Ad avviso di Daniel Zavala-Araiza, Senior Scientist dell’organizzazione non governativa Environmental Defense Fund (EDF), la massiccia fuga di metano in atto nel Mare del Nord seguita all’apertura di quattro falle nei tubi della pipeline North Stream 2 (infrastruttura praticamente realizzata ma finora mai entrata in funzione che avrebbe dovuto convogliare la materia prima energetica di Gazprom dalla Russia alla Germania), sarebbe indice di tre differenti necessità.
LE EVIDENZE EMERSE DAL DISASTRO DEL MAR BALTICO
La prima è che si deve procedere a un monitoraggio attento e capillare basato su una serie di misurazioni delle emissioni di metano a livello globale; la seconda è che la perdita di gas nel Mar Baltico avrà un impatto climatico sensibile, aspetto che, ancora una volta, sottopone all’attenzione dell’opinione pubblica il bisogno di ridurre significativamente e in tempi rapidi le emissioni sia da quest’area che a livello globale; la terza rende urgente per l’Europa la transizione a fonti energetiche pulite allo scopo di ridurre le vulnerabilità in caso di eventi di questo genere.
115.000 TONNELLATE DI METANO
Sarebbero all’incirca 115.000 le tonnellate di gas fuoriuscite riversandosi dapprima in mare e poi nell’atmosfera. La stima è stata elaborata da Andrew Baxter, direttore delle strategie energetiche di Environmental Defense Fund (EDF). Intanto la sorte di quel segmento di condotta (che, ovviamente, causa interruzione bloccherà per tempi non brevi gli eventuali flussi di gas pompati da Gazprom) appare segnato: una volta esauritosi il gas presente nei tubi, se questi ultimi non verranno tempestivamente riparati l’acqua salmastra del mare li riempirà danneggiandoli irreparabilmente, inoltre, queste condotte necessitano di continue pressioni di gas al loro interno, che nel caso del segmento interrotto a monte dopo le quattro esplosioni si svuoteranno.
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