di Giuseppe Morabito, generale in ausiliaria dell’Esercito italiano e attualmente membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation – Circa una quindicina di persone, combattenti e civili, sono morti venerdì scorso negli scontri tra i gruppi armati che hanno avuto luogo a Tripoli. Teatro degli scontri è stato un distretto centrale della capitale libica nel quale hanno sede diverse agenzie governative e internazionali, oltreché missioni diplomatiche. I combattimenti hanno comunque interessato anche le aree periferiche di Ain Zara e Asbaa.
UNA FRAGILE TREGUA
Si tratta soltanto dell’ultima escalation che minaccia la relativa pace dopo quasi un decennio di guerra civile nel Paese nordafricano, laddove due gruppi di potere rivali permangono bloccati in uno stallo politico. Negli ultimi mesi queste divisioni hanno alimentato diversi episodi di violenza. Dallo scorso mese di maggio a ovest della capitale prosegue l’azione delle forze fedeli al Governo di accordo nazionale (GNA) sostenute dalla Turchia, mentre si parla sempre più frequentemente di un forte incremento di rinforzi e aiuti militari in arrivo a est, nella Cirenaica, forniti da Russia e Siria all’Esercito nazionale libico (LNA) comandato dal generale Khalifa Haftar. Uno sviluppo che potrebbe portare a un’ulteriore internazionalizzazione del conflitto e al suo aggravamento.
IL «CASUS BELLI»
A scatenare gli incidenti era stato, sempre in maggio, l’ingresso a Tripoli di Fathi Bashagha, premier eletto dal Parlamento di Tobruk, giunto nella capitale assieme ai ministri del suo gabinetto da lui scelto assumere le funzioni di governo nell’intero Paese. La resistenza opposta dalle fazioni che sostengono Abdul Hamid Ddedeiba lo aveva costretto alla ritirata. Bashaga, ex ministro dell’interno e responsabile della sicurezza durante l’attacco di Haftar alla Tripolitania nel 2019, puntava infatti a sostituire Ddedeiba. Quest’ultimo aveva rifiutato di dimettersi dopo che la cancellazione delle elezioni dello scorso 24 dicembre, calendate nel quadro della road map dell’Onu. Si erano così alimentate tensioni con Tobruk, seppure i parlamentari libici, certi che il mandato di Ddedeiba fosse scaduto, avessero nominato Bashaga alla guida di un governo ad interim al fine di condurre la Libia verso nuove elezioni. Ma Ddedeiba si è opposto, sostenendo che lascerà l’incarico soltanto a un esecutivo eletto dalle urne.
LOTTA PER IL CONTROLLO DI TRIPOLI
A seguito degli scontri armati nella capitale, Dbeibah, tuttora alla guida del governo di unità nazionale, ha sostituito il ministro dell’interno. Dalla sera di venerdì la situazione è tornata per lo più calma nel centro della città, dopo che il Consiglio presidenziale aveva invitato entrambe le parti a cessare le ostilità, aggiungendo che il governo e i pubblici ministeri militari avrebbero condotto le indagini sul caso. I voli al principale aeroporto Mitiga di Tripoli, in precedenza interrotti, erano stati fatti riprendere. Tuttora la causa precisa scatenante dei combattimenti non è chiara. Essi sono certamente conseguenza della lotta per il potere in corso tra le milizie che appoggiano le due amministrazioni rivali in competizione per il potere a Tripoli. Una situazione che si è andata deteriorando da marzo, quando la Camera dei rappresentanti di Tobruk ha nominato un nuovo esecutivo affidandone la guida a Bashagha.
NATIONAL OIL CORPORATION
Il presidente uscente insiste però sul fatto che cederà l’autorità solo a un governo nominato da un parlamento eletto, aumentando così i timori che la Libia possa ricadere in una nuova sanguinosa e destabilizzante guerra civile. Come in molti altri casi analoghi, la principale ragione del contendere risiede nel denaro, in particolare nel controllo della National Oil Corporation (NOC). Finora l’agenzia petrolifera nazionale ha finanziato tutti i governi di Tripoli consentendo loro di permanere al potere malgrado le pressioni esercitate dai vari rivali, alimentando inoltre la corruzione dilagante. Recentemente Bin Ghdarah ha deciso a suo favore la disputa sulla leadership della NOC dopo il “licenziamento” di Mustafa Sanallah da parte del primo ministro Dbeibha che gli ha attribuito sia il blocco in marzo-aprile dei fondi petroliferi sia il coinvolgimento personale nell’iniziativa Norland per monitorare l’uso delle entrate petrolifere a livello internazionale e la sua opposizione agli accordi petroliferi di Dbeibha con gli Emirati Arabi Uniti.
DENARO PETROLIFERO
La nomina di Bin Ghdarah forse porterà ad un certo rilassamento nei rapporti tra il governo di Tripoli e l’Est del paese e Dbeibha potrebbe trarre vantaggio da questa mossa che potrebbe avvicinarlo al presidente turco Erdoğan. La posizione generale di Dbeibha è quindi almeno temporaneamente rafforzata, mentre le possibilità di sostegno turco del suo rivale Bashagha sono probabilmente diminuite. La durata di questa distensione est-ovest è tuttavia discutibile, poiché non è proprio chiaro se Bin Ghdarah possa effettivamente porre fine allo svantaggio finanziario dell’est. È improbabile che le milizie di Tripoli e Misurata rimarranno a guardare l’LNA ricevere sostegno finanziario sotto forma di «denaro petrolifero». In conclusione, appare evidente come le ingerenze internazionali di Emirati Arabi Uniti e Turchia (con cui noi italiani non abbiamo ultimamente rapporti diplomatici ottimali) non aiutino la pacificazione e che la guerra sul territorio ucraino distolga le diplomazie dal concentrarsi sulla Libia che rimane per l’Italia una delle importanti aree da cui ricevere gli idrocarburi necessari per meglio gestire, nel prossimo autunno, la probabile crisi energetica dovuta alle giuste sanzioni contro Mosca.