La notizia è di alcuni giorni or sono, tuttavia l’ipotesi della commercializzazione in yuan delle materie prime energetiche vendute dall’Arabia Saudita alla Repubblica Popolare cinese viene esplorata ormai da tempo. Il passaggio massiccio dai petrodollari ai «petroyuan» porrebbe a rischio l’attuale consolidata supremazia del biglietto verde statunitense nel sistema finanziario internazionale, in qualche modo egemonizzato dagli americani.
SCENARI INQUIETANTI PER WASHINGTON
Qualora dovesse verificarsi una cosa del genere per Washington si delineerebbe no scenario inquietante, poiché da decenni il dollaro viene utilizzato come moneta ufficiale di scambio nel mondo, in ispecie per le materie prime energetiche e, conseguentemente, una volta intaccato sul mercato petrolifero globale, il dominio della moneta statunitense perderebbe anche il suo ruolo di valuta di riferimento negli scambi internazionali, con tutti gli effetti che ne conseguirebbero, a cominciare dagli enormi afflussi di capitali negli Usa e dalla capacità per loro di continuare a finanziare il loro quasi perenne deficit di bilancio emettendo moneta e buoni del Tesoro.
MA PER «L’AUTUNNO DEL DOLLARO» È ANCORA PRESTO
L’argomento relativo a un supposto «autunno del dollaro» diviene nuovamente oggetto di discussione in un momento del tutto particolare, quello della crisi provocata dall’aggressione militare di Vladimir Putin all’Ucraina e del conseguente complesso di misure sanzionatorie di Mosca cui ha fatto ricorso la comunità internazionale, in particolare l’Occidente. E ovviamente il biglietto verde è tornato protagonista, illuminato dai riflettori del dibattito sull’efficacia di ritorsioni come l’esclusione della Federazione Russa dal sistema di pagamenti Swift. In realtà, il ruolo dominante del dollaro nel sistema internazionale monetario dei pagamenti non è stato intaccato neppure dalla significativa riconfigurazione e rallentamento dei processi della globalizzazione, dal contestuale arretramento della dimensione finanziaria dell’economia e del minor peso dell’economia statunitense sul piano globale.
SCARSA DIFFUSIONE INTERNAZIONALE DELLO YUAN
Per la detronizzazione del dollaro ci vorrà ancora molto tempo, anche alla luce della concreta consistenza del ruolo di intermediario svolto dalla moneta cinese, attualmente pari soltanto al 2% del totale, a fronte del 59% di quella statunitense. È vero, Pechino ha utilizzato il renminbi/yuan quale strumento nella sua azione di crescita sulla scena globale, spingendo per un suo più diffuso impiego nei pagamenti internazionali nonché come valuta di riserva per gli altri Stati, ma una rapida diffusione di esso sui mercati viene resa difficile dalle dimensioni tuttora inadeguate dei mercati cinesi dei capitali, che si ritiene possano subire modifiche soltanto tra diverso tempo. Anni, probabilmente una decina, prima di vedere, nella migliore delle aspettative dei cinesi, il renminbi/yuan diffondersi a una quota pari a 6-7 per cento.
RIGIDITÀ DI SISTEMA E TIMORI A PECHINO
La «fine» del dollaro come incontrastata valuta di riferimento del sistema internazionale è nei fatti, poiché in un mondo sempre più multipolare non è possibile che, nel medio-lungo periodo, una moneta mantenga questo ruolo egemone, venendo a mancare l’egemonia dell’economia sulla quale esso si basa (ed è il caso americano). Senza considerare che sono le stesse autorità della Cina comunista a non voler spingere troppo avanti questo processo, poiché esse temono la perdita di parte del controllo sulla propria moneta e la destabilizzazione del sistema sino-popolare, che dunque permane rigido. Diversa invece la questione relativa alla detenzione di riserve in valuta, resa controversa a seguito del blocco dei capitali russi all’estero, uno sviluppo che ha indotto a riflettere a fondo i responsabili della banca centrale della Repubblica Popolare.
SANZIONI ALLA RUSSIA: SUONA IL CAMPANELLO D’ALLARME
In effetti, non è che esistano tutte queste alternative al dollaro, tuttavia, il campanello d’allarme ha suonato. Il caso russo, infatti, sta facendo scuola. I congelamenti di capitali all’estero e le altre misure di natura finanziaria iniziano a generare seri problemi al sistema bancario del paese e, nel medio termine, ci si attende una depressione dell’economia locale seguita al crollo del potere di acquisto interno. Il ricorso all’uso del dollaro quale arma strategica di politica estera e di pressione si configura quale fattore di accelerazione del lungo processo di declino della moneta statunitense, in quanto la vicenda delle sanzioni alla Russia ha oltremodo evidenziato come il possesso di dollari in funzione di moneta di riserva da parte delle banche centrali dei vari Stati esponga a questo genere di rischi, inducendo a una diversificazione.