CINA POPOLARE, strategie. Asia e Pacifico: la sottile linea rossa di Pechino

Il Partito comunista cinese ha da sempre (indipendentemente da quale governo stesse tenendo le redini della Repubblica di Cina – Taiwan) sostenuto la necessità di annettere l’isola facendo forza sul principio “Una sola Cina”, poiché Formosa è considerata da Pechino una provincia ribelle. Intanto Nancy Pelosi, guarita dal Covid, si è recata a Taiwan

a cura di Giuseppe Morabito, generale in ausiliaria dell’Esercito italiano e membro della NATO Defence College Foundation – Il Partito comunista cinese (Pcc) ha da sempre (indipendentemente da quale governo stesse tenendo le redini della Repubblica di Cina – Taiwan) sostenuto la necessità di annettere l’isola facendo forza sul principio “Una sola Cina”, poiché Formosa è considerata da Pechino una provincia ribelle. I giovani cinesi della madre patria continentale sanno che dovranno combattere (e morire) per convincere i ribelli a divenire parte di quella formula che prevede un Paese e due sistemi. Formula che vedrebbe il governo democratico di Taipei arrendersi a Pechino e consentirebbe, a similitudine dell’odierna realtà che si vive a Hong Kong, di trasformare la «provincia» in un’isola occupata e amministrata con le regole del regime comunista.

TAIWAN «NON ESISTE»

Al momento, per fortuna, a Taipei c’è la certezza che chiunque al governo accettasse la teoria di Pechino sarebbe visto come un traditore della Patria e sarebbe costretto alle dimissioni. I taiwanesi si sentono parte di un paese indipendente che non è (e non vorrebbe essere) controllato di un regime comunista e la stragrande maggioranza dei taiwanesi pensa tuttora che Cina Popolare e Taiwan rappresentano due differenti paesi. Molti di loro sarebbero anche pronti a dichiarare l’indipendenza formale anche a rischio di un attacco distruttivo sia missilistico sia di occupazione da Pechino. La posizione della Cina Popolare rimane sempre la stessa, cioè che la Repubblica di Cina – Taiwan non esiste da quando ha perso la guerra civile nel 1949 e ha quindi cessato di essere uno stato sovrano.

DETERRENZA E INTIMIDAZIONE

Negli anni è apparso evidente come per Pechino l’obiettivo non sia quello di mantenere lo status quo e l’armonia ma solamente l’annessione dell’isola a qualsiasi costo. Il Pcc ha continuato, ideologicamente, durante le sue riunioni oceaniche a dare mandato al governo di usare le maniere forti, sia mantenendo la minaccia missilistica verso l’isola, sia investendo in modo importante nello strumento militare, a ribadire, come se ce ne fosse bisogno, che i principi guida della politica nello Stretto sono due: deterrenza e intimidazione. Molti analisti ritengono che, più i governi di Taipei cercheranno di ridurre la tensione con Pechino e più la Cina Popolare insisterà per avere l’isola sotto il proprio controllo. Tuttavia, l’esempio fornito da Hong Kong e dal disconoscimento dei diritti umani e della democrazia nelle città stato indica ai taiwanesi che la speranza nel caso di riunione che ci possa essere spazio per l’autodeterminazione non esiste.

OCCHI PUNTATI SULLA RUSSIA

Ora l’attenzione del mondo è concentrata sulla Russia, sulla possibile fine del conflitto e sullo sfruttamento immediato e futuro delle risorse energetiche di quel paese, nonché sull’imminente crisi per la carenza sul mercato dei cereali ucraini e russi bloccati dalla guerra e dalle varie sanzioni. La filiera alimentare mondiale inizia a mostrare i primi segnali di crisi  in quanto in Ucraina non si svuotano i magazzini, non si consegna, non si semina e non si raccoglie e dalla Russia ci sono problemi nell’assicurare le consegne all’estero. La Cina Popolare, a breve, potrebbe organizzarsi per divenire il primo cliente energetico e alimentare di Mosca. Nel frattempo Pechino sembrerebbe essere interessata ad ampliare il suo arsenale nucleare per usarlo in funzione deterrente in caso di guerra mondiale o, meglio, in chiave anti-americana (lo rivelano le foto satellitari).

LESSONS LEARNED

Pechino ha elaborato la sua strategia anche avvalendosi delle lezione imparate dal conflitto russo. Infatti, a compreso bene che se si è in grado di costituire una minaccia nucleare credibile si riesce a permanere nell’ambito della guerra convenzionale. In sintesi i sino-popolari hanno deciso di incrementare il loro strumento militare nucleare allo scopo di impedire a Washington un intervento nell’eventualità l’Esercito Popolare di Liberazione invadesse Taiwan. È palese il fatto che Pechino non desideri il controllo di Taiwan in ragione di mere rivendicazioni storico-ideologiche, bensì per avere il controllo dei microprocessori. Senza i microprocessori l’industria mondiale si fermerebbe e Taiwan ne è il primo produttore per quantità e qualità. Dunque, se venisse invasa e occupata dalla Cina Popolare fornirebbe a quest’ultima il controllo mondiale della produzione elettronica.

CHIPS AND MICROCHIPS

Il conflitto russo-ucraino potrebbe portare quindi a vedere Pechino assorbire, negli anni, sia la mancata vendita di gas russo ai paesi europei sia l’eccedenza alimentare di cereali prodotta sui territori governati da Mosca. Per il momento il presidente cinese XI Jinping traccia “linee rosse”, come quella che ha indicato come «non valicabile», nei giorni scorsi, in occasione della visita a Taipei della speaker del Congresso Usa Nancy Pelosi. Il ministro degli esteri di Taiwan, Joseph Wu, ha respinto l’obiezione di Pechino relativa alla visita dell’esponente americana, eccependo che «è brutto contrastare l’operato di un’icona del Congresso americano e paladina della democrazia. Meglio sarebbe se la Cina Popolare smettesse di sostenere la Russia, di minacciare Taiwan e iniziasse a liberare le persone: libertà e diritti umani hanno un buon sapore».

NANCY PELOSI IN QUARANTENA

La visita della Pelosi assumerebbe un importante significato in Occidente dato che non pochi analisti accusano Pechino di sostenere la guerra di Putin in Ucraina, mentre, contestualmente, osservatori seguono da vicino le mosse cinesi nei confronti di Taiwan, temendo che Pechino possa essere tentata di emulare Mosca imbarcandosi in una guerra d’aggressione, seppure ostinatamente sostenga che le due realtà non sono simili né comparabili. Alla fine la missione della Pelosi  è stata posticipata e il passo che ha sbloccato la controversia di natura diplomatica è stato compiuto in Cina. Già, poiché per una strana ironia della sorte la speaker del Congresso non si è potuta recare a Taipei bloccata da quel coronavirus che ha contratto anche lei, dopo che esso ha contaminato l’intero mondo a causa dell’imperizia (eufemismo) sino-popolare. Il «virus di Wuhan» o, per chi vuole evitare le accalorate reazioni ufficiali di Pechino, il CV-19.

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