L’attuale Capo dello Stato Maggiore generale delle Forze armate russe e vice-ministro della difesa della Federazione Russa, Valerij Vasil’evič Gerasimov, è anche l’autore dell’attuale dottrina militare russa che prende il suo nome ed è basata sulla maskirovka.
L’intervento militare di Putin in Ucraina e la campagna di propaganda e disinformazione che l’hanno accompagnata, hanno reso evidente i progressi russi nella narrazione dei propri interventi nella sfera geopolitica.
L’IMPORTANZA DELLA MASKIROVKA NELLA DOTTRINA SOVIETICA
La maskirovka, letteralmente mascheramento, camuffamento è l’insieme di azioni di depistaggio visivo, disinformazione e psicologia applicata, per far credere agli avversari qualcosa che non è vero. Elaborata negli anni Venti, rivisitata all’indomani dell’Operazione Barbarossa del 1941, essa arriva fino ai giorni nostri.
Maestra nell’esecuzione di queste pratiche d’inganno, l’Armata Rossa, nella Seconda guerra mondiale, riuscì a trasmettere all’esercito tedesco informazioni appositamente preparate per spingerlo a prendere volontariamente una decisione predeterminata, come avvenne nella battaglia del saliente di Kursk nel 1943.
La maskirovka è dunque l’evoluzione di una pratica che risale agli albori dell’era sovietica affinata negli anni della Guerra Fredda. Anche oggi, in Russia, la maskirovka viene trattata come un’arte operativa che deve essere perfezionata da professori di scienze militari e ufficiali specializzati nell’informazione e soprattutto nella disinformazione. L’Enciclopedia militare sovietica del 1978, la definiva così:
“La maskirovka strategica viene eseguita a livello nazionale e di teatro per fuorviare il nemico in merito alle capacità politiche e militari, alle intenzioni e ai tempi delle azioni. In queste sfere, poiché la guerra non è che un’estensione della politica, essa include misure politiche, economiche e diplomatiche oltre che militari”.
LA DOTTRINA GERASIMOV E LA TEORIA DEL CONTROLLO RIFLESSIVO
L’attuale dottrina Gerasimov riesce ad integrare la componente militare, informatica, diplomatica, economica, informativa, culturale e la capacità di controllo riflessivo del nemico e tutte quelle tecniche che possono concorrere al raggiungimento di un obbiettivo strategico. La teoria del controllo riflessivo afferma che “il controllo può essere stabilito attraverso risposte riflessive e inconsce da parte di un gruppo target. Questo gruppo riceve sistematicamente (dis)informazioni volte a provocare reazioni prevedibili e, per la Russia, politicamente e strategicamente auspicabili”.
Questo approccio è stato utilizzato negli anni della Guerra Fredda ed in occasione delle crisi che hanno caratterizzato quel periodo. Negli anni esso è stato affinato per essere ancora una volta messo a profitto con l’Ucraina e i paesi della NATO, consentendo al Cremlino di sfruttare i preconcetti e le divergenze di opinione tra i suoi avversari.
La teoria del controllo riflessivo viene insegnata nelle scuole e nei programmi di addestramento militari russi ed è parte integrante della dottrina Gerasimov. Il concetto di controllo riflessivo è noto nel mondo militare da decenni e tale pratica si è rafforzata nell’era digitale con l’adozione dei social media.
LE CAMPAGNE D’INTERFERENZA RUSSE ERODONO LA COMPATTEZZA OCCIDENTALE
Le operazioni di hackeraggio della Russia per intromettersi e orientare le presidenziali americane del 2016 sono state un esempio di queste pratiche, ma quello è un modesto successo tattico se paragonato a quello conseguito con il caos politico cominciato negli Stati Uniti dopo quelle elezioni.
Le campagne d’interferenza russe, infatti, sono state rivolte a candidati di entrambi i partiti statunitensi e si sono estese ben oltre le presidenziali fino a toccare il dibattito sulla vaccinazione post Covid-19 e tutti i temi, dalla cancel culture al razzismo sistemico, alla sicurezza, che sono oggetto del dibattito che oggi divide l’opinione pubblica statunitense.
Probabilmente tali interferenze sono all’origine di ogni confronto al quale stiamo assistendo nella società americana, oggi radicalizzata come mai era avvenuto in passato. Appare evidente che dovunque la Russia intraveda una spaccatura nella pubblica opinione di una nazione occidentale, la sua azione sia volta ad allargarla.
LA RUSSIA ESERCITA IL CONTROLLO NARRATIVO DELLA CRISI
Prima che la crisi Ucraina prendesse la sua piega più drammatica, il quotidiano Il Messaggero si era interrogato sull’assenza di manifestazioni di piazza per la pace. La risposta era ed è semplice: le guerre che preoccupano la pubblica opinione occidentale sono solo quelle che hanno per protagonista gli Usa o i paesi alleati.
Una latitanza che è un riflesso condizionato della simpatia di cui godeva l’URSS nei paesi dell’Europa occidentale che vedevano la presenza di forti partiti comunisti e una prova indiretta delle capacità di influenza russa sulle opinioni pubbliche di quei paesi in cui, in tutta evidenza, riesce ad avere ancora una grande presa.
E’ in questo vasto ambito politico e militare che si manifesta in maniera esplicita il controllo narrativo della Russia, esso non si limita a dare una spinta ai conflitti, ma può agire per far sembrare la Russia un avversario minaccioso per alcuni, oppure la placida vittima di un complotto ordito dai suoi nemici.
Ciò che la Russia ha realizzato, sia con le parole che con i fatti in Ucraina, merita dunque un’analisi approfondita. Un’analisi che però non può prescindere dalla consapevolezza che ogni concetto al quale abbiamo fatto riferimento, costituisce la continuazione e l’evoluzione del pensiero strategico sovietico e non una sua deviazione.