MEDIO ORIENTE, vertice di Sde Boker. I partner regionali si riuniscono nell’ultima casa di Ben Gurion nel Negev

I colloqui di oggi e domani incoronano Yair Lapid, tuttavia, alle certezze di Washington corrispondono non poche insicurezze e timori dei partner mediorientali, a cominciare da Israele. Infatti, l’Iran, potenza regionale, permane iperattivo sia direttamente che per il tramite dei suoi «proxi», questo nella delicata fase che precede la possibile firma dell’accordo sul nucleare di Teheran (JCPOA), fase resa ancora più instabile dal conflitto in Ucraina. Se va male è probabile che si passerà a un riequilibrio del quadro delle alleanze

Dopo aver ricevuto l’apprezzamento del segretario di Stato americano Anthony Blinken per gli sforzi di mediazione tra Russia e Ucraina profusi dal primo ministro israeliano Naftali Bennett, nonché per non essersi prestato all’aggiramento delle sanzioni da parte di Mosca, Israele ha affrontato l’importante vertice internazionale di oggi nel kibbutz di Sde Boker, nel deserto del Negev, luogo che fu l’ultima dimora di Ben Gurion.

LE SICUREZZE DI WASHINGTON

Il conflitto divampato nell’Europa orientale e dei suoi effetti, attuali e potenziali, nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa, costituisce uno degli argomenti discussi tra i partner regionali al summit organizzato dal governo di Bennet e Lapid, che, oltre a quelli dello Stato ebraico e degli Usa, vede la partecipazione dei responsabili della diplomazia di Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco ed Egitto.

«Siamo pienamente impegnati ad ampliare la cooperazione attraverso gli Accordi di Abraham», aveva dichiarato Blinken nei giorni precedenti, ma se – come sembrerebbe essere sicuro il segretario di Stato americano -, la normalizzazione dei rapporti tra i Paesi arabi e Israele sta diventando la «nuova normalità» per la regione, tuttavia non mancano comunque di profilarsi alcune incognite in un quadro generale certamente non stabile.

E I TIMORI DI GERUSALEMME

In effetti, un vertice del genere, che per altro si tiene in un luogo altamente simbolico (Sde Boker è infatti il kibbutz dove Ben Gurion ha vissuto gli ultimi anni della sua vita una volta “fatto” lo Stato di Israele), soltanto pochi anni fa sarebbe stato inimmaginabile. Ma questo non basta a diradare le preoccupazioni di Gerusalemme, in primo luogo quelle relative all’Iran. Riguardo a quest’ultimo, ad avviso dell’amministrazione Biden il piano globale d’azione congiunto, cioè l’accordo sul nucleare di Tehran (JCPOA) resta il modo migliore per ricollocare il programma degli ayatollah nel recinto in cui si trovava», al fine di impedirgli di realizzare una propria arma atomica (sono parole dello stesso Blinken, pronunciate prima del suo incontro con il presidente israeliano Isaac Herzog a Gerusalemme).

IL CONVITATO DI PIETRA

Ma, se l’auspicio è quello che gli Accordi di Abraham continuino ad attrarre partner regionali intenzionati a normalizzare le loro relazioni con lo Stato ebraico, non si deve tuttavia omettere di rilevare come gli iraniani permangano oltremodo attivi nelle loro azioni destabilizzanti, portate a termine in maniera diretta o per il tramite dei loro proxi. Come quelli degli sciiti yemeniti Houthi contro le infrastrutture petrolifere e civili in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti. E le minacce poste dalla Repubblica Islamica, unitamente alle divergenze sul citato accordo nucleare sono i temi principali in agenda di questo summit dalla valenza storica, che per la prima volta vede incontrarsi sul suolo dello Stato ebraico governanti di Israele Usa, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Marocco.

IL VERTICE DI SDE BOKER

«Questi giorni ci ricordano che se vuoi la pace devi essere in grado di difenderla. La forza militare e diplomatica non è un ostacolo alla pace, bensì è ciò che la garantisce», così si è espresso il ministro degli esteri israeliano Yair Lapid quando ha incontrato il suo omologo statunitense a Gerusalemme. Washington ha fornito garanzie riguardo al fatto che, anche a seguito della possibile firma dell’accordo nucleare, non distoglierà l’attenzione dalla minaccia costituita da Teheran. Una posizione che, però, non ha impedito agli alleati arabi presenti al vertice di chiedere ulteriori rassicurazioni agli americani. Israele e i suoi partner arabi (che sono anche partner degli Usa) evidentemente temono che la Casa Bianca li lasci da soli a confrontarsi con la potenza antagonista regionale, una insicurezza oggi alimentata dalla crisi ucraina.

RASSICURARE GLI ALLEATI SPAVENTATI DA TEHERAN

Alcuni giungono ad affermare che, sotto il simulacro della prova di forza e coesione nei confronti dell’Iran, in realtà si celi una disperata preoccupazione. Purtroppo il disimpegno militare americano dall’Afghanistan (e prima ancora quello dai Kurdi in Siria) ha sortito i suoi effetti perniciosi. Le minacce ai Paesi mediorientali partecipanti si configurano come multidimensionali e un buon esito dei negoziati sul nucleare degli ayatollah paventa per molti, petromonarchie del Golfo in primis, il fantasma dell’aggressività di Teheran. Ecco dunque le vibrate richieste rivolte all’amministrazione Usa al fine di ricevere garanzie diplomatiche e nel campo della sicurezza, qualcosa in grado di attenuare le loro recondite paure. Ed ecco dunque Biden inviare il suo ministro degli esteri a Sde Boker per rassicurare tutti.

UN RIEQUILIBRIO DEL QUADRO REGIONALE

Basteranno le parole di Blinken? Qualora accadesse il contrario si assisterebbe in ogni caso a un riequilibrio del quadro regionale, in un senso o nell’altro. In assenza degli americani emiratini e sauditi potrebbero proseguire nelle loro aperture a Teheran, oppure i Paesi arabi ora alleati di Washington potrebbero cementare la loro intesa con Israele, magari avviando l’edificazione di una politica difensiva comune in campo marittimo e realizzando un rete regionale di difesa aerea. Nell’inerzia di Washington questi Paesi arabi potrebbero quindi definire esse stesse le future dinamiche mediorientali, cercando di spingere gli iraniani fuori dalla Siria e dall’Iraq in funziona della stabilità regionale, con tutti i possibili sviluppi conseguenti.

UN ULTERIORE FATTORE CRITICO: LA PRECARIETÀ ECONOMICA

A sfavore di questa ipotesi gioca però un fattore critico non indifferente, quello economico. Pandemia e guerra in Ucraina hanno infatti reso precaria la situazione in numerosi paesi arabi, con carenze nelle forniture e prezzi dei cereali in aumento, in particolare il grano. L’Egitto, ad esempio, ne importa una quota pari all’80% del proprio fabbisogno e ora, si trova anche ad affrontare un incremento vertiginoso dei prezzi degli idrocarburi. Al Cairo la sterlina egiziana si deprezza sempre di più, mentre l’inflazione viaggia a due cifre. Va male anche in Giordania, altro Stato in pace con Israele, dove l’economia ha subito duramente gli effetti della pandemia e, adesso, anche di quelli del conflitto ucraino. Aumenti dei prezzi e del tasso di disoccupazione non giovano certo alla stabilità del Regno di Abdallah II. Paesi come questi non possono quindi fare a meno del sostegno economico fornito dai paesi del Golfo Persico e, in parte, anche da Israele. Per quest’ultimo oggi si presenta una sfida che deve assolutamente vincere: dimostrare ai suoi partner arabi che c’è, malgrado il malaugurato disimpegno americano.

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