Il Documento di economia e finanza (Def) reso noto nei giorni scorsi dal Governo Draghi, rivede al ribasso le prospettive di crescita dell’economia italiana rispetto a quanto precedentemente indicato nella Nadef (Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza) della fine del settembre 2021. In esso figurano diversi scenari di rischio, primi tra i quali il blocco delle importazioni di materie prime energetiche dalla Russia e la conseguente impossibilità di soddisfare il fabbisogno nazionale espresso dalle imprese italiane. Ci si attende dunque degli effetti particolarmente negativi sulla crescita del prodotto interno lordo reale, rispetto al quale si ritiene che si contragga intorno ai due punti percentuali. L’argomento è stato discusso dal professor Mario Baldassarri (già viceministro dell’Economia e attualmente presidente del Centro studi economia reale) nel corso della trasmissione di approfondimento “Capire per conoscere”, condotta dal giornalista Claudio Landi e andata in onda sulle frequenze di Radio Radicale lunedì 11 aprile 2022.
UN DEF FRAGILE E POCO CREDIBILE
Ad avviso di Baldassarri «il Def parte da un punto di appoggio estremamente fragile e poco credibile, poiché prevede una crescita tendenziale pari al 2,9% per l’anno in corso. Su questa base, nonostante le cifre siano state giustamente corrette rispetto alle precedenti previsioni, l’impatto della politica economica è modesto, infatti inciderebbe soltanto di uno 0,2% su un obiettivo di crescita programmatica fissato al 3,1%, mentre di conseguenza risultano modeste anche le risorse disponibili per effettuare questa operazione, che saranno cinque miliardi di euro». La grande crescita avvenuta l’anno scorso ha determinato un effetto trascinamento del 2,3% nei primi mesi del 2022. Ora, se per tutto il corso dell’anno il Pil si mantenesse al livello dell’ultimo trimestre del 2021, il tasso di crescita sarebbe quello indicato, tuttavia, già nel primo trimestre del 2022 si attesta allo 0,5, mentre nel secondo, causa l’enorme impatto del conflitto ucraino, si stima scenderà a livello negativo, con un -1 per cento.
AUSPICANDO LA RIPRESA
«Con questo andamento – commenta Baldassarri -, nonostante si speri che nel terzo e quarto trimestre si manifestino segnali di ripresa, è francamente difficile andare oltre l’1,9% previsto dal Centro Studi Confindustria, perché nella fondata ipotesi che i prezzi dell’energia permangano a questi elevati livelli fino alla fine dell’anno la crescita si attesterebbe addirittura all’1,3 per cento. A quel punto, la modesta politica economica del Governo, che allo scopo stanzia risorse soltanto pari a cinque miliardi si configura assolutamente insufficiente». Egli ha quindi affermato l’urgenza di un intervento in sostegno dei redditi di famiglie e imprese proprio allo scopo di evitare di precipitare in quella forbice tra l’1,9 e l’1,3% per cento. Negli auspici del Governo Draghi, in primo luogo del Presidente del Consiglio dei ministri, gli auspici che guidano le scelte in politica economica sono quelli che la guerra finisca presto, che non si verifichi una ripresa del Covid e che i pressi delle materie prime energetiche scendano a partire dal prossimo mese di giugno.
SCENARI ALTERNATIVI E PIÙ PESSIMISTICI
«Non è un caso – sottolinea a questo punto Baldassarri – che nel Def si prospettino anche scenari più pessimistici che vedono il tasso di crescita tendenziale poso sopra l’1 per cento. Il problema è proprio questo: si è preso a riferimento lo scenario tendenziale maggiormente ottimistico, ma al medesimo tempo anche più fragile, pur affermando che potrebbero però concretizzarsi scenari diversi e più pessimistici e, purtroppo, molto più concreti». Perché? In questa difficile fase Mario Draghi non è intenzionato a procedere a un ulteriore scostamento di bilancio, che porrebbe in pericolo gli equilibri finanziari pubblici del Paese, ma, a questo punto l’alternativa migliore è quella di partire da un tendenziale alto. «Al momento c’è una confusione enorme tra chi chiede manovre più forti che comportano uno scostamento di bilancio, cioè più deficit e più debito, e la realtà che non esclude si possano fare manovre forti valutando seriamente come vengono allocati i 900 miliardi di euro di spesa pubblica di quest’anno».
RICONSIDERARE LE VOCI DI SPESA
Aggiunge Baldassarri che «mentre nel Def si proietta una politica economica limitata a quei 5 miliardi disponibili, si continueranno a erogare 55 miliardi a fondo perduto e 80 di tax expenditure. Non si tratta di fare la solita manfrina sulla spending review che poi alla fine non si fa o si farebbe tra dieci anni, bensì di considerare voci di spesa quali i fondi perduti in conto corrente e in conto capitale, dove sappiamo si nascondono anche finanziamenti dei quali in alcuni casi beneficiano delle organizzazioni criminali Una questione di fondo che non è tecnica ma politica».