato dai repubblicani cercherà di sfruttare ogni opportunità che gli si prospetterà per sostenere Benjamin Netanyahu e porre contestualmente in difficoltà la Casa Bianca nel perseguimento della propria agenda politica nei confronti di Israele, dei Palestinesi e del Medio Oriente, riducendone i margini di manovra. Nell’attuale convulsa temperie politica americana che vede accentuarsi il clima di polarizzazione nel quale versa il Paese, passano dunque per il momento in secondo piano le considerazioni relative agli stretti e perversi legami tra parte della leadership repubblicana e quelle diffuse e variegate frange organizzate di suprematisti bianchi. Non è affatto casuale che Trump e i suoi abbiano utilizzato il pieno sostegno a Israele anche in funzione di difesa nei confronti delle accuse di antisemitismo dei quali sono oggetto, ricorrendo a questo argomento contro qualsiasi accusa di pregiudizio antiebraico nei loro confronti.
ALLA RICERCA DI NUOVI REFERENTI AL CONGRESSO
Tuttavia, malgrado tutto ciò, i mutamenti degli assetti politici in seno al Congresso imporranno egualmente a Israele la ricerca di nuovi referenti sicuri, dato che alcuni di quelli sui quali organizzazioni come l’AIPAC hanno fatto affidamento finora, potrebbero non vedere rinnovato il proprio mandato parlamentare, e si tratta in buona parte di democratici. Non solo, poiché è da tempo evidente come in seno ai vertici dello stesso Partito Democratico si siano andate affermando personalità ispirate da sentimenti, sì progressisti, ma oltremodo critici nei confronti dello Stato ebraico, una oscillazione verso quella sinistra americana che non preoccupare gli israeliani. E infatti, «Bibì» temporeggia un po’ prima di procedere alle designazione dei ministri, poiché vuole comprendere meglio quali saranno gli impatti delle dinamiche di Washington sulle relazioni bilaterali con Gerusalemme.
«BIBÌ» IL TEMPOREGGIATORE
«In Israele – afferma il professor Ely Karmon, Senior Research Scholar presso l’International Institute for Counter-Terrorism (ICT) e Senior Research Fellow presso l’Institute for Policy and Strategy all’Interdisciplinary Center (IDC) di Herzliya – la maggior parte degli osservatori e degli analisti della politica si è espressa in questo senso, dicendosi assolutamente convinta che la decisione del futuro primo ministro Benjamin Netanyahu in merito alle nomine al vertice dei dicasteri della Difesa e della Sicurezza interna dipenderà dal diverso grado di coabitazione nel sistema di potere americano. Nello Stato ebraico si ha consapevolezza del fatto che, volente o nolente, il nuovo esecutivo di destra dovrà farsi carico da quella patata bollente che è l’irrisolta questione palestinese. Ma, a fronte dei programmi sulla base dei quali i partiti di estrema destra alleati del Likud hanno raccolto consensi nell’elettorato, e nella volontà di porli concretamente in essere ora che sono al governo del Paese, si prospetta comunque il rischio dello scatenamento di una terza Intifada in Cisgiordania e, forse, quello di un ennesimo confronto militare con Hamas e la Jihad islamica palestinese nella Striscia di Gaza».
LA MINACCIA DELL’ATOMICA IRANIANA
Afferma un altro giornalista israeliano, Yaakov Katz del “Jerusalem Post” – la cui opinione trova concordi numerosi analisti, buona parte del mondo universitario e dei think tank, nonché del comparto Sicurezza dello Stato ebraico – che, «così, come giustamente sottolineato di recente dall’ex ministro del Likud Tzachi Hanegbi, intervenuto nel corso di una trasmissione dell’emittente televisiva commerciale “Channel 2”, l’evoluzione del progetto nucleare di Teheran è giunto alla soglia della trasformazione dell’Iran in uno Stato nucleare, dunque nella principale questione strategica che si troverà a dover affrontare nel breve termine il primo ministro Netanyahu». Anche Karmon è di questa opinione, poiché ritiene che Hanegbi sia stato diretto e lucido nel delineare le prospettive del gabinetto di destra appena insediatosi: «Netanyahu – conclude Karmon – dovrà agire in questi termini al fine di distruggere la bomba atomica iraniana, perché altrimenti non ci sarà altra scelta, e se non lo farà, Israele dovrà affrontare una minaccia esistenziale».