Conti pubblici non a posto e riforme strutturali economiche (fisco e concorrenza in primis): Bruxelles torna ad ammonire l’Italia, seppure il rientro in vigore del Patto di stabilità e crescita sia stato rinviato di un altro anno. Dunque a Roma fino a tutto il 2023 si dovrebbe continuare a respirare, tuttavia, l’Europa ha inteso rammentare quello che in questo paese già si sapeva benissimo riguardo al Next Generation EU e al conseguente Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), cioè che le erogazioni dei finanziamenti sono condizionate allo stato di avanzamento dello sviluppo dei progetti d’investimento e al varo delle riforme strutturali.
IL «MEMO» DI BRUXELLES
«Quello della Commissione Europea va considerato come un memo – ha affermato il professor Mario Baldassarri, intervenuto lunedì scorso, 23 maggio 2022, alla trasmissione Capire per conoscere, condotta su Radio radicale dal giornalista Claudio Landi -, un memo tuttavia molto importante poiché le riforme strutturali languono un poco». La prima rata di acconto dei fondi europei è stata erogata indipendentemente dal realizzarsi queste condizioni, cosa che non dovrebbe ripetersi nei medesimi termini per la seconda rata, che dipenderà dal buon esito di una serie di verifiche. «Ma, a quel punto non gli si potrà raccontare che le riforme si faranno l’anno prossimo – ha al riguardo eccepito l’ex ministro dell’Economia attualmente presidente del Centro studi economia reale -, ecco dunque la presa di posizione del Presidente del Consiglio che ha imposto al governo da lui guidato il loro varo entro il prossimo mese di giugno».
UN TIMING MOLTO STRETTO
Ma questo significa che le contrastate riforme dovranno venire approvate dal Parlamento entro maggio, tenuto anche conto che si tratterà di leggi delega, cioè provvedimenti normativi che necessiteranno di decine di successivi decreti delegati, quindi di un complesso e non breve iter. «Per questa ragione la delega conferita al legislatore non dovrà essere “generica”, ma dovrà esprimere chiaramente i paletti portanti della riforma».
Riguardo alla materia fiscale, Baldassarri non ritiene il provvedimento recentemente varato una vera e propria “riforma”, poiché si è trattato soltanto di una piccola riduzione delle aliquote, un piccolo sgravio fiscale mangiato un mese dopo dall’enorme incremento dell’inflazione. «Bisognerebbe invece discutere dell’impalcatura della struttura fiscale, ponendo al centro l’Irpef, la tassazione sulle imprese, le rendite finanziarie e la miriade di agevolazioni concesse a iosa negli ultimi trent’anni, le tax expenditure o detrazioni».
CATASTO E CONCORRENZA
Ad avviso di Baldassarri, «il rischio è che si combattano delle battaglie apparentemente epiche su alcuni temi, come quello del catasto, quando invece si dovrebbe semplicemente prendere atto che la realtà dei fabbricati in questo Paese non è quella scritta lì dentro, quindi il catasto andrebbe aggiornato. A parità di tassazione, come ha sempre affermato di voler fare il Governo Draghi. Che però vuol dire che chi paga tanto oggi dovrà pagare un po’ meno, mentre chi oggi non paga niente dovrà invece pagare qualcosa».
Sul tappeto c’è poi la riforma della concorrenza «e anche qui si sta scatenando una enorme battaglia sul problema dei balneari che, questione che a mio parere è molto semplice: nel momento in cui le concessioni dovessero andare all’asta così come prevede la Commissione Europea, come minimo si dovranno riconoscere agli attuali concessionari tutti gli investimenti fatti negli anni precedenti, poiché non potrà trattarsi di un esproprio, tuttavia, all’interno del Piano concorrenza ci sono temi enormemente più importanti per la vita dei cittadini. E uno di essi è quello dell’energia».
UN ECCESSIVO ANOMALO CARO BOLLETTE
Il dato ufficiale fornito dal ministro per la Transizione ecologica è che all’importazione il prezzo medio del gas è aumentato del 50%, «ecco allora – ha sottolineato Baldassarri -, il cartello dei distributori di energia elettrica e di gas, che ha in qualche modo determinato i rincari che hanno pagato i consumatori, carica in bolletta molto di più del 50%, incrementando così i propri margini di profitto. Un aspetto oltremodo palese per quanto concerne i produttori di elettricità che non impiegano né gas e né petrolio». Però, di energia nel Piano concorrenza non c’è traccia, «esistono due Authority che dovrebbero vigilare sul mercato – eccepisce l’ex viceministro -, l’AgCom e l’ARERA, ma nella riforma ci si scatena sui balneari, argomento, per carità, sacrosanto, ma di queste altre cose che incidono molto di più sulla vita quotidiana di famiglie e imprese, se ne parla pochissimo. Il governo ha semplicemente e giustamente, a mio parere, tassato del 25% gli extraprofitti delle compagnie di distribuzione di energia elettrica e gas, lasciandogli però in tasca il “rimanente” 75 per cento».
INFLAZIONE IN CRESCITA E SALARI BLOCCATI
Il nodo vero della questione resta la preoccupante crescita del tasso si inflazione, giunta ormai al 6,5%, con i salari invece bloccati. «A bocce ferme questo significa un pesante taglio del potere d’acquisto che, conseguentemente, riduce le possibilità di consumo, con l’ulteriore effetto del decremento degli investimenti da parte delle imprese. Meno consumi e meno investimenti vuol dire che la frenata reale sulla crescita dell’economia italiana quest’anno potrebbe assumere le forme di un’inchiodata. Dunque è necessario intervenire su questo. Ma se si addivenisse a dei rinnovi contrattuali dei lavoratori adeguando immediatamente al 6% i loro salari, si ridarebbe avvio alla spirale perversa salari-prezzi, con l’inflazione che rischierebbe di schizzare al 10 per cento».
Il nodo strutturale di fondo, ha concluso Baldassarri, è che un lavoratore che percepisce un salario di 1.200 euro netti al mese, se ha la fortuna di lavorare sulla base di un contratto a tempo indeterminato, all’impresa dalla quale dipende costa 3.000 euro, una differenza data dal cosiddetto cuneo fiscale contributivo. «Ebbene, questo è il momento adatto per intervenire su di esso al fine di rendere il salario in busta paga in grado di fronteggiare l’aumento dei prezzi, senza però scaricare maggiori costi per le imprese».