Già a partire dalla seconda settimana delle proteste popolari scatenate dall’assassinio della giovane Mahsa Amini gli apparati di sicurezza della Repubblica Islamica dell’Iran avrebbero fatto ricorso al sostegno fornito da miliziani arabi per riuscire a reprimere le manifestazioni di piazza.
MILIZIANI ARABI SCIITI
Al riguardo sempre più numerose sono le testimonianze di persone, manifestanti e gente che si è trovata nei luoghi delle diuturne proteste, che riferiscono della presenza di tali miliziani armati nello schieramento della repressione. Qualora suffragate, esse non farebbero altro che confermare i metodi della teocrazia di Teheran, che anche in passato (ad esempio in occasione della grande ondata di protesta che ebbe luogo nel 2019) beneficiò della dura azione di simili milizie. Ieri e oggi sono state perpetrate violenze nella provincia del Kurdistan iraniano, a Rasht, Lahijan, Qazvin (località dove si riferisce che alcuni di essi, armati di pistole, in Sabze-meydan Street parlavano arabo) e Sanandaj, dove viene segnalata la presenza attiva di elementi arabi tra la polizia antisommossa e tra gli agenti, anche in abiti borghesi, in motocicletta.
I «PROXI» DI TEHERAN REPRIMONO I MANIFESTANTI
L’ipotesi è che essi possano essere stati fatti affluire da Siria, Iraq e Libano, ma c’è chi parla anche della presenza tra loro di palestinesi, giunti in Iran mimetizzati tra i pellegrini di ritorno dalla celebrazione dell’Arbaeen, il pellegrinaggio sciita annuale per commemorare il martirio dell’Imam Hussein nella battaglia di Karbala. Molti di questi miliziani sciiti arabi potrebbero avere fatto scalo a Najaf provenienti da Damasco e Beirut. Gli iraniani allocano continuamente in luoghi diversi i loro proxi a seconda delle necessità contingenti, così come agiscono nello Yemen e in Iraq, lo fanno anche in Siria e, adesso, anche sul territorio della stessa Repubblica Islamica dell’Iran. Il fatto che a Teheran si ricorra a questi ausiliari per la repressione del diffuso dissenso potrebbe essere indice di una impreparazione del regime a esso, come se l’esplosione della protesta popolare abbia colto di sorpresa il sistema teocratico al potere nel Paese.