Tre cittadini italiani e un togolese sono stati sequestrati nel villaggio di Sincina, nella regione maliana di Sikasso, località sita a 270 chilometri a sudest della capitale Bamako, non lontana dalla frontiera con il Burkina Faso, zona finora considerata non particolarmente pericolosa nella quale, tuttavia, risultano attive formazioni armate jihadiste e bande criminali.
SEQUESTRO DI ITALIANI IN MALI
Si tratta dei componenti di una famiglia: Rocco Antonio Langone, (64 anni, di Potenza), sua moglie Maria Donata Caivano (62 anni, di Ruoti), e il loro figlio quarantatreenne Giovanni. La famiglia rapita, che vive nel Paese africano da anni quale parte di un gruppo di testimoni di Geova, sarebbe stata sequestrata da un gruppo di quattro persone giunto sul posto a bordo di un fuoristrada Toyota. Sulla base delle prime ricostruzioni effettuate si giunge e ritenere che i responsabili dell’azione possano essere i terroristi qaedisti del JNIM, Jama’at Nasr al-Islam wal Muslimin o Gruppo d’appoggio all’Islam e i Musulmani. La Farnesina ha reso noto nel pomeriggio che è stata prontamente attivata l’unità di crisi, che attualmente sta effettuando le necessarie verifiche e gli accertamenti del caso, mentre il ministro degli Esteri Luigi Di Maio sta seguendo in prima persona l’evolversi della vicenda.
IL JNIM E IL MODELLO NIGERIANO
Ad avviso di Edoardo Baldaro, ricercatore presso l’Université Libre di Bruxelles e autore del saggio “Jihad in Africa, terrorismo e controterrorismo nel Sahel” (edito da Il Mulino), intervistato quest’oggi dall’agenzia stampa ADN Kronos, prove di forza come queste vengono esercitate dal JNIM per ottenere in una successiva soluzione negoziale del conflitto «l’applicazione per il Mali di un nuovo ordinamento costituzionale sul modello di quello nigeriano, dove ci sono diverse regioni autonome che scelgono quale diritto civile applicare». Un sequestro di persona, dunque, che sarebbe stato portato a termine in un quadro caratterizzato dalla narrativa jihadista e dalle agende più propriamente locali.
NARRATIVA JIHADISTA E AGENDE LOCALI
«Quindi – conclude Baldaro -, per il JNIM strangolare Bamako significa forzare per i negoziati, cosa che il governo attuale non intende fare, oppure dare avvio a una operazione “stile Talebani”, che non hanno preso solo il potere con le armi, ma avviato negoziati per imporre nuovi equilibri politici». Uno scenario desolante, insomma, afflitto da perenni turbolenze e frequenti colpi di stato, reali e presunti, come quello denunciato dalla giunta militare golpista al potere nello stesso Mali, che sarebbe stato tentato mercoledì scorso si suoi danni per iniziativa «di un paese occidentale».
Un argomento trattato lo scorso martedì 17 maggio dalla Rappresentante speciale dell’Unione Europea per il Sahel, Emanuela Claudia Del Re, nel corso di un incontro organizzato a Roma dalla Konrad Adenauer Stiftung Italia (KAS), think tank politico tedesco vicino al partito dell’Unione cristiano democratica (CDU), evento la cui registrazione audio integrale effettuata da insidertrend.it è disponibile di seguito (A444).
SAHEL «FRONTIERA MERIDIONALE» D’EUROPA
«Una regione che assume una rilevanza strategica estrema – ha dichiarato la Del Re in occasione del suo intervento al KAS -, poiché il Sahel è la frontiera meridionale d’Europa, tuttavia, nel complesso delle attuale dinamiche globali esso rischia di venire sottovalutato». Ma quelle medesime dinamiche, accentuate dal conflitto in Ucraina, si stanno riflettendo velocemente sull’Africa, in particolare sul Sahel, territorio piagato da criticità di diversa natura, quali la povertà, il clima, l’insicurezza generata da guerre e terrorismo, l’esplosione demografica e, non ultimo, la carenza di governance. «Malgrado tutto questo la società civile è egualmente molto attiva – ha sottolineato la Rappresentante speciale dell’UE – e la governance, unitamente agli aspetti civili, al momento costituiscono i dossier più rilevanti e “caldi” per Bruxelles».
UNO SCENARIO CARATTERIZZATO DA CRITICITÀ
In uno scenario che vede la presenza attiva (e destabilizzante) di attori come la Russia, oltreché di Turchia e Cina Popolare, l’Unione Europea permane un partner naturale dei saheliani. «Molte risorse economiche si rendono disponibili per interventi umanitari nella regione – ha aggiunto la Del Re -, fino a 150 miliardi, tuttavia, marcate criticità si frappongono al buon esito di eventuali interventi». E, al riguardo va rilevato come, a fronte di una situazione già estremamente critica di per sé, il conflitto in ucraina stia acuendo pericolosamente la preesistente crisi alimentare che colpisce le popolazioni locali. Il Sahel chiede sempre più assistenza militare in una fase di “accelerazione della storia” che vede le giovani generazioni latrici di istanze ineludibili che presuppongono delle risposte ai bisogni fondamentali.