Dapprima le baraccopoli vennero tirate su dagli sfollati del tempo di guerra, anche al Tiburtino e all’adiacente Prenestino, zone dell’allora periferia della Capitale, che in quel quadrante della città già da poco dopo la collina di Piazza Bologna divenivano campagna, con tanto di pecore al pascolo dopo la ferrovia e la Stazione Tiburtina e alcune borgate governatoriali affiancate poi dalle case popolari IACP.
BARACCHE E BARACCATI
Baraccopoli che sono rimaste in piedi per decenni, immortalate non infrequentemente dalla cinematografia del dopoguerra, sia quella di qualità che quella minore, come “I giorni contati”, film girato da Elio Petri nel 1961 a Portonaccio e al Prenestino. Baraccopoli che venivano addirittura lottizzate e i cui lotti compravenduti, come sul vasto terreno sopra Largo Preneste, di fronte alla bombardata Snia Viscosa, che in seguito sarebbe stato trasformato in campi di calcio, quelli del Pro Roma e del Roma 6. Baraccopoli poi «abitate» da una diversa categoria di baraccati, quella dei meridionali emigrati a Roma negli anni Cinquanta e Sessanta, rimasti in quegli ammassi di blocchi di tufo e lamiere ondulate rimediate chissà dove per tutti gli anni Settanta, fino a quando quei disgraziati quartieri non vennero risanati.
LA STRATIFICAZIONE MIGRATORIA
Le baraccopoli di ieri e di oggi testimoniano la stratificazione del fenomeno migratorio nella Capitale, che ormai da almeno vent’anni registra un abitare «informale» fatto di tendopoli occultate alla meno peggio dietro cespugli e scarpate ferroviarie, occupazioni abusive di immobili e locazioni di appartamenti a smisurate masse di affittuari coabitanti. Tuttavia, l’immigrazione a Roma è anche integrazione ed esistenze sensibilmente migliorate, vecchie e nuove generazioni che, pur tra mille difficoltà, trovano in diversa misura una loro strada, a volte anche con successo. Ebbene, lo scorso 5 maggio alla biblioteca comunale di Tiburtino III, ricavata dalla Vaccheria Nardi in Via di Grotta Perfetta al Tiburtino, è stato ricostruito il percorso storico che ha preso il suo avvio dalle migrazioni interne per giungere a quelle attuali che vedono protagonisti cittadini stranieri, un progetto per la conoscenza e disseminazione scientifica di un fenomeno che interessa tutti i quartieri della Capitale.
DOPOGUERRA: UNO SVILUPPO IN TRE FASI
La fisionomia sociale di questi luoghi è mutata più volte e da tempo, non soltanto per effetto dell’espansione urbana. Nel secondo dopoguerra la ricostruzione segua un ciclo articolato in tre distinte fasi: dalle borgate – insediamenti ultrapopolari allora al di fuori dell’abitato urbano, espressione dei bisogni di natura abitativa emergenziali -, si passa al ciclo INA Casa, col Piano Fanfani (1949-63) – che risponde invece alle esigenze sia alloggiative che occupazionali (è la fase del cosiddetto boom edilizio) -, per giungere infine alla terza fase, quella dei piani di zona, caratterizzata dal varo della Legge 167 nel 1967 e da quella per la casa nel 1971. In quegli stessi anni a Roma venne varato un piano di edilizia economica e popolare che incluse anche la riqualificazione del quartiere Tiburtino III. Nel frattempo, con l’edificazione nella zona dei Colli Anieni si verificò un accesso di massa alla proprietà delle case di abitazione grazie al ricorso allo strumento della cooperativa.
IL QUADRANTE ORIENTALE E LA SUA VOCAZIONE PRODUTTIVA
L’incontro che ha avuto luogo alla Vaccheria Nardi si colloca nel quadro del progetto di analisi delle dinamiche migratorie che hanno interessato un territorio composito come quello romano, in particolare del suo quadrante orientale, caratterizzato dalla sua vocazione produttiva, manifatturiera e industriale, il cui progetto di sviluppo risale al 1941. Infatti, furono proprio le tre strade consolari Tiburtina, Prenestina e Casilina a delimitare i territori a quel tempo di campagna che vennero individuati dal pianificatore ai fini della realizzazione di zone industriali quali quella delle Grotte Celoni o di Tor Sapienza. Qualcosa che sarebbe divenuta un vero e proprio tessuto industriale, al pari di quei centri urbani «fordisti» dell’Italia settentrionale.
IL SOGNO DELLA TIBURTINA VALLEY
Poi ci fu la guerra con le sue distruzioni e i suoi lutti, quindi la rinascita del Paese e con lui anche del Tiburtino. Tutt’intorno, i finanziamenti della Cassa per il Mezzogiorno consentirono alla provincia di Roma di divenire la terza per industrializzazione in Italia, il Comune di Roma non rientrava nei territori suoi beneficiari, ma i comuni confinanti (come ad esempio Pomezia) sì. Sorse la Tiburtina Valley, con le sue eccellenze nel settore dell’elettronica e dell’elettromeccanica, e sorsero pure stabilimenti industriali che poi, però, chiusero lascando una ferita aperta nel territorio, come quello chimico-farmaceutico di Via Tiburtina prima di San Basilio, oggi struttura diroccata e non bonificata dove hanno trovato un tetto decine di immigrati.
FARE I CONTI CON I NUMERI
Il IV Municipio di Roma Capitale oggi è un’area enorme e intensamente antropizzata. Negli ultimi quindici anni la popolazione della città ha registrato un incremento giungendo quasi tre milioni di abitanti. Tuttavia, la crescita esponenziale è stata quella degli stranieri, poiché gli immigrati costituiscono il 13% della popolazione complessiva a fronte di una media nazionale pari all’8% (lo stesso numero di abitanti di Firenze) e, nel periodo di tempo considerato, hanno apportato un incremento in termini demografici del 73 per cento. Nel IV Municipio, 170.000 abitanti (come Reggio Emilia), pari al 6% della popolazione complessiva di Roma, gli stranieri sono il 17% del totale, non pochi tra loro nel tempo si sono naturalizzati ottenendo la cittadinanza italiana. Oltre 130 le nazionalità presenti, con la comunità rumena (3.000 persone) che è quella più corposa, seguita da quelle di Bangladesh,, Filippine e Perù; la componente maggioritaria di stranieri classificata per continente di provenienza è quella europea (45%), seguita da quella asiatica (30%) e da quella africana (14%).
L’INCONTRO E LA NARRAZIONE ALLA VACCHERIA NARDI
Nel lungo incontro alla Vaccheria Nardi tutto questo è stato ripercorso in chiave storica, economica e sociologica, un patrimonio di conoscenze oltremodo arricchito dalle testimonianze rese dai nuovi italiani, immigrati integrati che hanno raccontato la loro storia, rendendo tutti partecipi delle proprie impressioni e della loro grande voglia di restare in questa loro città. Al termine degli interventi è stato proiettato il documentario “Albino e Mirko”, di Giovanni Lupi e Roberto Campili, storia di Albino Bernardini, insegnante che ebbe la cattedra in una scuola elementare di Pietralata negli anni Sessanta, allora «quartiere di frontiera», e di Mirko Macina, volontario presso il centro Fata Morgana di Tor del Schiavi.
Di seguito è possibile ascoltare la registrazione audio integrale di “150 anni di immigrazioni a Roma capitale: Tiburtino e dintorni” (A435)