AFRICA, Sahara occidentale. Venti di guerra: il Polisario annuncia l’attacco ad Ayoun e Dakhla, l’ex Villa Cisneros

Il vertice dell’organizzazione militare sahrawi ha reso noto che verranno effettuate «operazioni di commandos» contro l posizioni dell’esercito marocchino in queste enclavi. «Tutti i territori dei sahrawi sono un legittimo obiettivo – essi affermano - e la decisione è quella di colpire ogni parte del Sahara occidentale»

Mohamed Luali Akeik (El Ouali Akeik), capo di stato maggiore generale dell’Esercito di Liberazione del Sahara (ELPS, l’organizzazione separatista che ha la propria base principale a Tindouf, in Algeria), ha annunciato che la guerra con il Marocco è destinata a estendersi alle «città occupate del Sahara», cioè El Ayoun, Smara, Dajla (ex Villa Cisneros) e Bojador. Sempre secondo Luali Akeik, le operazioni delle forze sahrawi verranno effettuate da commandos, che colpiranno obiettivi marocchini «senza tuttavia attaccare i civili».

SPIRANO NUOVAMENTE VENTI DI GUERRA

Se dalle parole si passerà ai fatti ci si dovrà attendere una ripresa del conflitto perdurante dal ritiro spagnolo dalle sue colonie alla metà degli anni Settanta. Una guerra che, a tratti cova per lunghi periodi sotto le ceneri per poi, a seconda dei rapporti di forza tra i due contendenti e gli altri attori regionali e globali, divampare nuovamente per brevi intensi fuochi al calor bianco. Esprimendosi pubblicamente, il leader militare dei sahrawi ha inteso sottolineare come «la decisione di tornare alla lotta armata non escluda nessuna regione da un’altra» e che «tutti i territori saharawi permangono un obiettivo legittimo, tenendo tuttavia conto delle infrastrutture e degli insediamenti civili per non danneggiarli».

ATTACCO AL MAROCCO, MA NON COME UNA VOLTA

Egli ha poi dichiarato che «la guerra in futuro si estenderà alle città occupate dal Marocco, poiché ci sono saharawi intrisi di spirito patriottico che sono pienamente preparati a svolgere operazioni di commando all’interno delle città occupate contro obiettivi marocchini». Una minaccia da non sottovalutare, che tuttavia non andrebbe intesa nel senso proprio del «mito» delle unità dell’ELPS che nel corso della prima lunga guerra nel Sahara occidentale, quella combattuta tra il 1975 e il 1991, vide i saharawi penetrare non infrequentemente l’estesa linea difensiva marocchina. Piccole e agili formazioni motorizzate a bordo di fuoristrada Toyota e Land Rover che, modalità «mordi e fuggi», attraversati tratti desertici colpivano la fanteria di Rabat.

EL AYOUN E SMARA

Allora il braccio armato del Polisario riusciva ad aprire varchi a El Ayoun, a Smara e altrove, distruggendo le installazioni militari marocchine e ponendo a repentaglio la sicurezza delle linee di rifornimento dell’esercito di Rabat. Oggi tutto questo non è più possibile, almeno in quegli stessi termini, e i corazzati vanto dell’ELPS, a suo tempo donati dall’Algeria e da Gheddafi servono a poco contro il nuovo muro difensivo approntato dai marocchini facendo ricorso alle migliori tecnologie disponibili. Cosa devono dunque temere nel Regno nordafricano? Azioni di tipo terroristico probabilmente, almeno queste sono le conclusioni dell’intelligence. Una conclusione alla quale sarebbero pervenute anche associazioni come quella saharawi per la difesa dei diritti umani (ASADEH) o il Saharawi Canary Forum, che hanno condannato l’intenzione del Polisario di attaccare le città con operazioni di commando, affermando che si tratta di «una scusa per commettere azioni di natura terroristica».

MODELLO ALGERINO E RIFIUTO DELLA FRANCIA

Nel suo discorso, Luali Akeik ha avuto anche modo di criticare la Francia, lo ha fatto prendendo le mosse da un argomento retorico inossidabile: la vittoria algerina nella guerra di indipendenza da Parigi. Al riguardo va ricordato che il Polisario e la sua struttura militare sono strettamente dipendenti da Algeri, che gioca un ruolo fondamentale nell’area anche in ragione dei suoi attriti con Rabat. Luali Akeik ha affermato che «la rivoluzione algerina è presente nella mente dei combattenti Saharawi e dalla parte dei popoli che cercano la libertà», questo in una fase nella quale «la Francia, che sta vivendo un’ondata di rifiuto ed emarginazione senza precedenti in Africa, continua a manipolare la sicurezza della regione, resistendo alle iniziative degli inviati dell’Onu e ponendo ostacoli a qualsiasi soluzione diversa dalla proposta di autonomia».

DICHIARAZIONI BELLICISTE

«Non ci sarà un nuovo cessate il fuoco – ha concluso il leader dell’ELPS -, poiché ventinove anni di cessate il fuoco hanno fatto perdere ai Saharawi la fiducia nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu e nella comunità internazionale». Nel criticare duramente le posizioni espresse dall’ELPS e prendendone immediatamente le distanze, ASADEH ha inteso ricordare come Luali Akeik nel 1975 fosse stato condannato dalla Giustizia spagnola per aver sabotato attraverso attentati dinamitardi dei centri industriali per la produzione di fosfati nel Sahara occidentale. Inoltre, a poche settimane dalla sua nomina al vertice dell’esercito sahrawi, avvenuta nel novembre 2021, mediante alcune dichiarazioni rilasciate a un quotidiano britannico aveva fatto rientrare nel novero dei potenziali obiettivi dell’esercito sahrawi «le società e i consolati, le compagnie aeree e gli altri settori nel Sahara occidentale».

L’ALLARME DELLE AGENZIE DI INTELLIGENCE

Una minaccia ritenuta credibile dai Paesi occidentali, che hanno inserito numerosi esponenti del Polisario nelle loro liste di terroristi ricercati. Come ad esempio Adnan Abou Walid al-Sahrawi, responsabile di Islamic State nel Grande Sahara (EIGS), eliminato l’anno scorso dalle forze speciali francesi, sul cui capo pendeva una taglia di cinque milioni di dollari del Dipartimento di Stato americano. Una zona estremamente problematica quella sita a cavallo tra Algeria e Sahel, dove negli anni ha attecchito una variante del terrorismo jihadista africano. Qualcosa che, a seconda di alcuni analisti, avrebbe influenzato anche le pratiche di lotta di alcuni elementi apicali del Fronte Polisario, che nel 2020 in un video girato nei campi profughi di Tindouf e successivamente diffuso sui social, esortavano al martirio per colpire obiettivi marocchini.

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