UCRAINA, conflitto. La “guerra lampo” di Putin fallisce, ma all’origine del conflitto c’è anche l’ambiguità strategica degli Stati Uniti

La seconda città dell’Ucraina Kharkiv (o, secondo la pronuncia in lingua russa, Kharkov), dista poco più di una ventina di chilometri, ma i russi sono riusciti ad entrarvi solo 3 giorni dopo il primo colpo di cannone con il quale è cominciata l’invasione. In queste ore a Kharkiv si combatte strada per strada e questo non è evidentemente un buon segnale per l’esercito russo che aveva sicuramente pianificato la caduta della città in tempi più brevi.
Si tratta di un evidente segno di un parziale fallimento della guerra lampo pensata da Putin. L’autocrate russo sembra aver sottovalutato la capacità di resistenza degli ucraini che hanno rallentato l’avanzata russa combattendo dalle loro trincee, organizzando rapide incursioni mordi e fuggi, facendo saltare strade e ponti e tendendo agguati alle colonne dei mezzi meccanizzati.

IL PREZZO PESANTE DELL’OCCUPAZIONE
Come hanno scoperto i militari occidentali in Iraq e Afghanistan – e i russi dimenticato – bastano poche persone determinate per trasformare l’occupazione in un bagno di sangue. Come qualunque altra forza armata, anche la volontà dei russi di combattere può essere indebolita e persino spezzata. Soprattutto se chi viene invaso dimostra di combattere durante e dopo l’invasione.
Una guerriglia organizzata può costringere i carri armati russi a spostarsi fuori strada e in terreni dove possono rimanere bloccati. Agguati mirati possono costringere la fanteria russa a smontare e rimontare continuamente dai loro veicoli, dando tempo prezioso alle altre unità ucraine che si ritirano o si raggruppano. E ogni soldato russo ucciso o ferito rende più difficile sostenere l’entusiasmo per la guerra in patria.
L’ATTUALITA’ DEL PENSIERO DI VON MOLTKE
L’azzardo di Putin si è rivelato per quello che era, rivelando un quadro strategico più complicato di quello che si pensava di governare a costi tollerabili. Come sosteneva lo stratega prussiano von Moltke, già sul finire dell’Ottocento, anche il conflitto in Ucraina sta dimostrando che «nessun piano sopravvive al contatto con il nemico» e «la guerra è una questione di espedienti».
Qualunque direzione prenderà l’invasione dell’Ucraina, va ricordato che questa crisi si colloca al di là dello status di “certe aree delle regioni di Donetsk e Luhansk” citate come casus belli da Putin. Si tratta di una guerra che amplifica le più ampie tensioni tra Russia e Occidente, proiettando più di un’ombra sul nuovo ordine che ne scaturirà in Europa e nel resto del mondo.
LA VULGATA DI PUTIN E LE AMBIGUITA’ USA
La vulgata di Putin ha definito l’Ucraina come il risultato del disegno dei confini sovietici negli anni ’20, ’40 e ’50. Un Paese “artificiale”, soprattutto dopo il crollo dell’URSS, che si è concluso con l’attruirgli “territori storicamente russi”, abitati da cittadini di etnia russa, i cui diritti sarebbero stati violati dal governo ucraino. Ma questo costituisce solo uno dei pretesti dell’invasione.
All’origine del conflitto Russia-Ucraina, c’è anche il rapporto ambiguo creato dall’amministrazione Biden con il presidente ucraino Zelensky. In una telefonata del 2 aprile 2021, il presidente Biden ebbe ad affermare il “sostegno incrollabile di Washington alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina di fronte all’aggressione in corso della Russia nel Donbas e in Crimea”.
LE SPERANZE INFRANTE DELL’UCRAINA
In un incontro del 1 settembre alla Casa Bianca, Zelensky ha ricevuto ulteriori conferme del sostegno del presidente degli USA, che si facevano garanti della sicurezza di Kiev. Oltre alla vendita di armi, soldati statunitensi e ucraini hanno condotto esercitazioni congiunte e in diverse occasioni le forze ucraine sono state incluse nelle esercitazioni militari della NATO, nel settembre 2021 anche sul proprio territorio.
Tuttavia, quando la Russia, tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, ha rafforzato le sue forze militari ai confini dell’Ucraina chiedendo esplicite garanzie di sicurezza dagli Stati Uniti e dai suoi alleati della NATO, compresa l’assicurazione che all’Ucraina non sarebbe mai stato permesso di aderire all’alleanza atlantica, la retorica di Washington nei confronti dell’Ucraina si è esaurita.
LA PRUDENZA TARDIVA DI BIDEN
Escludendo una risposta militare che porterebbe “ad una Terza guerra mondiale”, il presidente Biden e i suoi consiglieri hanno mostrato una prudenza e una razionalità tardiva. Prima dell’invasione russa, l’atteggiamento di Washington ha sicuramente contribuito ad avviare l’Ucraina sul sentiero di un confronto rischioso con il potente vicino. Il che, ovviamente, non costituisce una giustificazione all’aggressione subita dall’Ucraina.
Purtroppo, come sta rivelando anche il confronto russo-ucraino sul campo, il bluff può farti vincere una mano di poker, ma perdere complessivamente. La sicurezza viene meno quando gli impegni verbalmente assunti si rivelano espedienti retorici. Un atteggiamento che rischia di ripercuotersi anche nel ruolo di “Lord protettore” assunto dagli USA nei confronti di Taiwan.
LA CRISI UCRAINA E I RIFLESSI SU TAIWAN
Dopo l’Ucraina, i leader dell’isola hanno più di un motivo per interrogarsi sulla reale portata del sostegno di Washington se la Repubblica popolare cinese ricorresse alla forza militare contro Taiwan. La domanda che comincia ad aleggiare a Taipei è: Washington interverrebbe militarmente, o la risposta ad un invasione cinese si limiterebbe a sanzioni economiche?. La crisi ucraina ha evidentemente anche di questi riverberi.
Anche se Taiwan ha ovviamente un valore strategico ed economico molto più rilevante della Georgia o dell’Ucraina, le non controllate espressioni di sostegno delle amministrazioni degli Stati Uniti a quei due paesi, alla luce delle conseguenze che hanno provocato, conducono a richiamare ogni leader occidentale a considerare il proprio ruolo con maggiore senso di responsabilità.

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