GIAPPONE, agricoltura. Fattori alla base del declino del settore primario nel Paese asiatico

Il fenomeno rinviene le sue cause in parte nell’impiego di suolo a fini industriali, infrastrutturali e residenziali, in parte nello spinto processo di urbanizzazione dell’ultimo mezzo secolo. Questo mentre la popolazione giapponese andava invecchiando, con evidenti riflessi negativi sulla disponibilità di manodopera nel settore primario, aspetto che ne ha accelerato l’abbandono soprattutto negli anni Novanta. La carenza di manodopera bracciantile, le mutate diete dei consumatori locali e l’apertura del mercato agli operatori esteri, hanno poi stimolato le importazioni di numerosi prodotti

Il declino dei terreni agricoli in Giappone, associato alla carenza di manodopera bracciantile, alle mutate diete dei consumatori locali e all’apertura del mercato agli operatori esteri, hanno stimolato le importazioni di numerosi prodotti agricoli. La riduzione dell’utilizzo dei terreni agricoli è una tendenza costante che in Giappone si registra a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, un fenomeno che rinviene le sue cause in parte nell’impiego di suolo a fini industriali, infrastrutturali e residenziali, in parte per lo spinto processo di urbanizzazione che ha interessato il Paese asiatico nell’ultimo mezzo secolo. Contestualmente la popolazione giapponese è andata inesorabilmente invecchiando, con evidenti riflessi negativi sulla disponibilità di manodopera nel settore primario, aspetto che ne ha accelerato l’abbandono soprattutto durante gli anni Novanta.

TERRENI AGRICOLI: MENO 51% DAL 1960

Il risultato è stato la contrazione della superficie di terreni coltivati del 51% (a esclusione di quelli precedentemente già inutilizzati) dal 1960. Una dinamica negativa che ha conosciuto un rallentamento in modo particolare nei primi anni del nuovo millennio, a fronte però di un costante decremento del totale della terra coltivata, diminuita del 18% tra il 1990 e il 2005 e “solo” del 9% tra il 2005 e il 2020. In particolare, la riduzione ha interessato le produzioni di frumento, orzo, avena e segale, legumi e altre colture, tra le quali i cereali e i foraggi. In incremento invece il numero dei capi di bestiame (bovini da carne, vacche da latte, suini, polli), che hanno registrato un picco positivo all’inizio degli anni Novanta, per poi gradualmente ridimensionarsi.

AUMENTANO LE IMPORTAZIONI

Tenuto conto della propria offerta interna di prodotti alimentari, commisurata a una superiore domanda da parte del mercato, in Giappone si conferma la tendenza a importare patate, frutta, carne bovina, oli vegetali, latticini e prodotti lattiero-caseari. Tuttavia, i dati relativi a queste importazioni vanno interpretati in maniera differente a seconda dei casi, poiché, mentre nel caso dell’ortofrutta gli incrementi sono il portato di un marcato calo della produzione interna di beni che, in volumi, risulta maggiormente veloce anche rispetto alla flessione dei consumi pro capite di quegli stessi beni, al contrario, per quanto invece concerne carne bovina, suina e latticini, l’aumento dei consumi pro capite ha determinato un conseguente maggiore ricorso alle importazioni  ai fini del soddisfacimento della domanda del mercato interno, soddisfatta dalla maggiore disponibilità e stabilità dell’offerta dall’estero.

PRODUZIONE IN CALO MA NON IN TUTTO IL PAESE

Anche riguardo ai terreni agricoli la lettura del quadro complessivo della situazione nipponica va fatta con ponderazione, poiché se è vero che lo sfruttamento complessivo dei terreni agricoli a livello nazionale decresce, è altrettanto vero che in alcune regioni del Paese il fenomeno ha assunto una direzione opposta, in quanto vi si è registrato un significativo incremento della produzione. In particolare nell’isola di Hokkaido, la più grande e settentrionale dell’arcipelago, che si è attestata al 14% della produzione totale nazionale. Anche a Kyushu, isola principale del meridione giapponese, è stato registrato un, sia pur minimo, incremento della produzione agricola, dal 19% del 1990 al 20% del 2020, con un mutamento di indirizzo dal riso al bestiame e agli ortaggi, una fase storica nella quale la regione ha conosciuto altresì un incremento delle dimensioni medie delle aziende agricole dagli 1,4 ettari del 2005 ai 2,2 del 2020. Una debole tendenza che però non è certamente in grado di invertire il consolidato declino del settore, nel quale negli ultimi quindici anni quasi la metà delle aziende hanno cessato la loro attività, passando da 2 milioni a 1,1, questo a fronte di un inesorabile invecchiamento della popolazione degli agricoltori, attualmente di età pari o superiore a sessantacinque anni per il suo 70 per cento.

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