Pubblicato il Rapporto sulle pensioni pagate all’estero elaborato dall’INPS, nel quale vengono illustrati i risultati dell’analisi particolareggiata delle dimensioni e delle articolazioni del pagamento delle pensioni erogate dall’Istituto all’estero. I dati – si sottolinea nell’introduzione al Rapporto -, seppur riferiti al 2% del totale di quanto pagato, sono in ogni caso significativi, soprattutto considerando l’attuale contesto di un’economia e una società globalizzata, dati, dunque, destinati ad acquisire in un futuro non troppo lontano, una sempre maggiore consistenza. La presentazione del Rapporto ha avuto luogo questa mattina a Roma, presso la presidenza dell’INPS a Palazzo Wedekind, evento nel corso del quale sono stati illustrati gli aspetti relativi ai vari fenomeni strettamente connessi con la specifica tematica, quali quello delle donne italiane che emigrano, sulle dinamiche delle migrazioni dei cittadini italiani e sugli anziani italiani che emigrano, inclusi quelli del «turismo pensionistico». Inoltre, al centro delle riflessioni anche il tema del lavoro e quello dell’immigrazione.
IL SISTEMA PREVIDENZIALE HA RETTO BENE
Prima della conferenza e della tavola rotonda che a essa ha fatto seguito, il presidente dell’INPS Pasquale Tridico ha avuto modo di scambiare alcune battute con i giornalisti convenuti a Palazzo Wedekind per l’evento, con i quali ha affrontato i temi relativi allo stato di salute dell’Istituto da lui guidato in questa fase post-pandemica e sulle priorità con riferimento all’attuale scenario. Nel primo caso, egli ha affermato che «la pandemia ha messo a dura prova il sistema, ma noi abbiamo retto molto bene pagando oltre quindici milioni di persone, trentadue milioni di prestazioni di cassa integrazione, cinque milioni di bonus, tutto sulla fiscalità generale, cioè tutto su interventi che non hanno gravato sulle casse dell’INPS e sulla parte invece di contributi che, appunto, è molto sostenibile, perché quella è retta dai lavoratori stessi», facendo invece riferimento alle priorità di scenario, Tridico ha sottolineato come al momento l’esigenza prioritaria sia quella di «immettere più persone possibile nel mercato del lavoro, quindi creare lavoro e incrementare gli investimenti al fine di aumentare la dinamica del mondo del lavoro».
CHI VIENE E CHI VA
Alcuni dati estrapolati dal Rapporto: è aumentato il numero delle pensioni pagate in Asia, Africa ed Europa orientale, i beneficiari hanno mediamente un’età più bassa rispetto a quella dei cittadini italiani che emigrarono all’estero nel dopoguerra. È l’effetto delle nuove migrazioni iniziate negli anni Duemila, che hanno visto protagonisti migranti provenienti dall’estero, persone animate da nuove motivazioni e con mete diverse rispetto ai primi. Si tratta dei lavoratori immigrati in Italia che una volta conseguito il diritto alla pensione preferiscono fare ritorno al proprio paese di origine, ma non solo di essi. Infatti, anche numerosi lavoratori italiani, magari non più giovanissimi, decidono sempre più spesso di porre a disposizione le proprie competenze professionali e le abilità tecniche possedute nei paesi in via di sviluppo, questo in ragione del desiderio di una crescita professionale oppure a causa della perdita dell’occupazione in Italia, persone che poi, al raggiungimento del diritto alla pensione, scelgono di rimanere a vivere del paese di loro ultima destinazione.
IL DUMPING DEL «TURISMO PENSIONISTICO»
Ogni anno circa cinquemila cittadini italiani ultrasessantacinquenni lasciano il Paese per andare a vivere in altri Stati, non necessariamente dell’Unione europea, dove risulta più conveniente (anche e soprattutto sul piano fiscale) vivere beneficiando dell’assegno pensionistico erogato dall’INPS. Non si tratta di un fenomeno esclusivamente italiano, ma in questo Paese è particolarmente incidente, seppure di molto minore rispetto alla cifra complessiva di pensioni pagate dall’Istituto all’estero, che è pari a 183.000 e va in massima parte ai citati cittadini italiani che sono rimasti nei paesi esteri ospiti dopo la fine della loro vita lavorativa. Tuttavia, seppure non incida in maniera “macro” sul totale, quello del turismo pensionistico resta pur sempre un problema. Le mete principali sono in primo luogo il Portogallo, seguito da Spagna, Grecia, Cipro e Tunisia, in quest’ultimo caso paese privilegiato dagli dipendenti pubblici collocati a riposo (ex INPDAP), in ragione dello speciale regime concordato dallo Stato nordafricano con Roma, che incide positivamente sulla doppia tassazione, e anche della vicinanza delle coste tunisine all’Italia.
INFINE IL LAVORO
Infine il lavoro, altro fondamentale argomento affrontato nel corso del convegno di presentazione di oggi. Una delle riflessioni al centro del dibattito è stata quella dei salari e della mobilità occupazionale nella fase post-pandemica, che ha visto saltare i preesistenti equilibri (e squilibri) del mercato. Anche qui un fenomeno non soltanto italiano, poiché comune al resto dei paesi sviluppati, qualcosa che ha iniziato a manifestarsi negli Stati Uniti d’America nei momenti immediatamente successivi all’abbassa mento del livello di guardia sanitario. Ma, mentre negli Usa il ritrovato potere di acquisto delle famiglie ha consentito un giro d’orizzonte esistenziale e professionale ai lavoratori, soprattutto a quelli impiegati in occupazioni non qualificate, che ha portato a dimissioni di massa, in Italia molti non accettano più il salario di riserva (in numerosi casi purtroppo si dovrebbe definirlo salario di sussistenza) e quindi preferiscono rinunziare temporaneamente all’occupazione in cerca di meglio. Sempre secondo Tridico, in un Paese avanzato come questo, dove però tre milioni e mezzo di persone lavorano in nero e, di risulta, non versano contributi previdenziali, «la competitività andrebbe ricercata nello sviluppo tecnologico e nella professionalità, non ricorrendo all’abbattimento dei salari per ridurre il costo del lavoro». Una conclusione che ha visto concorde anche monsignor Gian Carlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes, che ha rilevato come sia «necessario guardare attentamente a uno scenario che chiede cambiamenti legislativi, quali anche quello delle quote poste all’immigrazione di lavoratori poste dalla Legge Bossi-Fini».