STRATEGIA, Cina e crisi ucraina. Sulla crisi e l’eventuale mediazione tra la Russia di Putin e l’Occidente è difficile attendersi nell’immediato un mutamento di posizione da parte di Pechino

Sulla crisi e l’eventuale mediazione tra la Russia di Putin e l’Occidente è difficile attendersi nell’immediato un mutamento di posizione da parte di Pechino

di Giuseppe Morabito, generale in ausiliaria dell’Esercito italiano e attualmente membro del direttorio della NATO Defence College Foundation – Mentre la guerra russa in Ucraina infuria per la quarta settimana, uno dei momenti più importanti dal punto di vista geopolitico di questa crisi è stata la telefonata del presidente americano Joe Biden a quello cinese Xi Jinping.

NECESSARIA STABILITÀ GEOPOLITICA

L’inquilino della Casa Bianca questa settimana verrà in Europa, per la sua amministrazione la politica estera costituisce una priorità al fine di contrastare l’ascesa della Repubblica Popolare cinese, tuttavia, l’urgenza con la quale Washington si è rivolta al suo principale avversario nel tentativo di prevenire e, ora, disinnescare la crisi in Europa evidenzia il disperato bisogno di migliorare i legami per ragioni di stabilità geopolitica.

Mentre gli Usa cercano di distogliere Pechino dal suo partenariato strategico globale di coordinamento per la nuova era con Mosca, e rinunciano persino alla loro neutralità ufficiale per agire contro Putin, i cinesi mostrano un profondo scetticismo, resistendo alle richieste americane di allinearsi con l’Occidente riguardo alla guerra in Ucraina, questo a causa della posizione più ostile di Washington assunta nei loro confronti negli ultimi anni. Un aspetto che riveste certamente un ruolo importante nei calcoli di Xi su come procedere.

LA POSSIBILE MEDIAZIONE DI PECHINO

Inoltre, gli Usa riconoscono la posizione unica e il potenziale della Cina Popolare nel campo della mediazione, seppure Pechino abbia tentato di apparire neutrale sulla scena mondiale nonostante ciascuna delle parti fosse in lizza per il suo sostegno. Una neutralità non nuova, poiché affonda le sue radici nella formazione stessa della politica estera della Repubblica popolare cinese, che risale al primo premier sotto il governo comunista, Zhou Enlai (Ciu En Lai), che nell’aprile del 1955 delineò i principi degli affari internazionali della Cina nel senso del rispetto reciproco della sovranità e dell’integrità territoriale, della non aggressione, della non interferenza reciproca negli affari interni e dell’uguaglianza e del mutuo vantaggio.

Oggi, la posizione di “non interferenza” è quantomeno in conflitto con gli Stati Uniti d’America nel momento in cui questi ultimi tentano di aggregare una coalizione globale contro l’attacco russo all’Ucraina. Pechino ha inoltre amplificato le preoccupazioni di Mosca relative all’espansione verso Oriente della NATO, alle attività militari americane e persino alle affermazioni di pericolose ricerche biologiche condotte in Ucraina.

CINA E UCRAINA

L’ambasciatore cinese a Kiev ha comunque sottolineato, ricorrendo a un’eccellente esercizio di diplomazia, come la «partnership strategica» tra Cina Popolare e Ucraina sia in essere, confermando il sostegno di Pechino alla strada scelta dagli ucraini, «perché questo è un diritto sovrano di ogni paese».

Anche gli organi di informazione statali cinesi hanno giocato un ruolo in questo approccio parallelo, trasmettendo commenti che incolpano Washington di aver alimentato la crisi e, allo stesso tempo, diffondendo accuse e filmati che pretendono di mostrare l’uccisione di civili ucraini da parte dei soldati russi. Nel colloquio che ha avuto luogo la settimana scorsa, quasi due ore di telefonata tra Xi e Biden, il presidente cinese ha comunque sostenuto che Pechino e Washington sono responsabili della pace nel mondo, proseguendo con la condanna delle sanzioni «indiscriminate» che potrebbero provocare «perdite irreparabili». Xi ha chiesto agli americani e alla NATO di riprendere il dialogo con Putin, concludendo con l’esortazione a evitare vittime civili. Dal canto suo, Biden si è detto pronto a proseguire il dialogo con Pechino per evitare ulteriori escalation.

QUESTIONI DI CUORE E DI PORTAFOGLI

Va tenuto conto che siamo alla vigilia del terzo mandato del presidente cinese, tuttavia sussiste “una questione di cuore” che la lega la Cina Popolare alla Russia, e ce n’è una economica che la lega invece all’Occidente. Conseguentemente, in questa scelta di posizione c’è qualcosa di definibile con difficoltà e non ci si può aspettare una posizione netta da parte cinese, almeno nell’immediato.

Da un lato, la Cina ha espresso lamentele che sia essa stessa sia la Russia hanno nei confronti della NATO, in particolare perché è preoccupata per la futura evoluzione del QUAD (il dialogo quadrilaterale sulla sicurezza tra Australia, India, Giappone e Stati Uniti) e cosa ciò potrebbe significare per le sue rivendicazioni nel Mar Cinese Meridionale e sulla Repubblica di Cina (Taiwan). I due leader hanno affrontato l’argomento della questione Taiwan, con XI che ha avvertito Biden che una confermata posizione statunitense in favore dell’indipendenza dell’isola potrebbe avere un “impatto sovversivo” sulle relazioni correnti e future tra i due Paesi.

IN ATTESA DEL VERTICE DI BRUXELLES

Certamente, la questione di Taiwan, rivendicata da Pechino ma sostenuta da Washington, si allarga anche altri interessi fondamentali cinesi, quali quelli relativi a Xinjiang, Tibet e Hong Kong. Argomenti che costituiscono seri ostacoli alla stabilizzazione delle relazioni tra le due grandi potenze, poiché negli ultimi anni Washington ha ampliato il sostegno a Taipei, intensificando contestualmente la campagna di informazione contro Pechino sulle violazioni dei diritti umani e sulla repressione nelle tre citate zone della Repubblica Popolare. Si è ingenerato tra gli analisti locali il sospetto che vorrebbe Pechino pronta a pianificare e sostenere la guerra russa, sia economicamente che militarmente, e persino essere stata a conoscenza dei piani di invasione militare di Mosca in anticipo. La Russia ha comunque smentito.

L’amministrazione Biden sa che potrà (e in alcuni casi dovrà) lavorare con la Cina Popolare, ma gli Usa possono farlo solo nelle aree in cui gli interessi delle due potenze si intersecano, mentre qualsiasi cosa in più richiederebbe negoziati significativi e concessioni da fare su Taiwan, Xinjiang, Tibet e Hong Kong. Giovedì il centro di gravità decisionale si sposterà a Bruxelles e i cinesi saranno spettatori interessati del vertice. Se l’Occidente si dividerà e non permarrà fermo sulle sue posizioni democratiche, Pechino potrebbe dunque approfittarne e trarne vantaggio.

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