«L’Italia dovrebbe mettere di più sul piatto: i miliardi previsti dal “Decreto Rilancio” basteranno per qualche mese, ma non certo per un anno no» (…) «La burocrazia asfissiante è un giogo dal quale ci si dovrebbe liberare» (…) «Siamo vicini al punto di rottura sociale, e non solo in Francia» (…) ecco, sono tutte frasi pronunciate da Jean-Paul Fitoussi, l’economista francese scomparso questa notte a Parigi, avrebbe compiuto ottanta anni il prossimo 19 agosto.
CRITICO NEI CONFRONTI DEI DOGMATISMI
Le sue analisti della realtà si sono contraddistinte per le critiche nei confronti dei dogmatismi in campo economico, infatti, fu sempre attento alle ricadute sociali delle politiche di bilancio, spesso estremamente negative a causa delle eccessive rigidità che hanno caratterizzato le crisi e che si sono succedute a partire dal crac di Lehman Brothers. Fitoussi credeva nell’Europa ed era molto vicino all’Italia, paese che ha frequentato assiduamente nel corso della sua vita e del quale parlava perfettamente la lingua. Era nato in Tunisia, a La Goulette, località costiera sita a pochi chilometri da Tunisi. Numerosi sono stati gli incarichi attribuitigli da diverse università e da istituti di ricerca internazionali. È stato docente all’istituto di studi politici di Parigi Sciences Po dal 1982 e dal 1989 e ha inoltre presieduto l’osservatorio francese sulle congiunture economiche (OFCE).
UNA VITA DENSA DI STUDIO
Dal 1990 al 1993 ha contribuito alla creazione e allo sviluppo della BERS, è stato quindi membro del consiglio scientifico dell’Istituto Francois Mitterrand, presidente del consiglio scientifico dell’IEp-Institut d’E’tudes politiques di Parigi dal 1997 e membro di quello di analisi economica del primo ministro francese. Molto legato all’Italia, fu docente di International Economics e Introduction to the Economics of European Integration presso la LUISS di Roma, facendo inoltre parte del consiglio di amministrazione di Telecom Italia e del consiglio di sorveglianza di Banca Intesa Sanpaolo. I suoi lavori prendono in esame, tra l’altro, le teorie dell’inflazione, la disoccupazione, le economie aperte e il ruolo delle politiche macroeconomiche. È stato un critico della rigidità nelle politiche di bilancio e di economia monetaria, per gli effetti negativi sulla crescita dell’economia e sui livelli di occupazione.
I BISOGNI DELLA GENTE
Tra i suoi libri più noti ‘Il teorema del lampione’, dove esaminava quanto successo nel 2007-2008, quando erano entrate in crisi la teoria economica, le banche, la finanza mondiale, il debito sovrano. Causa di questa situazione, sosteneva Fitoussi, era anche l’irragionevolezza di voler affrontare l’avvenire cercando soluzioni solo sotto il ‘cono di luce’ che ci giunge dal passato, come l’ubriaco che cerca le chiavi non dove le ha perdute ma dove c’è la luce del lampione. «Le teorie economiche sono falsificate dai fatti – affermava – e le nostre politiche non riescono più a rendere conto della realtà né a rispondere ai bisogni della gente». Assieme ai premi Nobel Joseph Stiglitz e Amartya Sen aveva redatto un documento sul prodotto interno lordo (Pil), definito «la misura sbagliata delle nostre vite», poiché ritenuto non più affidabile quale indicatore economico.
INADEGUATEZZA DEL PIL COSÌ COME È OGGI
«Il prodotto interno lordo – affermava Fitoussi – sarebbe una misura economica utile se riuscisse almeno a rendere l’idea della distribuzione della ricchezza di una nazione. Però esso può avere segno positivo anche quando l’80% della ricchezza va all’1% della popolazione: ma quella non è una nazione ricca, perché un’economia può essere definita in espansione solo quando l’aumento del benessere è distribuito tra la maggioranza della popolazione. È una delle tante misurazioni imperfette della contabilità nazionale che non sono tarate sull’appartenenza a una determinata categoria di reddito. Potrei citare allo stesso modo l’inflazione, che è maggiore per chi ha un reddito basso, perché gran parte di esso è assorbito dall’acquisto di beni alimentari, di benzina e negli affitti. Tutte spese vincolanti e caratterizzate da alta inflazione. Per chi è ricco, invece, queste spese rappresentano una porzione irrilevante del reddito».