di Rosa Filippini, pubblicato il 18 maggio 2022 su “l’Astrolabio”, newsletter degli Amici della Terra, http://astrolabio.amicidellaterra.it/node/2688– Lo so che non è trendy dire «Noi l’avevamo detto!». Mi accorgo ora che, scrivendo questo editoriale con l’obiettivo di sintetizzare le ragioni in favore del termovalorizzatore per Roma, ho inserito un gran numero di link a posizioni, iniziative e commenti (nemmeno tutti quelli espressi!) che gli Amici della Terra hanno avanzato per anni sulla gestione dei rifiuti a Roma, apparentemente inascoltati e isolati. Perdonatemi. Sarà certamente una botta di autocompiacimento senile. L’impressione, vivendo a Roma, è che la maggioranza dei miei concittadini abbia accolto la decisione del sindaco Gualtieri di realizzare un termovalorizzatore, con un sospiro di sollievo. Che abbia colto il nesso che c’è fra l’assenza di un impianto di smaltimento adeguato alle dimensioni della Capitale e l’emergenza endemica legata alla raccolta dei rifiuti. La brava assessora Sabrina Alfonsi, che ha predisposto il quadro di azioni e decisioni in cui collocare questa scelta e che si sta rendendo disponibile agli incontri e ai confronti, anche con i contrari, dice che è la prima volta che la gente la ferma per la strada per dirle di andare avanti e di non mollare. Ce n’è voluto, si dirà. Quasi venti anni, da quando la discarica di Malagrotta si annunciava esausta e dieci da quando Roma è rimasta priva di un proprio sistema di smaltimento finale. Con tutto il carico di problemi gravi e gravissimi che le emergenze ricorrenti si sono portate dietro, come i cinghiali con la peste suina, i topi e i rischi per l’igiene nelle strade, le tariffe più alte d’Italia, l’export dei rifiuti, le emissioni inquinanti dei trasporti e delle discariche occupate in tutta Italia, l’assenza del decoro minimo che si deve ad una città che si fregia dell’appellativo di “eterna” e che ogni anno, ospita 26.000.000 circa di turisti da tutta Italia e da tutto il mondo.
SÌ, CE N’È VOLUTO
Ma non è che i romani siano particolarmente tardi di comprendonio. Agli operatori, ai politici, al governo, agli esperti è da sempre chiaro che l’amministrazione e l’azienda incaricata, dovendo impegnare tutte le risorse finanziarie e operative a trovare una collocazione ai rifiuti raccolti giorno per giorno, (in un anno un milione e settecentomila tonnellate, non briciole), non è in grado di organizzare una raccolta differenziata efficiente, né di garantire lo spazzamento delle strade o la pulizia dei cassonetti e delle aree di deposito. Ma, se per paura del dibattito, la politica rinuncia ad affrontare l’argomento e a indicare le soluzioni e si rifugia nelle formule generiche e finto-eco-competenti; se cerca di lucrare sulle paure additando di volta in volta il colpevole nella giunta precedente; se poi l’informazione rinuncia a chiedere, a capire, a spiegare, perché meravigliarsi se, anche fra i cittadini, finiscono per prevalere i comportamenti egoisti e irresponsabili?
DANNI AMBIENTALI PROVOCATI DA UN TABÙ
Da quasi trent’anni, l’argomento termovalorizzatore dei rifiuti è stato un tabù in tutta Italia, particolarmente nelle amministrazioni locali, in ossequio a un malinteso ambientalismo (che ha prevalso in tutti i partiti e nella classe dirigente, con poche eccezioni), nemico delle tecnologie e dell’industria, che pretende di trattare i rifiuti delle metropoli come se avessero le stesse dimensioni e caratteristiche di quelli dei piccoli borghi o delle società contadine arcaiche. Quel tipo di ambientalismo che, in ogni occasione, ha preferito fomentare rivolte e paure e agitare ideologie anziché confrontarsi con la realtà. In tutta Italia, il tabù. Solo che, nelle regioni più avanzate (Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte, parzialmente il Nord Est) dopo le prime crisi emergenziali, un assetto industriale e tecnologico forte e un sistema politico capace di pragmatismo hanno potuto realizzare soluzioni adeguate e apprezzate dalla generalità dei cittadini. Grazie a una rete di termovalorizzatori, queste regioni hanno potuto chiudere il ciclo dei rifiuti urbani in autonomia e in prossimità, raggiungendo presto risultati e performances ambientali superiori alle medie europee. I dati dell’Agenzia europea dell’ambiente lo documentano da tempo, smentendo la leggenda che la scelta dei termovalorizzatori deprimerebbe il riciclo e il recupero: è vero il contrario. Anche questo, gli Amici della Terra hanno cercato di dirlo forte, nel corso degli anni, insieme alla denuncia del divario che – a causa del persistente tabù, si andava creando fra le regioni del Nord e quelle del Centro Sud. Infatti, in queste ultime, per un po’ ha prosperato l’imprenditoria minore delle discariche, il Governatore Musumeci dice che cinque anni fa, in Sicilia, ce n’erano ancora più di cinquecento, purtroppo, non solo quelle legali. Poi, col ripetersi delle emergenze, le discariche sono state quasi tutte esaurite e, in assenza di termovalorizzatori, i rifiuti hanno preso la via dell’export, nelle discariche e nei termovalorizzatori delle altre regioni o degli altri paesi europei. Una strada poco onorevole e molto onerosa per i cittadini che pagano le tariffe più alte a fronte di servizi scadenti e di risultati ambientali scarsi. L’emergenza napoletana è stata emblematica delle crisi dei rifiuti nel mezzogiorno. Ancora oggi, Napoli ne porta i segni con le ecoballe accumulate in quegli anni e mai smaltite, ma un fatto è chiaro: il termovalorizzatore di Acerra si è rivelato indispensabile e la sua gestione, negli anni, eccellente, nonostante le accuse infinite e pretestuose. Senza di esso, Napoli sarebbe ancora sommersa dai rifiuti quotidiani.
TRA DEMAGOGIA E DISASTRI
Per ciò che riguarda Roma, i dati della gestione dei rifiuti parlavano già chiaro nel 2005. Come Amici della Terra confrontavamo le esperienze delle crisi dei rifiuti di Napoli e di Milano che, all’epoca, avevano avuto esiti opposti. Nel corso degli anni, abbiamo continuato a insistere sulle analisi dei dati, sui diagrammi dei flussi dei rifiuti, un esercizio che, l’informazione cittadina non ha mai preso in considerazione. “Troppo tecnico” ci dicevano. Così la scelta generale della politica e dell’informazione fu quella di non approfondire troppo il problema, preferendo gettare discredito sul proprietario della discarica di Malagrotta, in modo un po’ populista, piuttosto che illustrare le alternative praticabili alla discarica, per chiudere il ciclo dei rifiuti. Insomma, invece di trovare soluzioni, di protesta in protesta, è arrivato il governo della Raggi che, occorre sottolinearlo, almeno su questo argomento, non è colpevole di tutti i disastri, di tutti i rinvii e di tutte le omissioni, ma solo di quelli degli ultimi cinque anni. Certo, con qualche teoria grottesca di troppo, condivisa d’altra parte con la Giunta regionale del Lazio e con i governi giallo verdi e giallo rossi, come quella di volerci convincere che i trattamenti meccanici biologici (TMB) siano tecnologie risolutive per il ciclo dei rifiuti. Non che sia mancato qualche disastro materiale vero e proprio in questo lungo periodo di inerzia e di omissioni, dall’incendio all’impianto Ama nel quartiere Salario a quello del deposito di plastiche di Pomezia, tutti riconducibili alle gestioni in perenne affanno dei rifiuti di Roma e della sua area metropolitana. Ed è incredibile che, dalla memoria di simili “incidenti”, il Sindaco di Pomezia (il comune dell’area metropolitana che confinerebbe con il sito dell’impianto) non sia in grado di trarre alcuna conclusione razionale visto che giudica la scelta dell’inceneritore una “tecnologia ormai vecchia e anacronistica”. Come se il rischio di roghi “en plein air” non avesse già minacciato il suo territorio e la salute dei suoi abitanti in modo primitivo e gravissimo.
DAJE!
E, tuttavia, l’accusa di “tecnologia obsoleta”, ricorre nelle dichiarazioni dei contrari al termovalorizzatore che ancora pensano di poter lucrare consensi sulla paura. Accusa paradossale per impianti che utilizzano le tecnologie più evolute e performanti in assoluto dal punto di vista ambientale, le più efficienti e controllate che esistano in Italia. Ora si tratta di capire se, anche grazie alla collaborazione del Governo, la Giunta Gualtieri riuscirà ad arrivare in fondo a questo progetto. Se sarà sostenuta a sufficienza dalla pubblica opinione per non farsi stoppare da chi “non vorrebbe far crescere i propri figli vicino a un inceneritore” ma, in questi anni ha costretto noi tutti e i nostri figli a vivere vicino a cassonetti lerci. O da chi inventa presunte contrarietà europee tralasciando le numerose condanne che proprio l’Unione Europea ha comminato al nostro paese per l’eccessivo uso di discariche, particolarmente nel Lazio. Altro che tecnologia obsoleta. Roma ha ora la possibilità di recuperare un ritardo di trenta anni rispetto alle prescrizioni europee di chiudere il ciclo dei rifiuti anche tramite il recupero di energia e riservando al trasporto dei rifiuti e alla discarica un ruolo residuale. E ha risorse e capacità per farlo nel modo migliore, magari con uno sforzo di fantasia e di innovazione. Anche per questo, molti di noi sono felici di collaborare al primo Comitato per il Sì. Daje!