Se ne parla ormai da anni, ma complice la campagna elettorale in corso, con il suo vasto corollario di promesse più o meno fantasiose fatte dai politici alla gente in vista del voto, il tema della «tassa piatta», o flat tax, si è prepotentemente imposto nell’infiammato e a tratti truce dibattito polemico tra partiti e schieramenti.
IL PRIMO ESPERIMENTO DEL GOVERNO CONTE 1
Una vecchia e controversa storia che si trascina da tempo, quella della flat tax, che trovò una sua prima timida applicazione sperimentale a opera del primo governo Conte, quello formato da Lega e Movimento 5 stelle, dove il Ddl del leghista Siri divenne il provvedimento “bandiera” del Carroccio di quell’esecutivo, indirizzandosi infatti ai lavoratori autonomi, potenziale grande bacino di consenso di Via Bellerio. Oggi, nell’imminenza delle elezioni politiche anticipate, la flat tax e divenuta una sorta di totem per i partiti della coalizione di centro-destra, che tuttavia non hanno manifestato un unico orientamento riguardo a come effettivamente essa dovrà essere se si giungerà a una sua introduzione.
CALCOLI E INCERTEZZE
Una incertezza emblematizzata dalla posizione ufficiale di Fratelli d’Italia, che per bocca dalla sua segretaria Giorgia Meloni (pronta ad assumere la guida del nuovo governo se vincerà nelle urne, come anticipano i sondaggi d’opinione), partirebbe nelle forme soft di «flat tax incrementale», basandosi cioè sul reddito aggiuntivo calcolato su quello dell’anno precedente, per poi giungere, ma in un futuro non ben determinato, a una tassa piatta «piena». Anche qui, si tratterebbe di una misura concepita allo scopo di intercettare il consenso di partite Iva e di parte dei lavoratori in nero, poiché questi ultimi dichiarando un reddito un poco maggiore si vedrebbero sostanzialmente imporre un peso fiscale ridotto.
LE CRITICHE DELLA SINISTRA
Riguardo alla flat tax la sinistra è sempre stata molto critica, poiché la ritiene una classica proposta delle destre liberiste di tutto il mondo che poi non si riesce concretamente a realizzare da nessuna parte se non in piccoli Stati anche hanno conosciuto soltanto di recente l’economia di mercato. Essa pone un tetto al prelievo fiscale nei confronti della platea di contribuenti più ricchi – aggiungono i detrattori -, penalizzando contestualmente la classe media. Verrebbe favorita l’alta borghesia finanziaria e imprenditoriale nonché la rendita, mentre i bassi sussidi erogati alle fasce più deboli della società, previsti in alcuni progetti di tassa piatta elaborati in passato, si ridurrebbero ad assegni di sussistenza.
ULTERIORI INTERROGATIVI
Inoltre – e questo è un aspetto dirimente – i critici affermano che in ogni caso la riduzione del prelievo fiscale ai più ricchi non garantirebbe quella allocazione di risorse dei privati tale da sostenere una maggiore crescita economica e lo sviluppo. Infine il discorso relativo alle coperture finanziarie, vero fantasma che aleggia sulla flat tax: chi la varerà, se lo farà, sarà in grado di mantenere la stabilità dei conti pubblici o farà esplodere il bilancio dello Stato? Già, poiché un provvedimento del genere presupporrebbe la rinuncia a una non indifferente quota di gettito fiscale che, di risulta, comporterebbe una drastica revisione della spesa pubblica.
L’IMPOSIZIONE FISCALE È DAVVERO PROGRESSIVA?
Secondo il professor Mario Baldassarri, presidente del Centro studi economia reale, si potrebbe fare qualcosa del genere senza però aumentare deficit e debito pubblico. «Tuttavia – sottolinea l’economista – il punto di partenza di ogni ragionamento è valutare le tasse come sono oggi, in particolare l’Irpef, che non è affatto un’imposta progressiva ma al contrario regressiva. Questo per due ragioni fondamentali: molte voci di reddito non vi sono incluse in quanto tassate a parte, come le rendite finanziarie e i titoli di Stato; esiste infatti una pletora di esclusioni che non si dichiarano con l’Irpef. Secondo: la struttura delle quattro aliquote si concentra su scaglioni di reddito inferiori a 80.000 euro lordi all’anno.
CHI PAGA DAVVERO L’IRPEF
Teoricamente, oltre quel livello di reddito si applica un’aliquota del 43% (la più alta), ma le statistiche dell’anagrafe tributaria evidenziano come a pagarla siano in pochissimi, mentre il rimanente 80% del gettito Irpef viene versato da lavoratori dipendenti e pensionati. «Se a tutto questo aggiungiamo la sterminata jungla di detrazioni, deduzioni e agevolazioni note come tax expenditure, negli ultimi anni distribuite a pioggia, restano a pagare l’Irpef coloro i quali hanno a redditi medi e medio-bassi». La flat tax si configura come una tra le numerose ipotesi, «ma il discorso – precisa Baldassarri – non si può limitare proponendo soltanto un’aliquota unica per tutti i contribuenti senza però indicare quale è l’intera struttura dell’imposizione. Intanto bisogna chiarire a quale livello si colloca l’aliquota unica? Al 15%, al 23%, al 30 per cento?»
ALIQUOTA UNICA E REDDITI MEDIO-BASSI
Rispetto a questo presupposto vanno poi definite le varie deduzioni. «Se noi, ad esempio, avessimo un’aliquota unica del 25% con alla base, però, una esenzione di imposta per carichi di famiglia pari a 5.000 euro all’anno per ogni componente il nucleo familiare, vorrebbe dire che una famiglia composta da quattro persone non pagherebbe nulla fino a un reddito di 20.000 euro. È evidente allora che nella fascia medio-bassa di reddito si configurerebbe come una imposta fortemente progressiva». L’ipotesi esplorata da Baldassarri include anche le posizioni degli incapienti: «Il medesimo tipo di nucleo familiare in questo caso sarebbe esente dall’imposta fino a 20.000 euro, ma nel caso il suo reddito ammonti a meno entrerebbe in gioco la negative income tax: sotto la soglia no tax area lo Stato provvederebbe all’erogazione a beneficio della famiglia incapiente di un assegno della somma corrispondente a quella necessaria a integrarne il reddito al minimo imponibile».
DOVE REPERIRE LE RISORSE NECESSARIE?
«A questo punto – rimarca il presidente del Centro studi economia reale – vanno però fatti i conti con la grande ipocrisia sulla tassazione e la riforma fiscale: tutti i partiti presentano proposte, ma nessuno indica l’ammontare reale delle risorse necessarie a copertura dei costi di una loro eventuale realizzazione pratica, né tantomeno dove andarle a reperire. È falso dire che “la coperta è corta”, vero è che nessuna forza politica vuole andare a intaccare le voci di spesa pubblica che andrebbero tagliate e nemmeno i miliardi di evasione fiscale che andrebbero recuperati». Già, poiché la flat tax aprirebbe una voragine nei conti pubblici difficilmente colmabile, a meno che «all’interno del bilancio pubblico, che ogni anno ammonta a oltre 900 miliardi di euro dei quali 800 miliardi derivanti da tasse e tributi, vengano recuperate quelle ingenti risorse sprecate, malversate o rubate, pari a 50-70 miliardi, oltre agli altri almeno circa 100 miliardi mancanti a causa dell’evasione fiscale».
LO SCARSO CORAGGIO DELLA POLITICA
«Ogni anno – conclude Baldassarri – grazie alle tax expenditure vengono assorbiti altri 150 miliardi di euro. Ora, io ritengo che la nuova Irpef dovrebbe articolarsi su tre scaglioni molto larghi: 20% fino a 50.000 euro, 30% fino a 100.000 euro e 43%, l’attuale aliquota, oltre i 100.000 euro. Si può anche immaginare un Irpef ad aliquota unica e chiamarla “flat tax”, ma il problema resta il minor gettito fiscale determinato. La mia proposta ne determina 50 miliardi, che non andrebbero coperti a debito, bensì riproporzionando tutte quell’enorme porzione di bilancio pubblico da tagliare e recuperando l’evasione. Ma si tratta di temi politici “che scottano”, perché agendo in quel senso si intaccherebbero gli interessi di clientele, corporazioni e lobby. Nessun politico ha il coraggio di chiarire questi aspetti, soprattutto durante una campagna elettorale».
Ascolta la registrazione integrale dell’intervista su flat tax e riforma fiscale con il professor Mario Baldassarri di seguito su insidertrend.it (A477)