TERRORISMO, analisi e contrasto del fenomeno. ICT World Summit on Counterterrorism 2022: Global Proxy and Terror Network

L’intervento del professor Ely Karmon, del quale pubblichiamo la trascrizione integrale, si è incentrato sull’analisi della «strategia iraniana del ricatto terroristico» inquadrata in una prospettiva storica

Intervento del professor Eli Karmon tenuto il 14 settembre 2022 in occasione del workshop ICT’s Global Proxy and Terror Network nel quadro del World Summit on Counterterrorism 2022 – Matthew Levitt (direttore del Reinhard Program on Counterterrorism and Intelligence del The Washington Institute, n.d.r.) si interroga sul perché i funzionari iraniani continuino a ordinare azioni in territorio statunitense nel bel mezzo di trattative delicate? La risposta è perché sanno che possono farla franca. In un articolo che sto finendo di redigere per questo seminario, sostengo che Teheran «può farla franca» e, quasi sempre, l’ha fatta franca a causa di quello che io definisco la loro strategia, di successo, del ricatto terroristico. Soltanto di rado il regime islamista di Teheran è stato dissuaso dall’Occidente o da altri attori statuali. La mia tesi è che la sconfitta degli Stati Uniti di fronte agli attacchi iraniani e di Hezbollah all’inizio della loro storia terroristica ha incoraggiato Teheran a perseverare nel suo ricatto alle grandi potenze e agli attori internazionali minori. Gli unici brevi periodi nei quali la deterrenza ha funzionato sono stati quelli in cui gli iraniani si sono sentiti veramente minacciati, cioè la guerra della coalizione guidata dagli Usa contro l’Iraq nel 1991, il processo di Mykonos nel 1997, l’11 settembre 2001 e l’occupazione dell’Iraq nel 2003.

LA STRATEGIA IRANIANA IN UNA PROSPETTIVA STORICA

In una prospettiva storica, questa strategia è stata attuata a partire dalla crisi degli ostaggi americani del 1979 a Teheran. Il 1° novembre 1979, le autorità rivoluzionarie iraniane chiesero che lo Scià, malato terminale, espatriato negli Stati Uniti la settimana prima, fosse consegnato a loro per il processo,  ma Washington rifiutò. Tre giorni dopo l’ambasciata statunitense a Teheran venne occupata e i diplomatici e il personale al suo interno sequestrati. Il presidente Jimmy Carter rispose tentando una conciliazione, tuttavia, la sua lettera inviata a Khomeini, «da credente a uomo di Dio», parve solo rafforzare la convinzione del leader supremo della Repubblica Islamica che l’America (il Grande Satana) non fosse in grado di fare niente. Per punire questi americani in quanto «spie», per lo stretto rapporto del loro paese con lo Scià e la storia della sottomissione iraniana, i 52 ostaggi vennero trattenuti in prigionia per 444 giorni.

PRIMA «VITTORIA MILITARE» DELL’ONDATA ISLAMISTA MODERNA

Nell’aprile del 1980 Carter interruppe l’operazione “Eagle Claw”, la missione della Delta Force che lasciò morti nel deserto iraniano otto militari americani, oltre a un aereo da trasporto e sette elicotteri. È possibile considerare i 444 giorni di calvario degli ostaggi a Teheran, diplomatici dello Stato più potente del mondo, come la prima «vittoria militare» dell’ondata islamista moderna. Gli Stati Uniti alla fine hanno negoziato il rilascio degli ostaggi impegnandosi a non intervenire negli affari iraniani, sbloccando 11 miliardi di dollari congelati e congelando a loro volta le proprietà della famiglia dello Shah. L’annuncio del successo dei negoziati che ponevano fine alla crisi degli ostaggi coincise, non casualmente, con il giorno dell’insediamento alla Casa Bianca del neoeletto presidente Ronald Reagan, il 20 gennaio 1981.

LE BOMBE CONTRO FRANCESI E AMERICANI IN LIBANO

Il contingente militare americano era inizialmente entrato nel Libano dilaniato dalla guerra civile nell’agosto 1982 quale componente di una forza multinazionale per il mantenimento della pace che includeva personale francese, italiano e britannico, con il fine di negoziare un cessate il fuoco tra Beirut e Tel Aviv, poiché quest’ultima con le sue forze armate aveva invaso il Paese due mesi prima. L’autobomba guidata da un attentatore suicida contro l’ambasciata Usa a Beirut il 18 aprile 1983 uccise 63 persone, delle quali 17 cittadini americani, tra cui otto agenti della stazione della Central Intelligence Agency (CIA). Il 12 ottobre di quello stesso anno, il Congresso degli Stati Uniti approvò il procrastinare del dispiegamento dei Marines per altri diciotto mesi. Il 23 ottobre, un iraniano di nome Ismalal Ascari fece esplodere un camion al centro della caserma dell’USMC nella capitale libanese provocando la morte di 241 tra marine e marinai, la più grande esplosione convenzionale mai vista dagli esperti forensi di esplosivi del FBI e, al contempo, la maggiore perdita di vite umane che il Corpo avesse subito in un singolo attacco dai tempi della battaglia di Iwo Jima nel 1945.

1983: PER WASHINGTON «LA PEARL HARBOR» DEL MEDIO ORIENTE

«L’attentato ai Marines è stata la Pearl Harbor del Medio Oriente», ebbe modo di affermare Fred Hof, già addetto militare a Beirut che indagò sull’attentato in quanto membro della Commissione Long. Un secondo attentatore suicida colpì l’edificio dove era acquartierato il contingente francese: 58 paracadutisti rimasero uccisi e 15 feriti, la peggiore perdita militare subita da Parigi dalla fine della guerra d’Algeria. Tre sviluppi avevano indotto l’Iran a intensificare drasticamente le sue attività in Libano: il prolungamento della missione dei Marines decisa dal Congresso a Washington, l’inerzia mostrata dagli Usa di fronte all’attacco contro la loro ambasciata nell’aprile del 1983 e l’aiuto fornito all’Iraq di Saddam dalla Francia. Cinque mesi dopo, cioè nel febbraio 1984, a seguito del crollo dell’autorità del governo libanese a Beirut Ovest, le truppe americane, italiane, britanniche e francesi si ritirarono dal Libano. A seguito del disimpegno americano dal Libano, Hezbollah guadagnò molto terreno, lanciando attacchi a Israele fino al Kuwait e da allora divenne la milizia più potente della regione.

LA CRISI DEGLI OSTAGGI

Anni dopo, nel 1998, Osama bin Laden si espresse con ammirazione riguardo agli attentati compiuti a Beirut. «Abbiamo visto nell’ultimo decennio – dichiarò nel corso di una intervista -, il declino del governo di Washington e la debolezza del soldato americano, che è sì pronto per condurre le guerre fredde, ma è impreparato a combattere lunghi conflitti e ciò è stato dimostrato a Beirut quando i marines sono fuggiti dopo due esplosioni». Sulla falsariga, nel 2005 Hassan Nasrallah si vantò affermando: «Hai paura libanese delle flotte americane? Queste navi sono arrivate in passato e sono state sconfitte e, se torneranno, saranno sconfitte di nuovo». Il primo ostaggio americano, il presidente dell’Università americana di Beirut David Dodge, venne rapito nel luglio del 1982, mentre il capo della locale stazione della CIA, William Buckley, fu la quarta persona a venire sequestrata da Hezbollah in Libano. Nei dieci anni intercorrenti tra il 1982 e il 1992, quelli della crisi  degli ostaggi, gli occidentali sequestrati sarebbero stati trenta, alcuni dei quali, incluso Buckley, morirono in prigionia o vennero assassinati dai loro sequestratori.

I METODI DI TEHERAN E QUELLI DEI SOVIETICI

Teheran, agendo per il tramite di Hezbollah allo scopo di rendersi immune dalle ritorsioni, apprese dunque come il terrorismo dava i suoi frutti in grande stile. In seguito l’Iran fece ricorso a Hezbollah per catturare 15 ostaggi occidentali in Libano da utilizzare quale «merce di scambio» nella trattativa per la fornitura di armi da parte degli Stati Uniti e da Israele, divenuta poi nota come l’affaire Iran-Contra del 1985-86. Ma, sempre in Libano, quando a essere rapiti furono tre diplomatici sovietici, Mosca si rifiutò invece di trattare; i russi catturarono a loro volta un leader di Hezbollah e poi iniziarono a spedire a casa sua le sue parti del corpo, fino a quando non ottennero il rilascio dei loro diplomatici. Alla metà degli anni Ottanta fu la Francia a divenire l’obiettivo principale degli iraniani e della campagna internazionale di terrorismo posta in essere da Hezbollah, che si concretizzò nell’attentato alla caserma della forza multinazionale a Beirut, nel tentativo di colpire l’ambasciata francese in Kuwait, nel dirottamento di aerei francesi e nel sequestro di cittadini francesi in Libano, lanciando altresì un’ondata di attacchi terroristici nella stessa Francia.

NEL MIRINO LA FRANCIA

Gli obiettivi che si pose Teheran furono quelli di interrompere l’assistenza militare che Parigi forniva all’Iraq (allora in guerra con l’Iran, n.d.r.), di provocare il ritiro dei militari francesi della forza multinazionale schierata in Libano, di saldare il debito della Francia verso l’Iran e di ottenere la scarcerazione dei terroristi detenuti nelle carceri francesi, terroristi appartenenti sia a Hezbollah che ad altre organizzazioni terroristiche. Questa campagna terroristica raggiunse il culmine nel 1986, quando tre attentati vennero compiuti a Parigi a breve distanza di tempo l’uno dagli altri, facendo esplodere ordigni in ​​luoghi affollati della città in febbraio, marzo e settembre. A venire colpiti furono centri commerciali, treni interurbani, la metropolitana, gli Champs Elysees, la Torre Eiffel e altri luoghi pubblici. Undici persone rimasero uccise negli attentati e oltre 220 ferite. All’inizio del 1987 i servizi di sicurezza francesi riuscirono a smantellare una rete terroristica diretta da Fouad Ben Ali Saleh, un musulmano sciita tunisino che aveva ricevuto l’addestramento militare nel 1981-82 in Iran quando studiava nella città di Qom.

TERRORISMO E RECIPROCO BLOCCO DELLE AMBASCIATE

Le indagini sul conto di Ali Saleh portarono l’intelligence francese sulle tracce di un altro individuo sospetto: Wahid Gordigi, allora interprete presso l’ambasciata della Repubblica islamica iraniana a Parigi. Gordigi, che era sospettato di coordinare buona parte delle operazioni terroristiche compiute nel 1986, riuscì a far perdere le tracce dalla sede diplomatica presso la quale lavorava evitando così l’ arresto. La polizia francese circondò l’edificio dell’ambasciata, ma in risposta, a Teheran la polizia iraniana pose sotto assedio quella francese in Iran. Una dinamica che condusse a una crisi delle relazioni bilaterali, per un mese i rapporti diplomatici tra Parigi e Teheran vennero interrotti. A sua volta Hezbollah reagì agli avvenimenti prendendo in ostaggio numerosi cittadini francesi che si trovavano in Libano. La crisi terminò alla fine del 1987 e, in seguito, Gordigi fu messo su un volo diretto in Iran. Inoltre, Parigi ottemperò alla richiesta degli iraniani volta alla rimborso dei prestiti erogatigli ai tempi dello Scià (pari a 1,6 miliardi di dollari) e gli attivisti dell’opposizione iraniana all’estero vennero espulsi dalla Francia. Questi sviluppi condussero al rilascio degli ultimi ostaggi francesi trattenuti in Libano, che vennero liberati nel maggio del 1988. Il ristabilimento dei rapporti diplomatici tra Iran e Francia avvenne il ​​16 giugno 1988, da allora le loro relazioni tornarono alla normalità, con l’unico obbligo derivante alla Repubblica islamica dall’accordo relativo all’interruzione delle attività terroristiche in territorio francese.

OMICIDI DI OPPOSITORI ALL’ESTERO

Tuttavia, il 24 ottobre 1990 Cyrus Elahi, un membro dell’opposizione monarchica agli ayatollah, venne assassinato nella sua casa di Parigi. Il 18 aprile dell’anno seguente, Abdolrahman Boroumand, assistente capo dell’ex primo ministro iraniano Chapour Bakhtiar nel Movimento nazionale di resistenza iraniana, venne pugnalato a morte nell’atrio del suo condominio parigino. Il 6 agosto 1991, lo stesso Bakhtiar, da tempo rifugiatosi in Francia, venne assassinato da tre sicari. I suoi collaboratori in seguito affermarono che il governo francese nel tentativo di migliorare le relazioni con l’Iran, aveva esercitato pressioni sull’ex primo ministro in esilio affinché egli interrompesse la sua attività politica, riducendo le misure di protezione nei suoi confronti. Ma, proseguiamo velocemente fino al 2018. Il 30 giugno di quell’anno Amir Sadouni e sua moglie, Nasimeh Noami, due cittadini belgi di origine iraniana, vennero arrestati dalla polizia con l’accusa di aver tentato di compiere un attentato dinamitardo in occasione di un importante convention del movimento di opposizione iraniano Mojahedin-e-Khalq, in programma nella località di Villepinte, a nord di Parigi, assise organizzata allo scopo di denunciare il tour europeo del presidente iraniano Hassan Rouhani. L’attentato avrebbe potuto causare la morte di centinaia o più persone tra i 25.000 attivisti presenti all’incontro, tra i quali figuravano anche personalità di rilievo. L’esplosivo gli era stato consegnato da Assadollah Assadi, un diplomatico in servizio presso l’ambasciata iraniana a Vienna, in Austria.

ALTRA SERIE DI ATTENTATI IN EUROPA

Assadi, arrestato poi in Germania, fu stato condannato a venti anni di reclusione dal tribunale di Anversa nel febbraio del 2021. Era la prima volta che a un funzionario iraniano veniva fatto carico di accuse di tale gravità in un Paese me dell’Unione europea dai tempi della rivoluzione del 1979. Ma, in una “svolta della storia”, i parlamentari belgi nel luglio 2022 ratificarono un trattato ferocemente criticato che consentiva lo scambio di prigionieri con l’Iran, rendendo potenzialmente fattibile il rilascio di Assadi. Il primo ministro belga sostenne al riguardo che si trattava dell’unica strada possibile per liberare un cittadino del suo paese detenuto in Iran, l’operatore umanitario Olivier Vandecasteele. Un accordo di scambio che incoraggerà il terrorismo iraniano, poiché Bruxelles avrebbe così aperto la strada alla presa in ostaggio di più cittadini europei. Emblematica al riguardo è la testimonianza resa in un suo libro da Seyed Hossein Mousavian, già a capo del dipartimento affari dell’Europa occidentale presso il ministero degli esteri a Teheran ed ex ambasciatore iraniano in Germania: «Due grandi attacchi terroristici hanno avuto un impatto significativo sulle relazioni tra Iran e Occidente: l’assassinio di Chapour Bakhtiar perpetrato a Parigi e l’attacco al ristorante Mykonos di Berlino nel 1992, nel quale vennero eliminati tre leader curdi in esilio». Un nuovo episodio aggravò improvvisamente un clima già teso: nel marzo del 1996 la nave iraniana Kolahdooz, recante un carico destinato a Monaco, venne sequestrata nel porto di Anversa, dove vennero scoperta a bordo una spedizione di potenti mortai. I tempi dell’affare Kolahdooz sembravano perfetti nei termini del deterioramento delle già travagliate relazioni tra Iran e Germania dopo i fatti del Mykonos.

DETERIORAMENTO DEI RAPPORTI CON L’EUROPA

A seguito del verdetto emesso nell’aprile del 1997 per gli omicidi del Mykonos, secondo il quale al governo iraniano veniva attribuita la responsabilità «dell’ispirazione, del sostegno e della supervisione» del gruppo terroristico che aveva agito, le relazioni tra Berlino e Teheran peggiorarono al punto tale che entrambi i paesi richiamarono i propri ambasciatori. La cooperazione a livello ministeriale venne stata interrotta e iniziò l’espulsione dei diplomatici da entrambe le parti, con la conseguente sospensione del «dialogo critico» sulle varie questioni che coinvolgevano Iran ed Europa. Gli altri paesi europei seguirono l’esempio tedesco e le relazioni con la Repubblica islamica si deteriorarono isolando l’Iran distaccato dal mondo sviluppato. Dopo la decisione della Corte suprema tedesca del 1997 di incriminare i leader iraniani, e ancor più  a seguito degli attacchi di al-Qaeda compiuti l’11 settembre, seguiti dalle guerre americane in Afghanistan e Iraq, Iran ed Hezbollah mantennero un basso profilo nelle loro avventure terroristiche internazionali, in particolare in Occidente.

UNA FASE CARATTERIZZATA DALLA CAUTELA

L’attentato all’ambasciata israeliana a Buenos Aires del 1992 non ha impedito il successivo attentato all’edificio dell’AMIA compiuto nel 1994, né lo smantellamento delle infrastrutture di Hezbollah nell’area del Triplo confine,  tutto è finito nel memorandum d’intesa tra il governo di Christina Kirschner e quello della Repubblica islamica iraniana. La mia esperienza personale a Washington maturata in occasione dei confronti del luglio 2002 avuti al Dipartimento di Stato con i capi degli uffici di Libano e Siria e con l’ufficiale di collegamento della CIA, mi porta a ritenere come Iran e Siria siano risultati molto utili con l’intelligence nella lotta contro al-Qaeda. Il presidente iraniano Muhammad Khatami, un moderato, nel 2003 dichiarò di fronte alla folla a Beirut che «Hezbollah dovrebbe agire con cautela». Gli esperti sostenevano che la vittoria degli Stati Uniti in Iraq e il conflitto interno in Iran avrebbero costretto i leader della Repubblica islamica a cercare migliori relazioni con Washington. Pagando il giusto prezzo oppure per paura di una risposta molto dura.

COSA PUÒ FARE L’AMERICA?

Tuttavia, un anno dopo la rovinosa occupazione militare americana dell’Iraq, l’ex presidente iraniano Ali Akbar Hashemi Rafsanjani nel corso di uno dei suoi sermoni del venerdì all’Università di Teheran, il 9 aprile 2004 affermò che «l’attuale situazione in Iraq rappresenta una minaccia oltre che un’opportunità… È un minaccia perché la bestia americana ferita può intraprendere azioni furiose, ma è anche un’opportunità per dare una lezione a questa bestia, che quindi non attaccherà un altro paese. Gli obiettivi principali della guerra degli Stati Uniti erano indebolire la Siria e l’Hezbollah libanese e circondare l’Iran e indebolire e distruggere la rivoluzione islamica iraniana. L’America è intervenuta e tutti gli obiettivi dichiarati o non dichiarati dell’America non sono stati raggiunti o hanno preso le distanze da essi. In effetti non siamo diventati molto più forti, ma sono gli americani che sono diventati vulnerabili, l’America è diventata un tamburo vuoto e la domanda è: cosa può fare?»

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